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Un libro su mafia e Chiesa. Non tutti i “parrini” sono emuli di don Puglisi
Filippo Piccione
17-09-2008
E’ ormai accertato che la gran parte di turisti che si reca in Sicilia è desiderosa di conoscere più da vicino le “gesta” compiute dalla mafia. Non so in che misura la folla di curiosi possa essere soddisfatta dalle informazioni che riceve sull’argomento. Fatto sta che oggetti e immagini raffiguranti uomini e situazioni dal sapore un po’folkloristico e stereotipato (la coppola, la lupara sotto il braccio, l’immancabile paesaggio di fichidindia, che fa da sfondo, e le tre scimmiette con le eloquenti scritte “non parlo, non vedo, non sento”) vengono esposti con la massima cura ed evidenza nei negozi e nelle bancarelle che assiepano tutti i siti e i luoghi storici, archeologici, culturali e paesaggistici di maggiore attrattiva. Toccare con mano tale realtà, essendo stato da qualche giorno reduce da un’ennesima visita ad Erice e alla vicina Segesta, entrare per caso in una libreria, scorgere - in mezzo ad una pila di testi appena arrivati - un agile volumetto con il seguente titolo: “La Mafia spiegata ai turisti”, scritto da Augusto Cavadi (Edizione di Girolamo) pubblicato in sei lingue, compresa quella giapponese - il meno che puoi fare è impossessartene subito, prima che esso venga posto nell’apposito scaffale. Poi cerchi di conoscerne la sintesi, uno sguardo rapido al curriculum dell’autore. Dunque decidi che vale la pena comprarlo.
Scopri infine che a quello che ti è capitato di leggere finora su Cosa Nostra, questo libretto aggiunge altri elementi di novità interessanti, riuscendo nel contempo a mettere nel giusto risalto problematiche fondamentali che tuttavia molta della copiosa letteratura esistente in materia aveva lasciato in ombra o completamente sottaciuto. Si tratta della semplice circostanza che oltre ai rapporti – scontati - con pezzi degli apparati dello Stato, con alcuni partiti ed esponenti delle amministrazioni locali, dei sindacati e delle associazioni, quello che la mafia ha intrattenuto e intrattiene con la Chiesa, secondo Cavadi, è un dato che s’impone nella sua oggettività. “La storia della Sicilia - come la sua cronaca contemporanea - non si spiega senza tenere nel debito conto l’influenza delle istituzioni religiose in generale e della chiesa cattolica in particolare”. Sarebbe molto strano, osserva l’Autore, se diffusione capillare del cattolicesimo e mafia fossero due fenomeni indipendenti. Gli eventi storici, sino agli episodi più recenti, insegnano che i rapporti fra mondo cattolico e ambienti mafiosi ci sono stati e non senza conseguenze di rilievo. In alcuni casi si è trattato di relazioni di vera e propria complicità. Mons. Panzeca, arciprete di Caccamo ospitava nella sua canonica i summit mafiosi dove si deliberavano le strategie più criminose messe in atto attraverso estorsioni, ricatti, omicidi e il controllo permanente del territorio. L’arcivescovo di Monreale, mons. Salvatore Cassisa, chiacchierato ed indagato per aver avuto rapporti con Bagarella, mostrava che la sua vera vocazione non era proprio quella apostolica. Queste, come altre situazioni del genere, riportano alla mente alcuni versi del poeta dialettale Ignazio Buttitta (Bagheria 1899-ivi 1997), autodidatta e profondamente ancorato alla cultura siciliana.
“Mafia e parrini (preti) si dittiru la manu:/poveri cittadini,/poviru paisanu!/…../Chi semu surdi e muti?/Rumpemu sti catini!/Sicilia voli (vuole) gloria,/Né mafia né parrini!
