“Repubblica - Palermo” 28.12.07
Augusto Cavadi
MALATI DI AIDS: SOS ASSISTENZA
Le tragedie non sono meno laceranti quando si vivono, lontano dai riflettori, nel segreto delle famiglie. A Palermo e in Provincia centinaia di uomini e donne, differenti per età e fascia sociale, sono accomunati ad esempio dall’ essere sieropositivi o malati di aids. E per loro questi giorni di festa sono, paradossalmente, segnati da motivi supplementari di sofferenza. Al punto da decidersi a invocare - attraverso il cronista - l’attenzione della città, in particolare delle istituzioni.
Che cosa è successo? Dal 1985 questi pazienti sono stati seguiti, sotto la direzione di Aurelio Cajozzo prima e di Vincenzo Abbadessa poi, dal Servizio di Riferimento Regionale per l’Aids, all’interno del Policlinico di Palermo, che - secondo Vincenzina R. - “comunicazione, rispetto, privacy, professionalità, percorsi assistenziali semplificati, facile accesso alle indagini e alle cure, competenza, gestione aggiornata della malattia” . “La gestione - aggiunge Carmelo N. - è stata per oltre venti anni ottimale, al passo con le novità scientifiche, con risultati tangibili sul nostro stato di salute. E’ giusto notare quando gli amministratori politici sanno scegliere i professionisti cui affidare ruoli di responsabilità“. Rosario C. ci tiene a precisare: “E, non dimentichi di scriverlo, per noi malati l’interfaccia istituzionale è stata la dottoressa Salvatrice Mancuso: non per mitizzarla, ma era esattamente quello che dovrebbe essere ogni medico. Era contenta del lavoro che svolgeva, abile nel comunicare, sapeva stabilire un formidabile rapporto con noi pazienti: sempre presente negli orari di servizi e raggiungibile, col cellulare personale, quando non era in ospedale. Se qualcuno non ce la faceva, stava per crollare psicologicamente, riusciva ad acciuffarlo per i capelli e a ridargli la forza per continuare”. La situazione, già molto positiva, sembrò destinata a migliorare ulteriormente nel 2006, quando il Servizio è stato spostato - sempre all’interno del Policlinico - in una sede nuova, dignitosissima, adeguata insomma.
Ma nel febbraio del 2007 l’incantesimo è rotto. In seguito alla chiusura dell’Ospedale Guadagna viene trasferito, nella stessa sede, il reparto di Malattie Infettive. Cominciano così disfunzioni e disservizi davvero scoraggianti. Racconta Antonella T.: “Attese prolungate, insostenibili per gente come noi che va in ospedale non qualche volta e per un periodo limitato, ma frequentemente e per tutta la vita; ambulatorio affollatissimo, di malati infettivi, in tragica promiscuità con noi affetti da aids e perciò soggetti, a causa dell’immunodeficienza, ad acquisire con estrema facilità ogni sorta di germi”. “Per non parlare ” - continua con un sorriso amaro Lucia T., madre di un ragazzo in cura - della privacy. E’ stata abolita. E’ normale che un medico si affacci dalla porta dell’ambulatorio e chieda a voce alta, davanti a tutti i presenti: chi sono i malati di brucellosi?”. In tutto questo - è il commento di un paziente non più giovanissimo che non vuole assolutamente dichiarare la propria identità anagrafica - la poca educazione di certi medici, che arrivano fra schiere di malati e non li degnano neppure di un cenno di saluto, passa in secondo piano. Certo non serve però a stabilire quel rapporto di fiducia che per noi ha anche benefici terapeutici”.
“Che sta succedendo? Perché questo accorpamento? A chi giova? E come mai la dottoressa Mancuso, tanto convinta - anzi entusiasta - del suo lavoro in questo difficile settore, ha chiesto ed ottenuto il trasferimento ad un altro reparto? Chi avrà la competenza e l’esperienza per sostituire una come lei che, dopo venti anni, conosceva perfettamente i nostri percorsi terapeutici e sapeva calibrare, caso per caso, il cocktail di farmaci più adatto?” Sono queste le domande che con più insistenza tornano, si accavallano, per le sale e i corridoi del Policlinico. “Non sembri esagerato quello che vogliamo dire: per noi malati di aids saper combinare i medicinali nelle proporzioni adatte a ciascuno fa la differenza fra la vita e la morte”, ci tiene a chiarire Mariano C. Già: una combinazione errata, o anche solo inadeguata in un determinato paziente, significa effetti collaterali talora mortali. Per questo l’appello che lanciano è composto, ma circostanziato e deciso. Sarebbe incoraggiante che venisse recepito prima che l’esasperazione lo trasformi in urla, in eclatanti azioni di protesta. Prima che i timori manifestati con tanta dignità civica trovino drammatiche, rovinose conferme.