“Repubblica - Palermo” 2.8.07
Quel grido delle ‘altre’ chiese di Palermo
Augusto Cavadi
La stampa internazionale si è occupata, sia pur marginalmente (in effetti, ci sono problematiche ben più gravi!), di un recente documento della chiesa cattolica che ha suscitato non poco scalpore nel mondo del dialogo interreligioso. Di che si tratta? Bisogna sapere, preliminarmente, che la curia papale è organizzata in dicasteri che corrispondono, un po’, ai ministeri di un governo civile e che vengono denominati - con un termine che nel linguaggio ecclesiale ha anche altri significati - “congregazioni”. La più rilevante di tali congregazioni ha una storia antica e una fama inquietante: Santa Inquisizione, poi diventata Sant’Uffizio, ora Congregazione per la Dottrina della Fede. Il cardinale che fa capo a ciascuno di questi rami del governo universale della chiesa risponde del proprio operato solamente al papa e solo in accordo con lui assume le decisioni ufficiali. Sino al momento di essere eletto papa, per molti anni il Prefetto di questa Congregazione è stato Joseph Ratzinger che ha nominato recentemente, come suo successore, lo statunitense Willialm Levada. Ebbene, uno dei compiti del potente organismo vaticano è di dirimere le questioni teologiche che si vanno via via dibattendo nel corso dei secoli. L’ultimo, in ordine di tempo, di tali pronunziamenti è noto come Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della Chiesa ed in esso, in sostanza, si ribadisce quanto affermato già nel precedente documento Dominus Iesus del 2000: che la chiesa fondata da Gesù Cristo è rappresentata in maniera esauriente ed esclusiva dall’attuale chiesa cattolica. Ci sono poi delle chiese “vere” ma “incomplete” perché non riconoscono il primato universale del vescovo di Roma (e sono le chiese ortodosse orientali); ci sono infine delle “comunità ecclesiali” che non meritano neppure d’essere chiamate “chiese” (e sono le chiese protestanti ed evangeliche).
Ovviamente queste enunciazioni hanno suscitato reazioni preoccupate sia all’interno della stessa cattolicità (come don Giovanni Cereti, docente di teologia ecumenica a Roma e a Venezia) che nel variegato mondo che affonda le proprie radici nella Riforma luterana del XVI secolo. A Palermo questo mondo è costituito da un arcipelago di comunità che, al di là dei numeri (ristretti, ma in espansione), svolge servizi di alto valore culturale e sociale: basti pensare alla scuola elementare della Noce (frequentata anche da bambini di genitori che, non essendo personalmente credenti, trovano in quel sistema educativo la massima garanzia di laicità pedagogica) e al centro di accoglienza per immigrati (nell’ambito del quale un’associazione, “Il pellegrino della terra”, si dedica in maniera speciale alla cura delle prostitute che intendono uscire dal giro e riacquistare la pienezza della loro libertà). Ebbene, tre di queste chiese palermitane (le due chiese evangeliche di via Spezio e di via Evangelista Di Blasi e la chiesa metodista accorpata a quest’ultima) hanno voluto esprimere, in proprio, “lo sconcerto” per il documento della curia pontificia con un breve, sereno, ma fermo contro-documento destinato al pubblico. Esse si appellano alla testimonianza della Bibbia - in particolare del Nuovo Testamento - per respingere le due accuse principali: di non accettare il “sacerdozio ministeriale” e, conseguentemente, di non celebrare una “vera” eucaristia. Le cronache raccontano di periodi della storia in cui anche il ciabattino e il venditore di ortaggi discutevano animatamente, al mercato, di teologia. Oggi, per fortuna o per sfortuna, ci si accalora per argomenti ben diversi. Tuttavia qualche lettore potrebbe avvertire la curiosità di informarsi, sia pur moderatamente, su queste diatribe e di riprendere in mano qualche studio esegetico autorevole per verificare se veramente è così alieno dal messaggio di Cristo ritenere, come fanno i protestanti, che tra i pastori e i fedeli non ci sia nessuna differenza ‘ontologica’ (dovuta ad un ‘carattere’ sacramentale indelebile) ma solo una differenza (funzionale e transitoria) di ruoli sociali. E se è vero che il Maestro ha promesso la sua presenza spirituale solo quando una comunità si fosse raccolta sotto la presidenza di un prete ‘ordinato’ da un vescovo o non piuttosto ogni volta che due o tre credenti si fossero riuniti, nel suo nome, per rivivere la cena eucaristica.
In ogni caso è importante rilevare come il documento delle tre chiese palermitane non rivendichi nessun monopolio in concorrenza con la chiesa cattolica romana. In esso si esprime la delusione per il “ridimensionamento delle aperture ecumeniche del Concilio che intravediamo nell’affermazione, non certo nuova, che la Chiesa di Cristo sussiste unicamente nella Chiesa Cattolica” nella convinzione, realistica e tollerante, che “ogni chiesa è la chiesa cattolica (universale) e non semplicemente una parte di essa. Ogni chiesa è la chiesa cattolica, ma non nella sua interezza. Ogni chiesa realizza la propria cattolicità quando è in comunione con le altre chiese”.
Il documento evangelico-protestante non accenna ad una questione più radicale posta da recenti ed accreditati studi biblici: da secoli discutiamo di ‘come’ il Messia voleva la chiesa, ma non ’se’ ne volesse una. Siamo proprio sicuri che - convinto dell’imminenza della fine del mondo - il Profeta di Nazareth avesse progettato una struttura ecclesiale di lunga durata (quale poi, in effetti, è stata impostata da Paolo di Tarso)? Si tratta di interrogativi che la comunità scientifica non dovrebbe delegare in toto ai circuiti intra-ecclesiali: evidenti, infatti, se ne configurano le ricadute sul piano del dibattito politico e della convivenza civile, anche in relazione al rapporto fra cristiani (cattolici o protestanti che siano) e cittadini di altra ispirazione religiosa o filosofica.
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