venerdì 1 agosto 2008

UNA STORIA VERA


“Confronti”
2008, 7/8 (luglio - agosto)

L’amore è cieco, la mafia no

Sulle tragedie provocate in gente inerme dal sistema criminale mafioso sappiamo ormai molto. Anche perché ad essere colpiti sono stati, in non pochi casi, nostri familiari o amici d’infanzia o personaggi pubblici che stimavamo per la loro professionalità. Eppure - anche su argomenti come questo in cui avremmo preferito restare inesperti - non si finisce d’imparare.

Ricevo una e-mail da indirizzo sconosciuto, firmata con nome e cognome e indirizzo da una giovane donna altrettanto sconosciuta. “Sono anch’io una vittima di mafia” - esordisce il messaggio - “ma una vittima di genere particolare che non avrà mai nessuna forma di risarcimento morale”. Come può capitare alle ragazze carine, era stata corteggiata da un collega di lavoro già sposato, alle cui avances aveva risposto sulle prime negativamente. Ma lui aveva insistito, aveva raccontato tante cose poco gradevoli sulla moglie, dichiarato che con lei era ormai finita e spiegato di avere diritto ad una seconda vita. E ad averla con una persona speciale come lei, come Lucia. Lucia ha intanto l’occasione di trasferirsi in Toscana a lavorare per la sua azienda realizzando così un progetto che aveva da tempo - da prima di conoscere lui - pensando anche che la nuova vita le avrebbe permesso di dimenticarlo. Invece la lontananza ha l’effetto di unirli ancora di più. Al punto che lui decide di separarsi. Lucia, credendo di non avere altra scelta, si licenzia, torna in Sicilia, va a convivere con il nuovo compagno. “Mi sembrava finalmente che tutti i sacrifici fossero stati ben ripagati”; ma l’illusione dura poco. Intanto Lucia arriva ad una tremenda verità: ha lasciato carriera, famiglia, amicizie promettenti per vivere con un mafioso. Lo ama, ma ha bisogno di capire come può una persona legarsi per amore ad un’altra che incarna proprio quei principi - di sopraffazione, di illibertà, di sfruttamento dei deboli - per i quali sin da bambina ha provato disgusto. Lui proclama di essere in crisi, di voler uscire dalla trappola in cui si è trovato per ragioni anagrafiche, anche a costo di rinunziare ai tanti benefici che la familiarità con quel mondo gli aveva sino ad allora assicurato, soprattutto nell’ambito professionale (l’ambito della sanità, dove appartenere a certe ‘famiglie’ - lungi dall’essere un handicap - viene considerato un valore aggiunto). Sono giorni, settimane, mesi terribili. L’agonia è rotta dal colpo di grazia finale: “Mi dice che dobbiamo lasciarci…Nega però che deve obbedire a un ordine insindacabile perché non c’è più chi lo aveva protetto dalla punizione riservata a chi lascia la moglie, per giunta se essa stessa figlia di un mafioso. Circostanza che, in un’altra occasione precedente, aveva lui stesso dichiarato e con una certa forza.”
Così Lucia si ritrova davvero senza nulla in mano. Oggi scrive di sentirsi in pericolo: “Ho paura che per la troppa sofferenza si possa rompere qualcosa nella mia mente. Dico questo perché il comportamento di questo individuo non è stato normale: non è stato il solito ‘bastardo’. E’ stato spietato come solo un mafioso figlio di mafioso lo sa essere, specie quando è succube di una sorta di regia più grande di lui “. Dentro, nel profondo, le è rimasta una rabbia indomabile. Contro se stessa, contro la presunzione di poter davvero partecipare alla “salvezza” di un uomo; ma anche contro un sistema di potere che non si limita a condizionare elezioni politiche ed affari commerciali, delibere amministrative e carriere mediche, ma vuole e può disporre anche dei sentimenti della gente.
Continua Lucia: “ Ho sentito vari consigli e commenti da parte di amici e colleghi su ciò che dovevo fare, dire. Avrei dovuto essere, pensare, capire e …bla bla. È vero: lui non mi ha costretto con la forza, ero maggiorenne e capace di scegliere e di decidere. Anche tutti quelli che sono sepolti sotto terra erano persone capaci di decidere e scegliere, ma hanno creduto in qualcosa. Anch’io ho creduto in qualcosa: nella forza del mio affetto e in un progetto di vita con un uomo che amavo e che ho creduto capace di ribellarsi e di dire no alla mafia, scegliendo la strada dell’onestà e dell’impegno civile e morale con me. Ma lui non è tornato indietro perché non era mai andato via, non è stato capace (o non ne vedeva più la convenienza ! ) di essere un uomo nuovo: e ho pagato solo io. Quando qualcuno non ti costringe ma ti rispetta, quando ti dice di agire in nome dell’amore e che sei la sua nuova famiglia ti senti al sicuro e protetta. È allora che questo qualcuno può fare tutto di noi perché sta usando l’amore come arma infallibile, più efficace delle bombe. Sì, l’amore è un arma potente nel bene e nel male. I mafiosi lo sanno e fanno tutto in suo nome: amore per la famiglia, per il potere, per il denaro, per Dio. Un essere umano non si uccide solo con le armi: c’è una morte ancora più terribile perché ti raggiunge in un posto non ben definito dell’anima”.
Rabbia, impotenza, disperazione: come spiegare che “la mafia non uccide solo con la lupara”? Una prostrazione psichica che arriva a somatizzarsi, a raggelare la vitalità di una donna entusiasta ed ora sballottata da un medico a un altro per tentare di sopravvivere. Ma forse, anche, uno sconforto che può - gradualmente - trasformarsi in consapevolezza e in progetto: nella decisione di uscire dal limbo dei siciliani che osservano, distaccati, la guerra di civiltà fra “Cosa nostra” e i suoi sudditi obbedienti, da una parte, e, dall’altra, le “minoranze morali” che le si oppongono con la testa, con la parola e con i fatti. Non avviene di frequente: ma l’odio e il risentimento, se rielaborati e metabolizzati, possono fare di una persona umiliata un protagonista di cambiamento culturale e sociale. Perchè, certo, è importante - dove possibile - che gli individui paghino per le conseguenze della propria viltà; ma in fondo, poiché rinunziano al diritto elementare di autodeterminarsi, sono essi stessi vittime di un sistema perverso che, prima di spegnere la vita biologica degli avversari, sfregia la dignità degli affiliati riducendoli a burattini alla mercè di mani invisibili. Ed è questo sistema - fondato sulla gerontocrazia, sul conformismo, sulla perpetuazione di codici comportamentali ipocriti, sulla passività agli ordini anche più disumani dei capi, sul disprezzo delle ragioni del cuore, sulla svalutazione della femminilità - che va scardinato. A partire dalla propria vicenda, ma con l’intento di farne un’inversione di tendenza storica.

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