“Repubblica - Palermo” 15.12.07
Augusto Cavadi
L’ANTIMAFIA NELLE SCUOLE
E’ di queste ore la notizia che i deputati Beppe Lumia e Giuseppe Giulietti hanno presentato alla Camera una proposta di legge che preveda un’ora settimanale di insegnamento antimafia nelle scuole medie (primarie e secondarie) dell’intero territorio nazionale.
Sulla validità delle intenzioni non ci sono dubbi ed anche nel merito la proposta legislativa ha diversi pregi. Innanzitutto sarebbe un modo per ribadire, in forma per così dire ufficiale, che - come spiega lo stesso Lumia in una dichiarazione - non si può contare esclusivamente sulla pur preziosa “attività repressivo - giudiziaria dello Stato”, ma “si deve costruire una risposta di sistema. E cioè lavorare sul fronte sociale e culturale”. Dunque: non bastano gli arresti eccellenti (Riina, Provenzano, Lo Piccolo) e neppure le normative, contenute nel pacchetto sicurezza sui patrimoni espropriati ai mafiosi. In secondo luogo il senso della proposta di legge sarebbe di sprovincializzare la questione mafiosa e sanzionare, con una legge nazionale, che educare a conoscere e a combattere le organizzazioni criminali non è un compito da riservare ad alcune regioni meridionali più sfortunate: tutto il Paese, in misura talora inimmaginabile (la Lombardia è la regione con il più alto numero di sequestri di immobili a mafiosi; l’Emilia - Romagna è una delle regioni in cui le mafie di mezzo mondo investono e riciclano proventi illeciti…), è un po’ complice ed un po’ vittima. Infine c’è almeno un terzo pregio di questa proposta: evitare che l’educazione antimafia sia un fulmine a ciel sereno, fare in modo che entri nell’ordinarietà del curriculum di uno studente. Non so quanto abbia senso la giornata del risparmio o della donazione del sangue: sicuramente non ne ha la giornata di educazione alla legalità democratica.
Eppure. Eppure - nonostante questi aspetti decisamente apprezzabili - spero che la proposta non venga approvata e non diventi esecutiva. Non c’è nulla di tanto interessante da sfuggire alla banalizzazione della normalità scolastica. Se si vuole strappare l’anima ad un poeta, ad una ricerca scientifica, ad una sperimentazione tecnica, ad un’opera di filosofia - se si vuole ridurre un capolavoro dell’ingegno umano a fantasma, a cadavere - basta renderne lo studio obbligatorio per legge. Non c’è censura statale o ecclesiastica più efficace per rendere inodore, insapore e inerme una qualsiasi novità teorico-pratica. Basti vedere che cosa è, nella stragrande maggioranza delle scuole, l’ora di educazione civica o l’ora di informatica. Per non abusare dell’esempio, troppo di moda in questi giorni in cui Benigni ne sta mostrando ad evidentiam la bellezza e la forza dirompente, della Divina Commedia.
E allora, che fare? Lasciamo tutto come prima? Sarebbe peggio di qualsiasi sperimentazione zoppicante. Possiamo, piuttosto, cogliere l’occasione perchè il Parlamento, recependo lo ’spirito’ della proposta, ne approfondisca e ne migliori le articolazioni. Nell’impossibilità di riassumere un ragionamento più completo che, con alcuni amici, ho provato recentemente ad elaborare (nel libro A scuola di antimafia), mi limito a due indicazioni di massima. La prima è che non si possono cercare scorciatoie: se si vogliono educare alla legalità democratica gli alunni, bisogna passare per la fase faticosa dell’autoformazione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici. Sino a quando presidi, professori, personale amministrativo ed ausiliario avranno idee sbagliate su che cos’è davvero la mafia e su come essa distrugge il tessuto connettivo sociale; soprattutto sino a quando le loro pratiche quotidiane saranno improntate a favoritismi, accanimento sui deboli, vigliaccheria nei confronti degli studenti violenti e dei genitori potenti, nessuna “ora di antimafia” ribalterà una cultura e aprirà un futuro migliore. Per raggiungere (o per avvicinarsi gradualmente) a tale traguardo pedagogico e politico il Parlamento potrebbe - e questa sarebbe una seconda indicazione concreta - estendere a tutta l’Italia e incrementare qualitativamente e finanziariamente quelle leggi regionali (attualmente in vigore in sei o sette regioni soltanto) che prevedono il sostegno non, velleitariamente, a pioggia, bensì a quegli istituti e a quelle facoltà universitarie in cui un gruppetto di docenti motivati riesce a predisporre progetti precisi di interventi educativi. Certo, non si tratta di metodologie infallibili: hanno esposto il fianco ad abusi e a distorsioni, ma in molti casi hanno prodotto risultati positivi. In ogni ipotesi, si tratta di procedere per contagio progressivo, a macchia di leopardo: un processo meno entusiasmante di una imposizione normativa nazionale, ma forse più realistico e produttivo. D’altronde, la pedagogia dei mafiosi insegna: per ottenere consensi al codice culturale di “Cosa nostra” e dintorni, i proclami non servono. Più efficace il lavoro persuasivo, silenzioso e quotidiano, di minoranze organizzate. Che, soprattutto, prediligano- rispetto allo spreco degli slogan - il linguaggio dei fatti concreti.
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