venerdì 1 febbraio 2008

IL PRESIDENTE CONDANNATO


“Narcomafie”, febbraio 2008

MA IL CUFFARISMO E’ VIVO E VEGETO

Lo Statuto speciale siciliano prevede che al presidente della Regione spetti “la direzione dei servizi di pubblica sicurezza” operanti nell’isola. Per fortuna, anche questa norma - come altre - è rimasta inchiostro su carta. Se così non fosse stato, in sessanta anni avremmo avuto più di un presidente soggetto e oggetto, nello stesso tempo, di indagini giudiziarie: che, in qualche caso, si sarebbero concluse con sentenze di condanna.
Le vicende di Salvatore Cuffaro spiccano, infatti, non per la loro inedita novità; piuttosto per il genere di reato di cui è stato ritenuto colpevole da un tribunale di primo grado: favoreggiamento di boss mafiosi a cui ha fatto pervenire informazioni riservate su provvedimenti (per esempio intercettazioni ambientali) decisi a loro carico.
Solo arbitrariamente si può scegliere di evidenziare alcune tra le numerose considerazioni circolate in questi giorni drammatici sui giornali e fra la gente.

Una prima perplessità riguarda l’anomalia, almeno a prima vista e senza aver letto le motivazioni dettagliate della sentenza, di una condanna per aver favorito una serie di insigni associati a Cosa Nostra (Domenico Miceli, Vincenzo Greco, Giuseppe Guttadauro, Salvatore Aragona) che però non include il favoreggiamento a Cosa nostra come associazione.
Una seconda perplessità riguarda l’anomalia giuridica, difficile da interpretare per chi si accosta alla legislazione vigente attrezzato solo di buon senso, per cui uno stesso cittadino può essere interdetto perpetuamente dai pubblici uffici ma continuare a presiedere una giunta di governo regionale (o, nel caso lo preferisca, dimettersi per diventare deputato nazionale, senatore della Repubblica o direttamente ministro).
Una terza considerazione viene suggerita dal comportamento schizofrenico di quei cittadini che, da una parte, ritengono particolarmente odiosa la speculazione economica sulla pelle dei malati (l’ingegnere Michele Aiello, condannato a 14 anni per mafia e ritenuto prestanome di Provenzano, ha concordato nel retrobottega di una merceria di Bagheria con il suo coimputato Cuffaro il tariffario - risultato poi sovradeterminato - dei rimborsi da parte del sistema sanitario regionale delle prestazioni mediche elargite nella sua clinica privata), ma dall’altra ribadiscono in forma pubblica e vivace la loro indefettibile fedeltà elettorale all’ex- Governatore.
Una quarta considerazione è stata imposta dai festeggiamenti, a base di cannoli di ricotta fresca, di Cuffaro nella sede istituzionale più alta (l’Assemblea regionale), dopo aver appreso la sentenza di condanna. Se questo stile è moralmente e civicamente giustificabile, non c’è nulla da eccepire sull’euforia degli ammiratori di Andreotti che si trasmette - per così dire da porta a porta - da quando una sentenza giudiziaria ha confermato i suoi rapporti con Cosa nostra (però solo sino al 1980); anzi, sarà prevedibile che le strade del Paese saranno perennemente intasate da decine di cittadini (attorniati da migliaia fra parenti, amici, vicini di casa e simpatizzanti) che ogni giorno daranno sfogo all’entusiasmo per essere stati condannati dai tribunali della Repubblica a non più di cinque anni di reclusione per volta.
