Repubblica – Palermo 27.4.2007
Augusto Cavadi
LAICI DI TUTTO IL MONDO UNITI NEL NOME DI DIO
Edward Herbert di Cherbury è stato un poliedrico lord inglese del XVII secolo che - tra la moglie, i numerosi figli, le amanti occasionali, i viaggi in giro per l’Europa, le imprese belliche, i componimenti poetici, gli incarichi diplomatici, i trattati di botanica e medicina, i conflitti con avversari politici di ogni colore, gli acciacchi di salute e le cure termali, la stesura dell’autobiografia, la progettazione del suo monumento funebre con epitaffio incluso - ha trovato il tempo di scrivere un trattatello di filosofia che viene considerato un manifesto programmatico del deismo moderno: La religione del laico. Un gesuita l’ha tradotto per la prima volta in italiano per i tipi della casa editrice palermitana L’Epos pubblicandolo in abbinamento con una severa, polemica Lettera aperta ai sacerdoti: col risultato di offrire ai lettori una duplice chicca della storia culturale ma anche un frizzante contributo al dibattito attuale. Infatti - come scrive p. Saturnino Muratore S.J., attento curatore dell’edizione - in questi due testi “il laico si fa presente come istanza critica di fondo, a difesa di una soggettività personale e di un accesso diretto della coscienza a ciò che è ultimo e definitivo. Non viene affermata una contrapposizione tra universo religioso e universo laico, ma la sufficienza della coscienza e dell’esperienza ‘laica’ nei confronti di qualsiasi, pur legittima, organizzazione e tradizione religiosa”.
Che cosa sostiene, in buona sostanza, il versatile e pungente autore inglese del Seicento?
“In mezzo al terrore e alle tensioni delle diverse Chiese, che si combattono su tutta la faccia della terra” perché convinte di vantare i pregi maggiori (”l’Asia offre filosofi esimi”, “l’Africa ingegni acutissimi e teologi sommi”, “l’India gimnosofisti, bramani, bamiani e bonzi”), il cercatore “laico” farà bene ad attenersi ad un pugno di “verità che sono valide ovunque e per sempre”, non “costrette entro i limiti di una qualche religione particolare”. Per Herbert di Cherbury questo zoccolo duro di verità - “delineate nella stessa mente (dell’uomo) come dall’alto”, “indipendenti da ogni tradizione, tanto scritta quanto non scritta” e nelle quali consiste appunto “la religione del laico” - comprende l’esistenza di un Dio universale, la necessità di onorarlo prima di tutto con l’onestà dei comportamenti quotidiani, la prospettiva di un premio e di una pena oltremondani: a noi sembra anche troppo, ma ai suoi tempi ciò risultò tanto riduttivo da meritargli l’inclusione nell’Indice dei libri proibiti. Anche perché, nella Lettera, annessa al trattatello, l’autore aggiunge, senza molti peli sulla lingua, che sarebbe stato meglio fermarsi a quei pochi princìpi essenziali: “i popoli sono stati resi più litigiosi dalle norme che sono state imposte da Sacerdoti e da interpreti di oracoli, venali e imbroglioni”. Ciò vale anche per i cristiani, convinti di poter salvarsi a buon mercato, o - come i protestanti - “per mezzo della sola fede” (senza “valutazione delle proprie opere”) o - come i cattolici - “per mezzo dell’assoluzione dei Sacerdoti” (”trascurando del tutto quello che spetta loro”).
Sono queste le idee di un antesignano dell’ateismo o piuttosto di un credente illuminato che vuole prevenire l’auto-affondamento delle chiese strangolate dal proprio fanatismo? Ai lettori l’ardua sentenza.
La religione del laico e La lettera aperta ai sacerdoti di Edward Herbert di Cherbury (1583 - 1648) vengono pubblicati in unico volumetto (L’Epos, Palermo 2006, pp. 110, euro 12,80) della Collana “Il pellicano” diretta da Sergio Tanzarella. I due testi sono in prima traduzione italiana in modo da renderli fruibili ad un pubblico sinora ostacolato dalle “non poche difficoltà di un latino costruito in gran parte a tavolino”. L’unica altra opera tradotta in italiano è la recente (2003) Autobiografia, a cura di F. Bellocci, di una piccola editrice (Tiziano Cornegliani) di Peschiera Borromeo.
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