“Palermo – Repubblica” 21.12.06
UNA SVOLTA CULTURALE NELLE CHIESE
Da mezzogiorno di ieri la notizia è ufficiale: il nunzio apostolico in Italia (cioè, nel linguaggio giuridico corrente, l’ambasciatore del Vaticano presso lo Stato italiano), mons. Paolo Romeo, e’ il nuovo arcivescovo di Palermo. Ed è una notizia che, pur interessando in maniera peculiare il mondo cattolico, non può passare inosservata dal punto di vista dei ‘laici’. La storia, anche degli ultimi cento anni, lo attesta: nel bene e nel male, chi governa la chiesa cattolica a Palermo influenza gli orientamenti delle altre diocesi della regione e, più ampiamente, del mondo politico e della società civile in genere. La porpora cardinalizia (che, secondo tradizione, sarà posta sul capo del nuovo arcivescovo al prossimo Concistoro) sarà solo il segno – un po’ folklorico – di questo potere effettivo.
E’ dunque legittimo che i cittadini - credenti in senso confessionale o meno – si pongano oggi delle domande, alla maggior parte delle quali solo i prossimi anni potranno dare risposta. Una prima questione è senz’altro di metodo: significa qualcosa il fatto che una delle funzioni pubbliche di maggior rilievo venga assegnata dall’alto e da lontano, senza che la base abbia potuto né deliberare né esprimere (almeno) un parere? La domanda è meno peregrina di quanto possa sembrare a prima vista. Infatti - come non tutti sanno – per i primi secoli dell’era cristiana la prassi universale prevedeva l’elezione dei vescovi (papa incluso) da parte dei preti, dei diaconi e dei semplici fedeli di ogni comunità. Poi, gradatamente, queste modalità profondamente democratiche, invece di plasmare i meccanismi civili, vi si adattarono: e i vescovi, come i prefetti imperiali (e come i prefetti attuali), cominciarono ad essere non più eletti dai battezzati ma nominati da Roma. Con le conseguenze che sarebbe facile immaginare se la storia non ce le srotolasse davanti agli occhi: i pastori (originariamente sposati, con figli, impegnati ad istruire ed animare spiritualmente le varie chiese) diventarono degli autocrati (celibi, ufficialmente senza prole, spesso costretti - o per lo meno sollecitati dalle circostanze – a svolgere attività di supplenza nei confronti dello Stato). Con i riformatori protestanti (da Lutero e Calvino in poi) la prassi medievale fu azzerata e si tornò alle origini. La Chiesa cattolica resistette invece, da allora ad oggi, nella procedura verticistica, ma non senza suscitare riserve: nell’Ottocento, ad esempio, Antonio Rosmini individuava in questa prassi una delle “cinque piaghe” della Chiesa e nel Novecento numerosi movimenti cattolici hanno chiesto, in varie forme e occasioni, il ripristino della tradizione apostolica. Unica magra consolazione: per analogia con ciò che avviene nel campo civile, sarebbe lecito ipotizzare che - in regioni come la nostra - eventuali meccanismi elettivi del vescovo si rivelerebbero rimedi peggiori della piaga…
Comunque designato, l’arcivescovo Romeo sarà - per circa sette anni – il massimo esponente del mondo ecclesiale siciliano. Che cosa augurare, a lui e a noi? Che il suo non sia un periodo di reggenza transitoria. Il cardinal De Giorgi ha avuto il merito di governare senza scossoni e senza traumi: ma questa ordinaria serenità ha rischiato di apparire un po’ troppo rilassante. Per qualcuno, addirittura assopente. Ma un discepolo del vangelo non deve essere, almeno in qualche caso, motivo di disturbo per il quieto vivere dominante? Testimone di un’inquietudine rispetto agli assetti ingiusti di una società dove pochi continuano a manovrare le leve del potere e i flussi finanziari a danno di una maggioranza assuefatta a ricevere, passivamente, ordini e favori? O è infondata l’opinione di quei teologi che attribuiscono ai cristiani il compito di tener viva, nel tempo, la “memoria sovversiva” del profeta di Galilea? Forse non è arrischiato augurarsi un presule che solleciti le parrocchie ad acquisire - o ad incrementare - la loro dimensione culturale (aggiornando continuamente la preparazione teologica), la loro sensibilità etica (nei confronti delle antiche e delle nuove povertà) , la loro vigilanza politica (affinché nessun partito - di destra, di sinistra e soprattutto di centro – si illuda di poterle considerare dei serbatoi elettorali in cerca di sovvenzioni ed incapaci di criticare e di proporre). E tutto ciò non solo con le prediche domenicali (anche se possono essere già un segnale), ma soprattutto con scelte pratiche, operative, strategiche. Per esempio con progetti di solidarietà sociale in comune con altre comunità religiose (cristiane ed extra-cristiane) a favore degli immigrati. O con iniziative che smascherino le nuove forme di pervasività del dominio mafioso e mettano in evidenza, sulla scia di padre Pino Puglisi, l’incompatibilità del vangelo nei confronti della mafia non solo quando spara e uccide, ma anche quando assegna risorse economiche ai clienti e posti di lavoro ai giovani disposti a svendersi la dignità.
Con una formula un po’ sintetica – e con tutto il doveroso rispetto del caso – ci auguriamo sinceramente che il nuovo arcivescovo metropolita possa regalare a Palermo quei frutti della quarantennale esperienza di diplomatico che tutti attendono, ma anche – spiazzando con gesti imprevisti gli osservatori - degli scatti di creatività profetica. Opportuni ovunque, necessari qui.
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