“Repubblica - Palermo”
13.7.08
SANTA ROSALIA IN FUGA DALLA CITTA’
L’onniscienza di Dio ha dei limiti. Infatti neppure il Padreterno sa quante siano davvero le Congregazioni di suore nel mondo, che cosa pensa un gesuita quando ti sta parlando e da dove attingano tanti soldi i Salesiani. Ma una missiva da Torino, a firma di certo don Pierluigi Zuffetti e a nome dell’Associazione Missioni “Don Bosco”, mi ha aperto uno spiraglio almeno sul terzo enigma. L’intraprendente Onlus salesiana, infatti, ha predisposto una lettera ‘tipo’ da inviare non (come sono solite le altre organizzazioni benefiche sia religiose che laiche) a ridosso delle festività natalizie, bensì - per evitare l’affollamento dei concorrenti - in date differenziate secondo le varie città italiane di destinazione. Più precisamente: in occasione della festa del santo Patrono locale. Mi si invita ad essere generoso con i successori di don Bosco sparsi per il mondo, con una precisazione che dalle nostre parti risuona singolarmente opportuna: “Sappiamo che nonostante la volontà di aiutare, spesso non se ne hanno le possibilità (il cuore è grande ma il portafoglio è sgonfio). La preghiamo dunque di pensare ad un’altra forma di sostegno come l’adesione al 5 x 1000 a favore della nostra associazione”.
Ma l’invito a elargire contributi spontanei non appare il motivo principale della missiva, la quale invece è incentrata sulla domanda se conosco Rosalia e se ho riflettuto abbastanza “sul significato del giorno dedicato a questa Santa”. Per rinfrescarmi la memoria, oltre ad una ’santuzza’ stile ottocentesco allegata, una scheda laterale a colori (ovviamente la sezione della pagina che muta secondo le città e le date) riepiloga le tappe principali della storia della Patrona principale di Palermo. Beh, proprio della ’storia’ no: con onestà si avverte che “il racconto scritto della sua vita raccoglie tradizioni orali” e che cinque lunghi secoli di oscurità separano la sua (presunta) esistenza nel XII secolo dal ritrovamento in una fossa di Monte Pellegrino dei suoi (presunti) resti mortali. nel XVII secolo. E che avrebbe fatto Rosalia, secondo la tradizione? Si sarebbe ritirata, come sappiamo tutti, in una grotta (o in due, se prima davvero è mai passata dal minuscolo e freddoso antro presso S. Stefano Quisquina) in “una vita solitaria e contemplativa” visitata solo da angeli celesti che “la adornavano di rose e fiori odorosi”.
Edificato dalla pia leggenda, riporto lo sguardo dalla scheda biografica verso la lettera-standard spedita da Torino, ogni volta identica, ma qui l’occhio incontra delle righe che mal si conciliano con il profilo della regale fanciulla: “Il Santo Patrono è qualcuno che, in passato, ha vissuto nelle stesse strade che oggi noi percorriamo, in mezzo alla gente. Qualcuno che si è preso a cuore questi luoghi ed ha avuto cura delle persone che vi abitavano. Se noi lo ricordiamo, a distanza di anni e anche di secoli, è proprio per il suo forte legame con la città“. A questo punto, vengo raggiunto da un’illuminazione - non so quanto divina - che mi produce un’ipotesi interpretativa istruttiva: ecco quale potrebbe essere l’origine di tutti i nostri mali cittadini! Dalla Santa Patrona ad oggi, chi dovrebbe stare “in mezzo alle gente”, si eclissa con troppa facilità. Chi sparisce perché attratto dalla vocazione all’eremitaggio; chi si volatizza perché ha perduto le elezioni e ha trovato cose più interessanti da fare che guidare l’opposizione democratica; chi si eclissa perché le elezioni le ha vinte ma, essendo una persona navigata, ha cose più divertenti da fare che amministrare una città caotica…Già una ventina d’anni fa lo storico del cristianesimo, don Francesco Michele Stabile, l’aveva notato con pacata lucidità: “Una proposta di vita cristiana prevalentemente ascetica ed eremitica si prolunga quasi fino al novecento e sottolinea, nel modello devoto di santa Rosalia eremita, nobile e taumaturga, la fuga dalla città, luogo di crisi e la salvezza della città come dono che viene dall’alto, più ancora che come impegno dell’uomo insieme agli altri uomini nel cammino verso Dio. Prevale l’invocazione e l’attesa del miracolo come dono risolutore da parte del santo protettore”.
Nella sua accorata letterina, il mittente salesiano mostra di non nutrire particolare fiducia nei confronti dei politici: “Probabilmente - mi scrive - anche lei si imbatte quotidianamente nei problemi del traffico, respira aria inquinata, perde tempo e pazienza a causa dei disservizi e, se ha figli, non è tranquillo sapendoli in giro la sera…Tutti i giorni sentiamo i politici che discutono su questa o quella priorità, ma siamo sicuri che sia il solo modo di affrontare la complessità di un centro urbano?”. L’interrogativo è un po’ retorico perché subito dopo aggiunge: “Secondo lei, un Santo Patrono potrebbe darci una mano? Rivolgendoci a Lui, attraverso la preghiera, possiamo chiedere il suo aiuto per cambiare le cose che non funzionano”. Ma se davvero dobbiamo “guardare al Santo Patrono come ad un ispiratore”, temo che nel nostro caso il modello ideale di comportamento non sarebbe molto incoraggiante. Già mi immagino Rosalia che, silenziosamente, ci replica: “Avete visto che ho fatto io non appena raggiunta l’età della ragione? Me ne sono scappata da Palermo e dai palermitani. Ho subito capito che ci sono poche speranze di cambiamento. Sino a quando i miei concittadini non si convinceranno a darsi una smossa - e non capiranno che la peste arriva per caso ma resta e si diffonde per connivenze ed omertà - non ci saranno santi che potranno aiutarli”.
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