Repubblica - Palermo
20.2.2008
UNA LEZIONE DIMENTICATA
Che l’Azione Cattolica di una parrocchia programmi una serie di incontri su fede cristiana e mafia è una buona notizia. Che il titolare della stessa parrocchia accetti l’idea, la pubblicizzi sul sito web ed offra ospitalità per i primi due appuntamenti è anch’essa una buona notizia. Che, al terzo appuntamento - come abbiamo appreso ieri dalle cronache cittadine - relatori e pubblico trovino le porte sbarrate è, invece, una cattiva notizia. Lo è se, dietro le motivazioni ufficiali, ci fossero ragioni inconfessate (intimidazioni, lusinghe o pressioni d’altro genere); ma lo è anche se le motivazioni dichiarate fossero le uniche vere. Il parroco, infatti, sostiene che l’inizio di alcuni lavori edili (successivo ai primi due incontri) avrebbe reso inagibile il salone parrocchiale e che l’incontro non si poteva spostare all’interno della chiesa perché una norma della Conferenza episcopale italiana vieterebbe di ospitarvi “eventi sociali con risvolti politici”.
Una prima considerazione viene suggerita dalla mentalità legalistica che traspare da dichiarazioni di questo tenore. Una cosa è infatti la legalità, il rispetto delle regole anche all’interno della propria chiesa; un’altra cosa il legalismo, l’obbedienza feticistica senza nessuna elasticità. Che i vescovi sconsiglino di tenere negli spazi di culto incontri pubblici dove si possano scontrare opinioni differenti, mi pare una norma di buon senso elementare. Ma se ci si trova in una situazione eccezionale, imprevista, transitoria - come dei lavori di manutenzione nei locali parrocchiali adiacenti - deve prevalere la fedeltà alla ‘lettera’ della legge o alla propria missione? Ci si deve attenere burocraticamente ad una circolare o, piuttosto, privilegiare la crescita culturale e civile della propria comunità? Gesù di Nazareth - dal cui stile abituale, forse, un prete cattolico avrebbe qualcosa da imparare - ironizzava con quanti trovavano da ridire perché i suoi discepoli, se affamati, raccoglievano spighe dai campi anche di sabato, infrangendo la Legge mosaica: “E se vi cade un asino o un bue in un fosso, aspettate che passi la giornata festiva per tirarli fuori? Dio non ha fatto l’uomo in funzione del Sabato, ma il Sabato in funzione dell’uomo!”.
Ma - questa è una seconda considerazione - si sarebbe trattato, comunque, di una trasgressione? Il divieto dei vescovi si riferisce a ” eventi sociali” con risvolti “politici” o con risvolti “partitici”? Può sembrare una distinzione bizantina: in realtà è sostanziale. Chi conosce personalmente e da anni don Giuseppe Di Giovanni riferisce che, nel suo vocabolario, come nel vocabolario della stragrande maggioranza della gente, i due aggettivi si equivalgono. Ma questa grossolanità linguistica tradisce confusione di idee e partorisce decisioni infelici. Che le chiese debbano astenersi dal fare politica nel senso volgare e usuale, dunque evitare di prendere posizioni in campagna elettorale per questo o per quell’altro schieramento, mi pare una direttiva saggia (e, per la verità, non sempre rispettata neppure da quegli stessi vescovi che la emanano). Che le chiese debbano astenersi dal fare politica anche nel senso nobile e preciso, dunque trascurare le occasioni per tenere alta l’attenzione dei fedeli sui valori etici fondamentali (che, secondo i vangeli, sono la giustizia sociale, la solidarietà verso i sofferenti, la resistenza nonviolenta ai nemici, l’amore per la natura, la sobrietà nei consumi…molto prima e molto più che i comportamenti sessuali), sarebbe una direttiva stupida e miope: che, infatti, nessun organismo ecclesiale si è mai sognato di emanare (sostenendo, almeno ufficialmente, esattamente il contrario). Lunedì sera, nella parrocchia di san Basilio Magno, non erano attesi i candidati di schieramenti elettorali opposti, ma tre testimoni di spessore etico e ‘politico’ al di sopra di ogni sospetto: un dirigente della Confindustria siciliana per spiegare i recenti provvedimenti interni contro gli associati che s’intestardissero a pagare il pizzo; un giovane di “Addiopizzo” per spiegare le difficoltà e le gratificazioni morali di una rivolta popolare contro il sistema mafioso; un imprenditore che è stato disposto, coraggiosamente, a ribellarsi a viso aperto contro la criminalità organizzata anche a costo di subirne alcuni seri contraccolpi. Se non avessero trovato le porte sbarrate, avrebbero potuto rendere comprensibile in maniera semplice ed efficace la lezione di don Milani: tutti abbiamo problemi; uscirne da soli è avarizia, mettersi insieme è politica. Di quante centinaia di prediche domenicali, in liturgie perfettamente a norma, avrà bisogno don Giuseppe in futuro per far capire questa lezione ai fedeli (e, forse, prima ancora, a sé stesso)?
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