Centonove 2.11.07
Augusto Cavadi
FILOSOFIA MEDIEVALE, E POI?
All’inizio dell’autunno Palermo ha ospitato il XII congresso mondiale di filosofia medievale. A prima vista, un tipico esempio di evento del tutto esterno ed estraneo alla vita della città. Ma è andata proprio così? E, in ogni caso, cosa resta da fare adesso perché si raccolgano i frutti dell’imponente iniziativa?
Non mi riferisco, prioritariamente, all’aspetto turistico-sociale (anche se non mi pare irrilevante che centinaia di professori e ricercatori provenienti dai cinque continenti abbiano avuto modo di conoscere da vicino Palermo, al di là degli stereotipi, nei suoi vizi effettivi come nei suoi non piccoli pregi), ma proprio al significato culturale dell’assise: alle sue potenzialità di crescita intellettuale e civile.
Il cittadino medio non ha avuto né il tempo né la pazienza per seguire decine di relazioni e dibattiti, spesso in lingue diverse dall’italiano, per giunta su argomenti per lo più tecnici. Le analisi accurate sul contesto storico in cui è vissuto il pensatore islamico del dodicesimo secolo Ibn Tufayl’s Havy ibn Yaqzan (chi era costui?) o sul trattato De amore di Andrea Cappellano (chi era quest’altro?) avranno appassionato i tre o quattro competenti della materia, non certo l’opinione pubblica alle prese con interrogativi ben più concreti e immediati. Ma il convegno ha dimostrato che la filosofia non è essenzialmente ricostruzione filologica e storica di testi, bensì interrogazione radicale sull’enigma della vita individuale e universale: perciò i diversi intellettuali, soprattutto insegnanti, siciliani che hanno partecipato - in tutto o in parte - al convegno potranno ‘tradurre’ per un pubblico più ampio - a cominciare dagli studenti universitari e liceali delle città di provenienza- alcune acquisizioni emerse dall’imponente nella settimana di studio.
Un dato incoraggiante è che alcuni interventi hanno provato ad osare uno sguardo ben oltre le dispute specialistiche (per altro, al loro livello, ineludibili) sull’interpretazione di un’opera minore del XIV secolo o addirittura di un singolo termine latino in essa ricorrente. Mi riferisco, pescando quasi casualmente tra le fitte pagine del programma, alla relazione di José Luis Cantòn Alonso sull’uomo come “luogo” in cui si manifesta l’universalità; o alla riproposizione, da parte di Giuseppe Allegro, della questione sull’onnipotenza di Dio; o alla focalizzazione, proposta da Mariana Paolozzi, del rapporto fra ragione e fede in funzione della ricerca della felicità. Come si sviluppano le idee? è la questione, non certo superata, cui ha provato a rispondere Mikko Yrjonsuuri, mentre Maria Lucilla Vassallo ha indagato, in un’ottica interculturale, Il femminile nelle filosofie tantriche shiva. Ma gli interventi dai titoli intriganti non hanno di certo scarseggiato: per esempio di Olli Hallamaa sull’eredità delle dispute teologiche nell’attuale ricerca sui calcolatori elettronici o di Aurélien Robert sull’atomismo nel Medioevo o di Gabriela Kurylewicz sulla musica come sintesi tra vita attiva e vita contemplativa. Altri contributi - quali Contro la teologia: una rivoluzione alla Kuhn di Howard Wettstein o Disordini mentali e ragione nel tardo Medioevo di Vesa Hirvonen o Padrona di casa, moglie, madre di Pavel Blazek o Implicazioni filosofiche di alcune opere sull’omosessualità di Carlo Chiurco o Persecuzione e soppressione fisica degli eretici nella tradizione teologica latina di Luciano Cova o La repressione dell’eresia nel pensiero scolastico di Guglielmo Russino - si sono configurati davvero provocatori. Anche perché - come nel caso della trattazione sull’universalità della ragione nel pensiero islamico da parte di Giuseppe Roccaro (in quanto docente palermitano ha esercitato, con la consueta signorile affabilità, gli ‘onori di casa’) - hanno sollecitato gli stessi musulmani a riscoprire dimensioni di laicità e di apertura di cui, nel Medioevo, sono stati esemplari esponenti.
Che questo congresso si sia svolto nel capoluogo della Sicilia presenta un significato storico e attuale da non trascurare: il Medioevo è stato per la nostra isola un’epoca di particolare splendore (ovviamente in relazione ai limiti di quel tempo). Nel basso Medioevo, infatti, i normanni e il loro ultimo erede, Federico II di Svevia, seppero creare un clima di accoglienza e di interazione fra culture ed etnie disparate: non solo gli indigeni siciliani con i normanni provenienti dalla Francia, ma anche ebrei, arabi, bizantini, latini, tedeschi poterono convivere nelle stesse città e cooperare, lasciando fra l’altro monumenti di insuperata bellezza come le cattedrali di Palermo, Monreale e Cefalù. Ognuno poté esprimersi nella propria lingua, senza la minaccia dell’omologazione forzata: l’integrazione avvenne (sino al 1492, quando il fondamentalismo cattolico di Isabella di Castiglia decretò l’espulsione di ebrei e musulmani) in nome del pluralismo e del rispetto delle minoranze. Che non ci sia qualche lezione che meriterebbe, oggi, di essere recuperata e valorizzata?
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