“Centonove” 10.8.07
LA FILOSOFIA? CURA L’ANIMA
Annalisa Decarli
Nel volumetto di Alessandro Dal Lago Il business del pensiero (Manifestolibri, Roma 2007) si individuano soprattutto tre aspetti critici della “consulenza filosofica”: costituirebbe una falsa alternativa alle cure psicoterapeutiche; sarebbe sintomo e concausa della spoliticizzazione della società contemporanea; si ridurrebbe, essenzialmente, ad un meschino espediente per raggirare i profani e spillare denaro dalle loro tasche.
Uno degli autori più volte bersagliati è Augusto Cavadi, noto anche per aver introdotto la pratica delle “vacanze filosofiche per…non filosofi” sin dal 1983, organizzando i primi incontri - come racconta lui stesso nel suo Quando ha problemi chi è sano di mente (Rubbettino, 2003) - proprio a partire da un gruppo di siciliani amanti delle montagne alpine. Lo abbiamo incontrato a Fiuggi dove ha parlato delle sue esperienze e gli abbiamo posto alcune domande sull’interpretazione di Dal Lago.
Ritiene anche Lei che dalla lettura dell’uomo sottesa alle pratiche filosofiche emerga un’umanità malata e incapace di affrontare la vita? “La prima accusa di Dal Lago afferma che noi consulenti filosofici contestiamo la medicalizzazione del disagio implicita nella cultura psicoterapeutica, ma per arrivare a conclusioni ancora più allarmanti: l’intera esistenza sarebbe una malattia. Che qualche collega la pensi così, è possibile; certamente non si tratta però di una posizione maggioritaria né, ancor meno, comune. Personalmente sono propenso a vedere nella vita una chance più che una condanna, ma quando sono in dialogo con un singolo o con un gruppo che mi interroga in quanto consulente, so di dover mettere fra parentesi le mie convinzioni: compito del filosofo pratico non è in nessun caso di proporre la propria concezione dell’uomo, ma di prospettare al visitatore alcuni scenari presenti nel panorama filosofico in modo che egli abbia gli elementi per ampliare il proprio punto di vista, riflettere e trarre delle conclusioni personali”.
Più insistente e ribadita la seconda accusa di Dal Lago: la consulenza filosofica incrementa l’ aria di riflusso, derivante dal ripiegamento sull’interiorità, che soffia in giro con il suo imperativo categorico precipuo: “Tutti in azienda durante il giorno e tutti a casa, la sera, a coltivare l’animuccia…. “Anche a questo proposito il sociologo genovese vede un pericolo reale ma non si accorge di essere in buona compagnia con la stragrande maggioranza di noi consulenti filosofici. Basta leggere Ran Lahav o Neri Pollastri per capire che la filosofia in pratica non vede nessuna contrapposizione fra dimensione interiore e impegno politico. Molti condividiamo la convinzione gandhiana che bisogna attuare innanzitutto nella propria vita il cambiamento del mondo che si auspica all’esterno o, parafrasando Hadot, che sono numerosi quelli che si immergono nella preparazione della rivoluzione sociale, ma rarissimi i capaci di rendersi degni della rivoluzione che vogliono preparare”.
A proposito di equità sociale, Dal Lago trova privo di etica il fatto che il filosofare possa essere remunerato. “Se Dal Lago intende mettere in guardia dall’avventurismo di ciarlatani in cerca di facili guadagni, non può che trovarmi consenziente. Ma nella sua insistenza c’è del sospetto. Per lui ogni remunerazione del filosofo che si presta a consulenze sarebbe indegna mercificazione del sapere. E qui sbaglia almeno due volte. Intanto ignora che molti di noi pratichiamo la consulenza o a titolo di volontariato gratuito o in convenzione con strutture pubbliche. Le stesse vacanze filosofiche sono gestite in modo che i partecipanti paghino soltanto le spese di soggiorno, senza alcun profitto per gli organizzatori. Poi - pur trovando ovvio che un sociologo venga remunerato per una ricerca commissionatagli da privati o per i diritti d’autore di un libro contro la consulenza filosofica… - Dal Lago si scandalizza se la laurea in filosofia abiliti all’esercizio di una professione. Di che dovrebbe vivere un filosofo secondo lui? C’è qualcosa di manicheo , o forse di vetero-marxista, in questo disprezzo dell’attribuzione di valore anche economico ad una prestazione intellettuale. Nessuno si sognerebbe di rimproverare un poeta o un pittore quando - pur non avendo il guadagno come scopo principale - riesce a vivere della propria arte”.
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