Centonove 26.10.07
Augusto Cavadi
GRAZIE, PASTORE VALDO
Ci sono siciliani che hanno vissuto con l’intenzione determinata di lasciare la loro terra un po’ migliore di come l’hanno trovata, e ci riescono. Il pastore Valdo Panascia, deceduto sabato, è stato uno di questi. L’ultima volta che andai a visitarlo - tre anni fa - portava a fatica il peso della distanza crescente fra una mente sempre lucida e la complessione fisica indebolita di un vecchio che ha superato la soglia dei novant’anni. Sapeva che la fede cristiana non esonera da fasi di travaglio psichico e morale, neppure se sei un ministro di Dio.
Eppure, raccontandomi alcuni passaggi salienti della sua lunga esistenza, gli occhi di quest’omino ormai curvo si illuminavano ancora: forse di orgoglio, certo di gioia. Col tono sommesso di chi fugge spontaneamente la retorica, cercando ogni tanto il silenzioso conforto della moglie, rievocava le battaglie - talora vinte, sempre nonviolente - di un protestante valdese radicato in un territorio, almeno nominalmente, cattolicissimo.
La più epica delle sue imprese fu probabilmente la sfida pubblica lanciata, dopo la strage di Ciaculli, alle cosche mafiose. In nome della sparuta comunità minoritaria di cui era guida, fece stampare e affiggere dei manifesti di condanna della violenza stragista, dichiarata a chiare lettere incompatibile con qualsiasi professione di cristianesimo. Perfino a Roma arrivò l’eco della coraggiosa iniziativa ‘profetica’ e dai vertici del Vaticano arrivò all’arcivescovo di Palermo, cardinale Ernesto Ruffini, una lettera che sollecitava analoga iniziativa da parte cattolica. Ma - secondo i documenti pubblicati dallo storico della chiesa don Francesco Michele Stabile - la risposta del presule fu negativa: i protestanti esagerano, dimenticano che nel resto del mondo c’è altrettanta violenza che a Palermo, si sbraccino piuttosto nel sociale per prevenire il male.
L’apologia della situazione siciliana non fu la meno infelice delle posizioni di Ruffini, ma l’indicazione di lavorare socialmente per prevenire la criminalità aveva un suo valore: solo che anche a questo il pastore Panascia aveva già provveduto fondando il Centro diaconale della “Noce” che, sino ad oggi, opera nel campo dell’istruzione, della cura dei ragazzi in difficoltà, dell’accoglienza degli immigrati. Per lui la fede era l’essenziale: ma per ‘fede’ non intendeva un mero rapporto intimistico ed individualistico con Dio, bensì una fedeltà nella storia alla ‘parola’ che invita a servire gli altri, a cominciare dai più indigenti.
Per queste iniziative, e per tante altre, Pietro Valdo Panascia ha inciso positivamente e durevolmente nel tessuto cittadino, innalzando il livello del dibattito culturale, incrementando il dialogo fra le confessioni religiose, difendendo i pochi spazi di laicità e migliorando la qualità della vita di generazioni di diseredati. Sarebbe un segno di riconoscimento e di riconoscenza che la municipalità cittadina gli dedicasse, quanto prima, una strada o una piazza o una scuola: un segno di cui abbiamo bisogno noi per ricordarlo, non certo lui che - quale che sia la soglia varcata - è ormai estraneo alle faccende per cui ci agitiamo così tanto sul nostro pianetino periferico.
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