“Repubblica - Palermo” 10 aprile 2007
Augusto Cavadi
I cristiani in lotta per liberare la Sicilia
Pur trovandomi in Piemonte, ho letto su Internet il dittico dedicato su Repubblica alla Pasqua da un prete (Nino Fasullo) e da un intellettuale non credente (Umberto Santino). I due commenti mi hanno colpito in maniera singolare perché - poche ore prima - avevo avuto la possibilità di partecipare alla veglia pasquale di una delle più attive fra le poche comunità cristiane di base rimaste in Italia dopo l´ondata postconciliare. In genere si tratta di gruppi di credenti che hanno esplicitato il dissenso diffuso nei confronti delle autorità ecclesiastiche cattoliche ma, andando al di là della contestazione, sono riuscite a costituirsi in maniera abbastanza stabile e continuativa come alternative concrete alle parrocchie tradizionali: soprattutto grazie a personalità di notevole spessore intellettuale e spirituale come Enzo Mazzi all´Isolotto di Firenze, Giovanni Franzoni a San Paolo fuori le Mura di Roma o - come nel caso della comunità di cui ero ospite - Franco Barbero di Pinerolo.
Per dare solo un´idea sommaria del clima che ho respirato, all´inizio dell´assemblea eucaristica (concelebrata da tutti i presenti e presieduta da una signora), Franco Barbero - prete cattolico che un provvedimento vaticano di qualche anno fa ha ridotto allo stato laicale - ha dato il benvenuto a persone provenienti da varie regioni, tra cui una coppia di ragazzi omosessuali dei quali avrebbe celebrato, qualche giorno dopo, le nozze. Che fossero omosessuali si è capito solo dal fatto che sono stati presentati con i loro nomi, entrambi maschili: in quella comunità infatti «si prova ad anticipare il tempo in cui nessuno sarà definito in base ai propri orientamenti sessuali ma esclusivamente in quanto persona umana».Ebbene, perché mi sono ricordato delle ore trascorse nella comunità di base di Pinerolo leggendo i due articoli sul nostro giornale? Perché anche sul tema della Pasqua ho percepito, dagli interventi di vari partecipanti alla liturgia, una prospettiva altra: religiosamente laica, altra rispetto alla teologia cattolica come all´angolazione atea. È una prospettiva decisamente minoritaria nel panorama culturale attuale, ma non per questo meno significativa né meno fondata. Secondo questa concezione, la vita e la morte di Gesù di Nazareth non sono evanescenti riproposizioni del «mito del dio che muore e rinasce, legato al ciclo della vegetazione e all´equinozio di primavera»: i testi del Primo e del Secondo Testamento, pur non essendo narrazioni cronachistiche ma predicazioni teologico-religiose, hanno tuttavia una base storica che pochi studiosi del settore sono disposti a negare.Proprio l´analisi scientificamente esegetica attesta però, con altrettanta probabilità, che Gesù non si è mai attribuita alcuna “natura” divina; forse ha permesso che gli si attribuisse in vita il titolo di “figlio di Dio”, locuzione che a quel tempo significa senza possibilità d´equivoci “messia”, “inviato”; ha affrontato la morte non per obbedienza al Padre (che non gliel´avrebbe potuta mai infliggere) ma per un intrigo di interessi umani; come possiamo constatare ogni giorno, non «ha abbattuto la morte e messo fine al suo dominio sui viventi».Essere suoi seguaci significa, per riprendere il titolo di uno degli ultimi libri di Sergio Quinzio, farsi carico della «sconfitta di Dio». Non però passivamente, fatalisticamente, rassegnatamente: ma levando alto il proprio urlo e, soprattutto, spendendosi a piene mani per ribaltare l´esito attuale della battaglia del regno della verità e della solidarietà contro il regno della menzogna e dell´egoismo. In questa opzione fondamentale per gli sconfitti della storia (icone viventi dell´invisibile Sconfitto), i credenti nel Vangelo si inseriscono in un alveo molto più antico della nascita del cristianesimo e molto più vasto del filone confessionale cui appartengono. Per loro si tratta non tanto di testimoniare un “fatto” (la reviviscenza miracolosa di un cadavere) quanto di esprimere una speranza: che, in maniera del tutto inconcepibile e imprevedibile, il Dio della vita accolga nella sua eternità il Servo palestinese (come tutti i suoi figli di ogni civiltà che - prima e dopo di Gesù - hanno vissuto per la giustizia, la libertà e l´amore).Se una cristologia “laica” non è un ossimoro, se si può essere cristiani ripartendo dal Vangelo senza necessariamente condividere l´enfatizzazione progressiva che del Maestro è stata operata nei secoli dalla gerarchia cattolica (con intenzioni in alcuni casi sincere, in altre meno disinteressate), non una delle conclusioni operative suggerite - pur da punti di vista opposti - da Fasullo e da Santino va rifiutata: anche in questa visione della personalità del Cristo, l´essenziale non è cosa si pensa di lui ma come si è disposti a continuare la sua opera, ad attuare il suo messaggio, nella concretezza storico-geografica in cui accade di vivere. Non l´ortodossia delle formule, ma l´ortoprassi delle scelte. E non solo come soggetti individuali alla legittima ricerca di un senso della propria esistenza, ma anche come organismi collettivi capaci - proprio grazie alla dimensione comunitaria e istituzionale - di incidere più profondamente nel corso degli eventi.Scardinare i meccanismi internazionali fondati sullo sfruttamento sistematico dei popoli più deboli; ripristinare la legalità all´interno di un sistema sociale nazionale; liberare una regione da ogni genere di inquinamento ambientale: ecco altrettanti obiettivi che trascendono le possibilità dei singoli cittadini, ma non di aggregazioni motivate ed efficienti, pur se non maggioritarie. Paolo di Tarso ha avuto la genialità di intuirlo: solo un “corpo” che si espande nello spazio e si prolunga nel tempo, animato da uno Spirito di convivialità creatrice, può rendere credibile il destino, apparentemente fallimentare, del profeta di Galilea. A patto, ovviamente, di non irrigidirsi in una struttura dogmatica e autoritaria e di restare - piuttosto - una libera aggregazione di uomini e donne che procedono insieme nella varietà del plurale: affascinati da un progetto, non uniformati dalla disciplina e dalla paura delle sanzioni. È questo sociologicamente possibile? Nella risposta, teorica ed esperienziale, si gioca il presente - e il futuro - del cristianesimo.
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