Bisogna però ricordare che esistono preti che si sono schierati e si schierano dalla parte di chi subisce le angherie e l’invadenza opprimente degli uomini della mafia, sapendo di andare incontro a vendette e atroci ritorsioni. Così è stato per don Pino Puglisi che, svolgendo quotidianamente azione eminentemente educativa e sociale in contesti economici depressi e in mezzo a bambini diseredati che crescono nelle strade, come nel famoso quartiere Brancaccio di Palermo, venne ucciso il 15 settembre 1993, su mandato dei fratelli Graviano, da Salvatore Grigoli. Il quale, in uno dei tanti interrogatori, affermava “per noi la chiesa era quella che se c’era un latitante mafioso, lo nascondeva. Sapevamo che la chiesa di padre Puglisi era sempre stata una chiesa diversa”. E questo la mafia non lo poteva consentire. Ma non si tratta soltanto - sostiene opportunamente Cavadi - di preti-boss e di preti-martiri. Sappiamo che essi, comunque, costituiscono, nella loro atipicità, un’eccezione (anche se, è il caso di sottolineare, che i loro comportamenti hanno e possono avere, in un senso e nell’altro, una portata e un’influenza straordinaria sull’opinione pubblica che dura nel tempo). Per capire i rapporti fra la Chiesa cattolica e Cosa Nostra occorre rilevare - e su questo ha ragione l’autore - che la norma è stata una sorta di indifferenza disincantata della chiesa rispetto ad una questione considerata, a torto, di competenza esclusiva dello Stato. E, per giunta, “di uno Stato liberale, vissuto, per molti decenni, a partire dall’unificazione nazionale, come esterno ed estraneo”. “Le gerarchie ecclesiastiche sono state molto preoccupate di difendersi da nemici “ideologici” (protestanti, comunisti, laici) e hanno sottovalutato l’inquinamento morale e civile prodotto dai poteri illegali”. Ecco perché “i mafiosi, poiché non intendevano attaccare sul piano ideologico, si potevano considerare semmai peccatori da recuperare, e la mafia, con la sua cultura e le sue azioni delinquenziali, non veniva perciò percepita da parte dell’evangelizzazione cristiana in tutta la sua pericolosità“. Quando il rapporto diretto con mafiosi - o politici “amici” di mafiosi - poteva risultare utile, vescovi e presbiteri non si sono lasciati bloccare da scrupoli.
Un aggiornamento in tal senso ce lo fornisce una ricerca pubblicata pochi mesi fa. Un questionario distribuito fra i parroci di Palermo svela che troppi nelle loro file sono indulgenti con i boss mafiosi. In molti non avvertono la presenza di Cosa Nostra come un pericolo immediato. Appena il 15 per cento dei preti intervistati mostra “una piena consapevolezza della specificità del problema mafia”. Il 20 per cento ne ha una conoscenza convenzionale, esprimendo persino critiche esplicite nei confronti della Magistratura e le Forze dell’Ordine. Il 65 per cento manifesta una certa ambiguità nell’affrontare il tema, e la presenza mafiosa sul territorio non viene vissuta come una questione di stretta competenza della chiesa, “anche perché essa non costituisce una concreta minaccia”. Il cardinale Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, molti anni or sono, alla domanda di che cosa fosse la mafia, rispondeva che era una marca di detersivo.
Filippo Piccione
PS: “Mafia e Preti” di Ignazio Buttitta è tratto da una raccolta di poesie intitolata “Lu trenu di lu suli”, con l’introduzione di Leonardo Sciascia, lo scrittore siciliano che nel suo libro “Il giorno della civetta”, scritto nel 1961, di cui fu poi girato l’omonimo film, aveva per primo fatto conoscere il significato del linguaggio della mafia, attraverso i suoi delitti e le sue complicità. Fu lo stesso Sciascia ad alimentare, due decenni più tardi, una polemica sul ruolo dell’Antimafia, muovendo, in particolare, una critica serrata nei confronti di alcuni esponenti che ne avevano sostenuto importanza e funzione, accusandoli di aver fatto carriera. Uno di questi fu Paolo Borsellino, il magistrato massacrato con la sua scorta dalla ferocia mafiosa. La querelle si è riproposta nel corso della nomina del Capo della Direzione Nazionale Antimafia che, al posto di Giancarlo Caselli, nei confronti del quale fu fatta una legge contra personam da Berlusconi, fu indicato Piero Grasso, attuale Procuratore della DNA.
A proposito di mafia ed antimafia è illuminante quanto hanno dichiarato Luciano Liggio e Marcello dell’Utri. Alla domanda del presidente della Commissione parlamentare Antimafia se esiste la mafia, Liggio risponde: “se esiste l’antimafia”. Dopo quasi un quarto di secolo, nel 1999, in una trasmissione di Michele Santoro, alla stessa domanda, dell’Utri non ha esitazione ad esprimersi nel seguente modo: “le risponderò con una frase di Luciano Liggio, se esiste l’antimafia esiste la mafia”. L’ 11 dicembre 2004 il cofondatore di Forza Italia e oggi senatore della Repubblica sarà condannato a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
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