“Repubblica - Palermo”
11.1.08
LE ASSUNZIONI DEI DOCENTI CON IL CRITERIO CLIENTELARE
Alcuni anni fa, quando Piero Grasso era ancora a capo della Procura della Repubblica di Palermo, ebbi modo di chiedergli - nel corso di un seminario pubblico - come mai il CSM permettesse che l’organico dei magistrati in Sicilia fosse ampiamente deficitario (soprattutto in sedi ‘calde’ come Trapani e Gela). Più che una risposta, per la verità, ricevetti una contro-domanda: “Come mai voi docenti, sia delle scuole superiori che delle facoltà universitarie, ci mandate degli aspiranti magistrati che non sanno scrivere correttamente?”
La sua risposta mi colpì al punto che la riproposi, come tema di riflessione, ai colleghi del liceo in cui insegnavo. Me ne ricordai, tempo dopo, ascoltando la battuta di un professore di diritto impegnato a spiegare, ad un visitatore inglese, perché nelle nostre università si evitassero le prove scritte e si eccedesse nelle orali: “E’ per ragioni di democrazia. Se dovessimo selezionare in base agli scritti, l’80% dei candidati sarebbe escluso in partenza”. E me ne sono ricordato in queste ore leggendo che all’ultimo concorso per magistrati solo 319 su 4.000 hanno superato la prova, così che decine di posti disponibili sono rimasti vuoti.
A ben riflettere, per il Meridione italiano si tratta di un dato paradossale. Quando l’economia si fondava sull’abbondanza delle materie prime, sulle industrie e sulle infrastrutture pesanti, arrancavamo rispetto al Nord: ora che l’economia si smaterializza e la conoscenza tende a prevalere su altre modalità produttive, ci facciamo sorpassare dai Sud del mondo perché India e Cina esportano cervelli, rielaborano saperi, vendono informazioni. Insomma: non è mai l’ora opportuna per salire sul treno giusto.
Non oso appellarmi alle responsabilità soggettive degli insegnanti sia perché so, per ripetute esperienze pregresse, che molti di loro sciorinano in questi casi una lista stucchevole di giustificazioni; sia, soprattutto, perché certe situazioni ormai sclerotizzate possono spezzarsi solo con interventi sistemici, strutturali, politico-legislativi. Alla radice dei quali sarebbe evidente - e proprio per questo improbabilmente realizzabile - rinnovare i meccanismi di reclutamento del personale docente. La logica degli Scolastici medievali, almeno in certe circostanze, è di una lucidità inesorabile: nessuno può dare ad altri ciò che non ha in sé. Se i professori arrivano sulle cattedre universitarie per clientelismo o, nella migliore delle ipotesi, per cooptazione accademica e sulle cattedre scolastiche attraverso canali assai scarsamente selettivi, perché stupirsi della loro incapacità di (o della loro scarsa propensione a) impegnarsi molto nell’insegnamento e pretendere altrettanto in sede di verifiche finali?
Forse due esemplificazioni possono illustrare l’enormità della questione. La prima: in questi anni stanno andando in pensione i primi professori assunti 30 anni fa dall’amministrazione provinciale di Palermo per il Liceo linguistico. Non solo da alcuni aspiranti esterni, ma persino da qualche docente interno, fu allora chiesto che si accedesse in ruolo mediante una qualche forma di concorso pubblico per titoli ed esami: ma invano. Il concorso fu bandito e poi rimandato a data da destinarsi: dopo tre decenni non si è trovato ancora il momento adatto per svolgerlo. E, intanto, gli incaricati temporanei (ovviamente prescelti sulla base di criteri del tutto familistico-amicali) sono stati stabilizzati per anzianità di servizio. La seconda esemplificazione: un laureato in giurisprudenza mi ha raccontato di aver affrontato, a distanza di poche settimane, sia il concorso per insegnante di diritto sia il concorso per magistrato. La prima volta venti concorrenti in un’aula, vociare ininterrotto per cinque ore, ampia consultazione di volumi e volumetti d’ogni risma, pizzini che circolavano senza impedimenti sotto lo sguardo impassibile dei tre incaricati alla sorveglianza; la volta successiva, cinque concorrenti per ogni aula, silenzio tombale, possibilità di consultare esclusivamente le copie dei codici preventivamente controllate e siglate dalla commissione, vigilanza ininterrotta di un carabiniere su ogni candidato all’opera. Perché stupirsi se nel primo caso si è avuta una marea di idonei (equamente divisa fra chi restava lo stesso disoccupato per mancanza di cattedre e chi le andava ad occupare per novecento euro al mese) e nel secondo caso il numero dei vincitori (con stipendi mediamente doppi rispetto agli insegnanti) è risultato inferiore ai posti messi a concorso?
Ecco, a ben pensarci, i vuoti di organico in magistratura potrebbero colmarsi facilmente: basterebbe che, per una o due tornate, il numero dei docenti assunti nelle scuole risultasse la metà dei posti a concorso. E che gli emolumenti mensili raddoppiassero di conseguenza.
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