Repubblica – Palermo 10.3.07
Augusto Cavadi
SBAGLIATO CONDIZIONARE LE SCELTE DEL LEGISLATORE
La lettera con cui il neo-arcivescovo di Palermo, che è anche presidente della conferenza episcopale siciliana, ha indirizzato al presidente della commissione Sanità dell’Ars (e, per conoscenza, al governatore Cuffaro e all’assessore regionale competente) per chiedere di esprimere parere negativo sull’estensione dei ticket sui medicinali ha colto di sorpresa. Per alcuni con preoccupazione, per altri con compiacimento, è scattata una serie di interrogativi: che la chiesa siciliana, in questo ultimo decennio ossequiosamente silenziosa nei confronti di amministratori regionali in accertati rapporti confidenziali con mafiosi, voglia cambiare rotta? Che non solo non accetti più ingerenze da parte di politici che si arrogano il diritto di decidere a quale santo - o a quale Madonna - consacrare la Sicilia, ma addirittura osi criticare a voce alta alcune scelte strategiche della giunta in carica?
Forse una rondine non fa primavera e l’apprensione degli uni potrebbe risultare prematura quanto l’entusiasmo degli altri. In attesa di osservare gli sviluppi e di capire meglio, può essere istruttiva una pausa di riflessione. Non tanto sul merito dell’intervento di mons. Romeo (che, a occhio e croce, mi sembra azzeccato) quanto sul metodo. Qui, infatti, le perplessità non mancano. In Italia ci stiamo abituando, o ri-abituando, al ruolo della chiesa cattolica come una potente lobby che cerca di condizionare, più o meno apertamente, le scelte delle assemblee legislative e degli organi esecutivi. A molti cittadini di orientamento progressista questo andazzo non va. Ma se è vero che la gerarchia cattolica non dovrebbe farsi così insistente e così invadente quando si tratta di questioni etiche (divorzio, aborto, eutanasia, sperimentazione sugli embrioni, riconoscimento delle coppie di fatto e così via), questo criterio smette di essere valido quando si tratta di bilanci finanziari? O i vescovi possono parlare anche di imposte, balzelli, tagli alla spesa pubblica…purché le loro parole risultino di supporto allo schieramento partitico in cui ognuno di noi si riconosce in una determinata fase? Personalmente non avrei dubbi: i vertici della comunità ecclesiale dovrebbero evitare di essere i difensori d’ufficio delle autorità in sella ma anche di giocare d’anticipo sui tempi troppo lenti dell’opposizione e diventarne i supplenti.
Con ciò non auspico, certamente, una chiesa rinserrata all’interno dei propri templi, cieca e sorda nei riguardi delle donne e degli uomini ingarbugliati nelle trame complicate della storia. Ma - per sintetizzare in un’evocazione un ben più ampio ragionamento - auspico una chiesa che, come si è auto-interpretata nel Concilio Vaticano II, intervenga con forza e chiarezza sulle opzioni di civiltà (pace o guerra; salvaguardia dell’ambiente o profitti privati; Stato sociale o mercato della salute e dell’istruzione; legalità democratica o impunità per le organizzazioni criminali…); che lo faccia non in nome di presunti monopoli dottrinari, ma cercando di portare argomenti in atteggiamento di dialogo con tutte le altre rappresentanze culturali e religiose; e che lasci ai laici - dunque, prima di tutto, ai laici cattolici - la responsabilità di tradurre i princìpi di fondo in formule legislative e in provvedimenti tecnici.
“Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Né pensino che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta. Assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità“: non è il parere di qualche teologo spericolato o di qualche politico praticante ma smanioso di togliersi il guinzaglio. E’ un passo (43, b) della Costituzione conciliare “Gaudium et spes”, uno dei testi più autorevoli del magistero cattolico nel XX secolo.
Educare le coscienze di quanti dichiarano di volersi impegnare in politica anche da cristiani - educarle alla saggezza e al coraggio necessari per applicare nel qui e nell’ora gli orientamenti valoriali di massima - è una strada più lunga, più faticosa e più rischiosa che dettare dalla cattedra curiale le proprie indicazioni operative. Ma è l’unica strada che può salvaguardare la fedeltà della chiesa al suo Maestro e la lealtà dei cattolici nei confronti dei concittadini che li eleggono.
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