“Giornale di metafisica” (edizioni Tilgher, Genova), anno XXIX (2007), n. 3.
N. Pollastri, Consulente filosofico cercasi, Apogeo, Milano 2007, pp. 120.
Il variegato mondo delle pratiche filosofiche presenta al proprio interno differenze anche contrastanti e ciò non facilita certo la corretta informazione da parte di chi osserva dall’esterno. Questo agile volumetto del presidente di “Phronesis”, la più autorevole associazione italiana di consulenti filosofici, costituisce uno strumento di chiarificazione ad intra e ad extra : è infatti dotato di notevole spessore teoretico ma è anche accessibile ad un vasto pubblico di lettori.
La tesi centrale dell’autore è inequivoca: la consulenza filosofica è “filosofia, e nient’altro. Non una professione d’aiuto, se non di mero aiuto al filosofare, cioè al pensare e al ricercare nuove forme di pensiero; non una professione d’ascolto, se non nel senso che, per dialogare, è sempre necessario anche ascoltare; non una terapia, perché anzi è il suo contrario, il suo radicale abbandono; non ‘ cura di sé ‘ , se non nel senso che, occupandosi del modo di pensare il mondo, si occuperà anche del modo in cui si pensa se stessi; non formazione, se non in un senso estremamente indebolito e allargato del termine; non una ‘tecnica’, perché priva di un obiettivo preciso e predeterminato, se non quello di cercare ciò che non si conosce. Dunque non rimane che ribadire quel che fin dalla sua origine si è intenzionalmente voluto che fosse: la consulenza filosofica è filosofia. E lo è a buon diritto, perché ne condivide i tratti caratteristici, salvo metterli in pratica su un terreno diverso da quello della filosofia tradizionale: nella realtà concreta e quotidiana; con individui particolari, e per giunta non filosofi; alla ricerca di una comprensione del senso degli aspetti minuti e particolari della realtà, più che delle universalità; ‘improvvisando’ creativamente in modo istantaneo, quindi producendo comprensioni del reale forse spesso meno profonde, ma sempre e comunque di tipo filosofico” (pp. 75 - 76).
Queste righe, in cui l’autore stesso sintetizza felicemente il succo del suo discorso, possono suonare ovvie: sono invece semplici, di quella semplicità essenziale che si guadagna solo dopo aver attraversato le complicazioni accidentali. Ed essersene liberati. Infatti: negare che la consulenza filosofica sia “una professione d’aiuto”, “una professione d’ascolto”, “una terapia”, significa marcare nettamente la differenza da ogni approccio psicoterapeutico (fosse anche di orientamento ‘umanistico’ o ‘analitico esistenziale’). Negare che sia “una cura di sé” significa prendere le distanze dal modello foucaultiano che si pone più come una critica all’attività teoretica che come un suo aggiornamento. Negare che sia “formazione” significa distinguersi con decisione dal modello del canadese Raabe che tende, invece, ad identificare consulenza filosofica e insegnamento della filosofia. Negare che sia una “tecnica” significa, infine, evidenziare la differenza anche con un antecedente storico illustre: le scuole filosofiche ellenistiche che tendevano - soprattutto nel caso dell’epicureismo e dello scetticismo - a ridurre la filosofia a mero strumento di orientamento prassico.
Sgombrato l’orizzonte dai fraintendimenti, il profilo della consulenza filosofica si staglia con più precisione: ma anche intatto nella sua paradossalità. Infatti la consulenza filosofica incarna uno dei molti (almeno apparenti) paradossi della filosofia stessa: “essere una pratica teoretica; per questo, nella pratica filosofica quello che sempre conta è il modo in cui la teoresi attraversata nel processo di pensiero produce effetti pratici sul modo di essere, vivere e affrontare la realtà di chi ha filosofato” (p. 104).
Augusto Cavadi
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