Repubblica – Palermo 21.9.08
LE COLPE DEI DOCENTI
Gradualmente la scuola, dalla materna all’università, riapre i battenti. Insegnanti e alunni ritornano con il solito confuso intreccio di sentimenti: rammarico per la fine delle vacanze estive, senso di pesantezza per altri nove mesi di fatica, curiosità per le persone e le tematiche che si conosceranno, preoccupazioni per le decisioni ministeriali (stabilmente orientate, nel variare delle maggioranze, ad un sistematico peggioramento del sistema dell’istruzione)…Un frammento non del tutto trascurabile di questo scenario complessivo è costituito dalla figura istituzionale dei dirigenti scolastici (in questi giorni in Sicilia ne sono stati assunti più di duecento): cioè, secondo il vocabolario usato dai meno giovani tra noi, dei direttori didattici della scuola primaria e dei presidi della scuola secondaria .
Anche di recente la cronaca palermitana ha registrato episodi grotteschi che, se non fossero rattristanti per certi versi, sarebbero esilaranti: come la condanna giudiziaria di un professore per aver sputato sul viso della sua dirigente, per giunta ironizzando sul proprio gesto (”E’ solo un modo per lavarLe la faccia”). Vogliamo archiviare questi fatti come isolati episodi di colore? Chi frequenta gli ambienti scolastici sa benissimo che si tratta di punte di iceberg rivelative di quotidiane tensioni sotterranee e di continui scontri magmatici. Con quale ricaduta educativa sulla serenità del clima di un’intera comunità scolastica, è facile indovinarlo.
Sarebbe opportuno dunque che, almeno qualche volta, l’inespresso emergesse alla luce del sole e - magari con la mediazione di un esperto esterno - i soggetti in conflitto avessero modo di verbalizzare il disagio e di sperimentare nuove modalità di relazione. Forse alcuni dirigenti avrebbero modo di spiegare quanto sia difficile, nel clima culturale di ‘anomia’ dominante nel nostro Meridione, chiedere a tutti i docenti il rispetto delle regole deontologiche essenziali: puntualità all’inizio delle lezioni, garbo di tratto con alunni e genitori, un minimo di aggiornamento professionale per evitare di trovarsi su alcune tematiche disciplinari meno informati dei propri stessi alunni…(Bossi e la Gelmini sbagliano a generalizzare certe loro accuse, ma la soluzione non può essere negare ad oltranza ogni deficienza oggettiva). Dopo molti anni ho ancora in mente lo smarrito, incredulo stupore di una collega trasferitasi dal Veneto a Palermo davanti allo spettacolo indecoroso di un collegio dei docenti in cui quasi nessuno, impegnato a chiacchierare col vicino di sedia, prestava ascolto all’oratore di turno (dirigente o collega d’insegnamento che fosse), tranne per i cinque minuti in cui si affrontava il tema dei criteri di distribuzione degli incentivi economici. Come da me preannunziatole, si sarebbe presto abituata: collegi così privi di creanza e di responsabilità democratica non costituiscono da Roma in giù l’eccezione, bensì la norma.
Non so immaginare quali strategie si possano approntare per modificare simile malcostume imperante fra docenti che, nelle proprie classi, non tollererebbero (giustamente) un clima così confusionario e dispersivo: so solo che la reazione di alcuni presidi che, a scopo preventivo, trattano il corpo docente come fosse un’indistinta soldataglia da umiliare metodicamente è inutile, anzi controproducente. In una parola: diseducativa. Se un’insegnante chiede la parola in collegio e, ottenutala, esordisce con un “La mia idea sarebbe che…”, ma la dirigente l’interrompe con un sorrisetto sardonico: “Lei non è pagata per avere idee” - ebbene, se quell’insegnante si abbandonasse ad un gesto inconsulto di violenza contro la preside, sarebbe certamente in torto. Colpevole, ma del tutto priva di attenuanti?
L’unica strada percorribile passerebbe da una seria, duplice autocritica della categoria dei docenti mirata, da una parte, ad acquisire uno stile più idoneo a dei cittadini adulti stipendiati anche per costituire dei modelli di comportamento per le nuove generazioni; e, d’altra parte, ad un sussulto di dignità e di solidarietà nell’impedire - anche con proteste plateali - che questo o quel dirigente li tratti da sudditi (quante sono le aule a Palermo in cui si muore di caldo in estate e di freddo in inverno, mentre i locali della presidenza e della segreteria amministrativa godono permanentemente di ogni conforto?) o giochi con qualcuno di loro come un gatto col topo. Rivedere, dunque, i propri difetti professionali e, proprio così, riacquistare prestigio: purtroppo non so quale dei due obiettivi risulti meno realizzabile… Infatti le dinamiche evidenziate dalla psicologia delle masse (la media dei componenti tende ad uniformarsi allo standard comportamentale dei più maleducati) non cessano di valere quando la folla è costituita da un centinaio di insegnanti. Di contro, quando un esponente del potere (sia pure il micropotere di un preside all’interno della comunità scolastica) infierisce ingiustamente su un soggetto, gli altri assecondano la tendenza umana - troppo umana ! - a farsi i fatti propri, riservando ogni segno di solidarietà a luoghi e tempi di opportuna segretezza. Se questa analisi sconfortata fosse realistica, per il futuro sarebbe più logico stupirsi non perché, dentro le mura scolastiche, avvengano scatti di violenza; ma perché avvengano così raramente.
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