“Repubblica – Palermo”
16.1.07
IL FILOSOFO CONSULENTE DI FAMIGLIA
Richiesto di formulare una proposta per il terzo millennio, il Nobel per la letteratura José Saramago ha risposto: “Ritorno alla filosofia che significa ritorno a pensare”. Non che si debba diventare tutti quanti filosofi di professione, bensì riscoprire “la riflessione, l’analisi, lo spirito critico e libero, la capacità di circolare nell’universo umano dove concetti di ogni tipo si scontrano, si incontrano, si uniscono, si separano” (Pensar, pensar y pensar. Scritti e interviste, Datanews, Roma 2006). L’intento è lodevole, ma come realizzarlo? Una delle possibili vie: che i filosofi di professione decidano (se ne hanno voglia e qualche attitudine) di mettersi al servizio dei non-filosofi per stimolarne il cervello. L’ipotesi sarebbe di creare spazi, occasioni, in cui anche il sindacalista o il medico, il pensionato o la casalinga abbiano l’opportunità di prendere coscienza delle proprie idee sulla vita e sulla morte, sulla felicità e sul dolore, sull’amore e sulla guerra…; di confrontarle con le idee altrui; di riassestarle in maniera un po’ più organica ed - eventualmente - di correggerle.
Da un po’ più del ventennio, dalla Germania un po’ in tutto il mondo, si va perciò diffondendo una nuova figura professionale: il ‘consulente filosofico’ o, come forse sarebbe preferibile, il ‘filosofo - consulente’. In cosa consisterebbe la novità di questa professione? Per certi versi, nulla di inedito. Nei secoli, molto spesso i maestri si sono rivolti ad altri in atteggiamento ‘maieutico’ (anche se abitualmente per cerchie ristrette di discepoli) nella convinzione, efficacemente espressa da Kant, che occorra insegnare a filosofare piuttosto che trasmettere filosofie belle e pronte. Ma, per altri versi, si tratta di una revisione profonda del mestiere di filosofo. Intanto per l’aspetto esteriore, sociologico, del pubblico: non dovrebbe limitarsi ad una cerchia di discepoli ma – ampliandosi il più possibile - includere uomini e donne che non siano filosofi di professione e che non abbiano nessuna intenzione di diventarlo. Gente ‘comune’ che può decidere di chiedere un sostegno alla propria riflessione razionale, in assetto duale o all’interno di un gruppo, per un periodo limitato della sua vita e in vista di una tematica specifica (la decisione se generare un figlio, la perdita di una persona cara, la scelta di una carriera professionale e così via). Un secondo aspetto innovativo di questa professione è più intrinseco, qualitativo. Come ha notato un cattedratico di lungo corso, Pier Aldo Rovatti, nel recentissimo e fortunato La filosofia può curare? (Cortina, Milano 2006) la stragrande maggioranza degli studenti che si iscrivono in filosofia lo fa perché avverte dei problemi esistenziali e spera di trovare delle indicazioni illuminanti; ma dopo due o tre anni di frequentazione accademica il “desiderio di filosofia” viene frustrato e il “legame tra filosofia e vita” “fortemente penalizzato” , se non addirittura “del tutto spezzato” . Dunque non si tratta di moltiplicare i laureati né di aggiungere corsi di specializzazione se non si accetta, sperimentandolo e testimoniandolo, che “la filosofia stessa sia una pratica e un esercizio, prima e piuttosto che una produzione di metodi o canoni atti a dirigere il pensiero”.
La Sicilia non è rimasta estranea a questo dibattito. Proprio in questi giorni l’Università di Enna ha inaugurato un master in Pratiche filosofiche con l’apporto decisivo di un gruppo di docenti dell’Ateneo catanese. Due studiosi del quale, Rosaria Longo e Davide Miccione, hanno raccolto in volume (Vivere con filosofia. La consulenza come pratica, Bonanno, Acireale 2006) gli Atti di una “Giornata internazionale di studio” del 2005. Ricche e articolate le prospettive presentate sia da illustri cattedratici (come Carmelo Vigna, Enrico Berti ed Andrea Poma) sia da pionieri della consulenza filosofica (come Eckart Ruschman, Paola Grassi e Neri Pollastri). Quest’ultimo - che ha aperto da anni uno studio professionale a Firenze - ha sottolineato con lucidità le affinità, ma anche le radicali differenze, fra le pratiche filosofiche e le pratiche psicoterapeutiche: tutte mirano ad aiutare il cliente, ma le prime non si concentrano sui “risultati” immediati e non si muovono in una “logica strumentale”. Si propongono, piuttosto, una crescita nella saggezza (dunque la capacità del consultante di liberarsi dalla mentalità dominante della delega agli ‘esperti’ e di afferrare le redini della propria vita) e solo come effetti collaterali desiderati le risoluzioni di dilemmi esistenziali concreti. Poiché molti neo-laureati in filosofia hanno espresso il desiderio di poter sperimentare anche in pratica come funziona questa nuova attività, lo stesso Neri Pollastri ha tenuto a Palermo, qualche settimana fa, un laboratorio propedeutico. A conclusione della giornata si è pervenuti alla decisione di raccogliere le adesioni all’attivazione, nella nostra regione, di un primo itinerario formativo riconosciuto ufficialmente da “Phronesis”, la più autorevole associazione di filosofi consulenti italiani.
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