Una quinta considerazione è suggerita da silenzi tombali che solo voci isolate, pericolosamente isolate, hanno avuto in queste ore il coraggio di infrangere. Cuffaro non è solo un cattolico convinto e praticante, ma un cattolico che ha fatto della sua appartenenza ecclesiale una bandiera da esporre ai quattro venti. Ha chiamato un prete di periferia, generoso quanto ingenuo, a ricevere - in una stanza del Palazzo d’Orleans - i questuanti giornalieri cui distribuire elemosine e piccoli doni. Ha persino ritenuto opportuno supplire alla disattenzione dei vescovi siciliani, assumendo l’iniziativa plateale di consacrare la Sicilia alla Madonna delle lacrime di Siracusa. Ebbene, non è per lo meno strano che nessun esponente autorevole della comunità ecclesiale si sia fatto avanti in questa occasione per chiedergli un gesto di coerenza con gli ideali evangelici da lui strombazzati in tempi opportuni e inopportuni? Sinora si è appreso pubblicamente solo che alcune comunità si sono raccolte in varie chiese della Sicilia per pregare per lui prima della sentenza e che, dopo la sentenza, il parroco di Cuffaro, don Aldo Nuvola, abbia chiesto, a conclusione della celebrazione eucaristica domenicale, la solidarietà a un uomo ingiustamente perseguitato (”come Andreotti”) dalla “casta cattiva dei magistrati”. In senso contrario, solo una comunità cattolica di Ballarò ha avvertito il bisogno di chiedere perdono a Dio e ai concittadini per il pessimo esempio che il confratello Cuffaro ha dato e dà con i suoi reati (se saranno confermati anche in secondo e in terzo grado), con le sue frequentazioni e con il suo stile clientelare (che non hanno bisogno di nessuna conferma essendo da decenni davanti agli occhi di tutti).
Una quinta (e provvisoriamente ultima) considerazione nasce dalla constatazione che la stragrande maggioranza del popolo siciliano ha avuto la possibilità di evitare tutto questo (e molto altro ancora che non verrà mai alla luce dei processi giudiziari) con le armi della democrazia e , altrettanto democraticamente, l’ha sciupata. Alle ultime elezioni Cuffaro ha vinto non battendo un ‘qualsiasi’ candidato di centro-sinistra dalla storia ambigua, ma Rita Borsellino. Gli elementi per una opzione, anche simbolicamente ed eticamente netta, c’erano tutti (come mai prima di allora): ma la paura di perdere i mille piccoli favoritismi ha prevalso sulla prospettiva di un futuro di dignità. E’ stato il carisma onnipotente di un Puffo tracimante baci e abbracci? Se così fosse, le sue dimissioni sarebbero state motivo di sollievo nell’immediato, di speranza in prospettiva. Purtroppo però è un po’ come nel sistema mafioso: più decisiva della personalità del capo si rivela la struttura di potere di cui quella singola individualità era espressione. Temo dunque che, eclissatosi (con la fattiva solidarietà di Casini e di Cesa, forse per pochissimo tempo) Cuffaro, resterà in piedi - vivo e vegeto - il cuffarismo. O come si voglia chiamare l’intricata rete di interessi, scambi di favori, accordi sottobanco in cui si riconosce senza complessi morali il 60% della popolazione siciliana. Una ragnatela vischiosa che non si può identificare con la mafia (la quale “fa schifo” persino a Cuffaro, stando ai manifesti da lui fatti affiggere per le strade dell’isola), ma senza la quale la mafia sarebbe da tempo scomparsa.
Quando il 40% dei siciliani che non si riconoscono nella cultura della solidarietà familistica cominceranno a dare segni concreti di resipiscenza; quando non accetteranno di scambiarsi raccomandazioni fra loro sia pur a titolo eccezionale; quando smetteranno di litigare per stabilire chi è più duro e puro degli altri; quando decideranno di azzerare i compromessi e di imparare l’arte della mediazione politica… forse sarà possibile che diventino un polo di riferimento. Che convincano i più scoraggiati, specie tra i giovani. Che possano finalmente aprire una campagna elettorale in cui l’obiettivo del 51 % cessi d’apparire un sogno senza fondamenti.
Allora, ma non un momento prima, darò fondo a tutti i risparmi di una vita e mi precipiterò davanti al Palazzo dei Normanni per offrire agli onorevoli deputati in uscita cannoli di ricotta fresca.

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