Centonove 25.1.2008
Qui di seguito una traccia dell’intervento di Augusto Cavadi al seminario di formazione etico-politica organizzato il 29 settembre 2007 dall’Associazione “Donne per Messina”.
FILOSOFIA AL SERVIZIO DELLA POLITICA
In questo incontro cercheremo di rispondere, insieme, ad una domanda un po’ insolita: c’è un rapporto fra la filosofia e la politica? Per rispondere occorre precisare, preliminarmente, cosa intendiamo per ‘filosofia’ e cosa intendiamo per ‘politica’. La mia proposta è d’intendere la filosofia non come una disciplina scolastica (la storia delle idee prodotte in Occidente dai greci ad oggi) né come una disciplina universitaria (la proposizione argomentata di nuovi sistemi teoretici), ma in una terza accezione che si accompagna, senza polemica, con le prime due: la filosofia come pratica quotidiana (l’esercizio critico della ragione sulle esperienze personali e sociali). Letteralmente filo-sofia dovrebbe tradursi con “passione per la sapienza” ma, per rendere meglio l’angolazione che vorrei proporre oggi, la tradurrei con “passione per la saggezza”.
Cosa intendere, sempre in via preliminare, dunque ipotetica ed approssimativa, con ‘politica’? Anche qui mi servirebbe una torsione rispetto al linguaggio ordinario: la politica non come tecnica del potere (soprattutto attraverso la gestione degli apparati partitici), bensì come “arte della convivenza”.
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Chiarite le due parole-chiave della riflessione odierna, proviamo a scandagliarle più in profondità una dopo l’altra.
La filosofia come passione per la saggezza: dunque come ricerca del sapere e del saper vivere; come capacità di ben pensare ma anche di agire in conseguenza di ciò che si pensa. Così concepita, la filosofia è una possibilità per tutti (in linea di diritto), ma una prerogativa di pochi (in linea di fatto): non tutti quelli, insomma, che hanno la potenzialità per filosofare, mettono a frutto effettivamente tale risorsa. E perché mai lo dovrebbero? Esaminerei, per farla breve, i cinque motivi principali peri quali, a mio parere, è opportuno coltivare - sia pure non da professionisti - la filosofia. Come potete leggere nelle prime pagine del mio “E, per passione, la filosofia. Breve introduzione alla più inutile di tutte le scienze” (Di Girolamo, Trapani 2006), il primo motivo è il piacere di conoscere: cercare di penetrare con la mente al di là dei veli che nascondono la realtà delle cose, indipendentemente da interessi tecnici o economici, può farci piacere esattamente come guardare con gli occhi un panorama o un bel corpo o un’opera d’arte. Un secondo motivo è più legato alla nostra dimensione lavorativa: la filosofia può aiutarci a riflettere sul senso, sui metodi e soprattutto sugli scopi della nostra attività professionale (di ingegneri, biologi, avvocati o maestre di scuola materna). Un terzo motivo ci tocca non come parlamentari o come operai, per esercitare con più consapevolezza il nostro mestiere, ma come persone: per vivere più consapevolmente la nostra esistenza. Perché amare, perché affrontare le sofferenze, perché impegnarsi anche senza previsione di un ritorno a nostro vantaggio? Ecco alcune domande che la filosofia è solita affrontare per orientarsi nella vita. Un quarto motivo scaturisce dalla nostra condizione mortale: la fragile finitudine del nostro essere ci fa ipotizzare un Tu trascendente, ma si tratta di un’ipotesi plausibile? Le religioni promettono molto, ma molto fanno pagare come prezzo delle loro promesse: la filosofia può accompagnarci nell’assumere posizioni critiche in campo teologico. Infine un quinto motivo - con cui entriamo in pieno nella problematica di questo incontro: la filosofia può sostenerci nel tentativo di agire in politica con responsabilità. Facendoci riflettere (come abbiamo provato insieme nel ciclo precedente sulle ideologie del Novecento) sulle diverse culture politiche, ci può consentire di lavorare per la città non solo con il cuore, ma anche con la testa. Max Weber ce l’ha insegnato: chi vuole agire in politica non deve avere solo ferme convinzioni di principio, ma anche la lucidità di prevedere le conseguenze storiche, oggettive, delle sue decisioni.
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Qualche considerazione sulla seconda parola-chiave: la politica. Gli esperti fanno notare che essa, in Occidente, ha attraversato tre grandi stagioni. Nel mondo greco è stata intesa e praticata come partecipazione al proprio microcosmo (la città, la “polis” appunto). Con il rinascimento e la formazione degli Stati nazionali moderni la politica non è stata più un’autogestione sociale, popolare, della ‘cosa pubblica’ (della ‘res publica’), ma si è andata configurando come il diritto-dovere di un ceto (i governanti) a favore, o a spese, degli altri strati sociali (i governati). Fare politica, da Machiavelli ai nostri giorni, ha significato saper gestire gli apparati dello Stato (soprattutto dei tre poteri fondamentali: legiferare, amministrare, giudicare). Oggi, accanto ed oltre alla politica centrata sullo Stato, si va profilando una terza interpretazione: la politica come impegno diffuso per migliorare la qualità della vita (locale e planetaria). Un impegno che sia, ovviamente, non solo individuale e/o occasionale, ma collettivo e sistematico: come diceva don Milani, affrontare da soli i propri problemi è egoismo, affrontarli con gli altri è politica.
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Dopo aver telegraficamente chiarito cosa intendiamo per filosofia e cosa per politica, possiamo finalmente rispondere - concludendo - alla nostra questione: come la filosofia può avere degli effetti chiarificatori e delle ricadute rafforzative rispetto al nostro agire per il bene della città?
Innanzitutto, direi che la filosofia può agevolare il nostro impegno politico plasmando la nostra soggettività: come ha scritto efficacemente Hadot, sono numerosi quelli che si immergono nella preparazione della rivoluzione sociale, ma rarissimi i capaci di rendersi degni della rivoluzione che vogliono preparare. Ancora: la filosofia può spezzare la cappa della miopia amministrativa ed aprire orizzonti utopici. Edgar Allan A. Poe l’ha saputo esprimere felicemente: chi sogna solo di notte si perde molte cose che si manifestano a chi sa sognare anche di giorno. Ma non vorrei confermare il pregiudizio secondo cui la filosofia serve solo a volare trentamila metri sopra il cielo. Essa, infatti, può svolgere egregiamente un terzo compito: elaborare un metodo di discussione razionale fra i cittadini di diverso orientamento ideale e di diversi interessi materiali. La cattiva filosofia ci può istruire sull’arte del compromesso, ma quella valida sull’arte della mediazione democratica. Pensatori contemporanei come J. Rawls si sono impegnati, lungo tutta l’arco della loro attività, a stabilire le regole migliori per arrivare ad un consenso sociale che non sia più basato sulla minaccia dei più forti nei confronti dei più deboli.
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