“Centonove”
28.3.08
COM’E’ DEBOLE QUESTA CHIESA
Luigi Lombardi Vallauri è un noto filosofo del diritto proveniente da una famiglia che da generazioni gode di prestigio negli ambienti cattolici. A un certo punto della sua strada ha ritenuto, per onestà intellettuale, di dover abbandonare la propria appartenenza ecclesiale e di raccontare in un libro (Nera luce, Le Lettere, Firenze 2001) il suo passaggio dal cattolicesimo all’apofatismo. Anche il figlio Edoardo, di professione linguista, ha avvertito - strada facendo - l’esigenza di interrogarsi criticamente sulla propria confessione religiosa e di sondare la fondatezza di tutta una serie di dogmi, norme e costumi che, nell’opinione comune, viene ritenuta irrinunciabile per un cattolico. Così, in Capire la mente cattolica (Le Lettere, Firenze 2007), l’autore si chiede su quali basi la Chiesa romana nel XXI secolo continui a proclamare l’infallibilità del suo pontefice, attaccare il relativismo, a minacciare l’inferno eterno e via di seguito, pur constatando che, ormai, di solito, i suoi fedeli “fanno finta di niente”, “non litigano con sé stessi, e nemmeno con la chiesa”, “si comportano come pare loro più sensato, di fatto non si lasciano dire da nessuno come devono agire” (p. 8). La conclusione cui perviene Edoardo Lombardi Vallauri è che i fondamenti sia biblici sia razionali di questo complesso di insegnamenti siano debolissimi, tanto deboli che la stessa “chiesa docente” ne è consapevole. Essa però, invece di ammettere a lettere chiare e tonde che in questi venti secoli si è sbagliata su tanti punti e invece di concentrarsi sulle poche ma essenziali verità del vangelo, preferisce assumere “un comportamento quasi schizofrenico”: degli insegnamenti tradizionali più improbabili, si preferisce, dalla “maggior parte dei sacerdoti e in genere di chi ha funzioni di catechesi, parlarne il meno possibile. Si sorvola più che si può. Ma se qualcuno ha l’ardire di parlarne in modo critico, le reazioni sono di solito molto energiche. Non tanto contro le idee, perché questo comporterebbe appunto di parlarne , quanto contro la persona, che si cerca nei limiti del possibile di mettere a tacere” (p. 110).
Nella disamina delle “credenze” opinabili, un’attenzione specifica non poteva non meritarla la dottrina cattolica nell’ambito dell’etica sessuale e della bioetica. Tra le tante osservazioni in proposito, a scopo puramente esemplificativo possiamo segnalarne due o tre.
La prima è di carattere generale: come mai il vangelo parla così poco di sesso e il magistero cattolico attuale sembra, invece, ossessionato proprio dalla morale sessuale? L’autore ha una teoria, o per lo meno un sospetto: “Quando uno dei valori della sua scuderia è socialmente in ribasso, la chiesa mette il massimo impegno per difenderlo. (…) Capisce che se cede su quello, l’emorragia potrebbe diventare inarrestabile. E allora, finisce per anteporre quel valore ad altri che necessitano di minor difesa perché sono meno minacciati. Ma spesso l’opinione comune si muove in direzioni giuste, e i valori che cadono in ribasso sono quelli meno importanti o addirittura ormai sbagliati. Quindi, paradossalmente, quanto più un valore è sbagliato, marginale, anacronistico, tanto più energicamente la chiesa finisce per scendere in campo a sua difesa” (p. 84).
Una seconda osservazione: è proprio vero che il sesso fuori dal matrimonio (tesi cattolica) e/o da una relazione d’amore esclusiva (tesi romantica) non possa “essere felice” né “fonte di qualche felicità“? La tesi che Lombardi Vallauri prova ad argomentare è che “quando due si amano veramente, ogni altro sesso, con ogni altra persona, diventa una prospettiva pallida che non attira più″ (”la vera fedeltà scaturisce da questo, e ogni altra fedeltà è posticcia”). Tuttavia non ci sono motivazioni logiche né esperienziali per negare che “il sesso è bello anche quando non ci si ama così infinitamente, cioè quando ci si ama molto, abbastanza, un pochino, pochissimo e perfino per niente. Naturalmente a seconda di quanto amore si mescola, il sesso si colora di più o di meno della grande dolcezza che dà il sentire la propria vita legata alla vita dell’altro. Ma anche senza quella infinita dolcezza, il sesso è piacevole e può essere molto divertente. E fino a prova contraria, se non fa del male a qualcuno, ciò che è piacevole e divertente contribuisce a rendere un po’ più felici” (pp. 73 - 74).
E’ vero comunque che, in tanti casi personali, “il sesso fatto decisamente a freddo e per puro divertimento” provoca “un istintivo disagio, un senso di non-bello, di fuori posto”. Ma - e questa è una terza considerazione - è probabile che la causa principale di queste esperienze individuali vada ricercata “nella pressione ideologica che esercita sulle persone, nella nostra civiltà, il modello romantico - cattolico” di amore. Se, invece, “si sono rimossi questi condizionamenti, se entrambi gli interessati concepiscono fin dall’inizio l’incontro come qualcosa che sarà semplicemente divertente, emozionante, eccitante, piacevole, anche tenero, ma non impegnativo, allora si può star bene insieme, scherzare, giocare, e non sentirsi assolutamente in colpa. Proprio come due persone che giocano a tennis o fanno volentieri windsurf insieme ” (pp. 75 - 76). Aggiungerei un’avvertenza: l’eros è più furbo di quanto non sospettiamo. In molti casi una relazione inizialmente leggera, negoziata come tale dai due partners, si trasforma in qualcosa di più esigente. Se questo avviene per entrambi, è l’inizio di un rapporto di coppia fortunato. Ma se avviene per uno solo dei due (non ci sono regole fisse: non è più vero, se mai lo è stato, che la donna impara a fare sesso man mano che ama di più e l’uomo impara ad amare facendo più sesso con una persona), è l’anticamera dell’inferno.
Augusto Cavadi
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