“Repubblica – Palermo” 21.11.2006
La doppia faccia dei proverbi
A casa capi quantu voli u patruni : sarà per questo che il popolo siciliano è, tradizionalmente, disponibile all’accoglienza degli immigrati dal Terzo mondo? Lu cavaddu bonu si viri a tiru longu: sarà per questo che non siamo facili ad entusiasmarci per singole azioni eccezionali che non facciano parte di uno stile di vita? Questi sono solo due dei venticinque proverbi raccolti e commentati da Roberto Lopes nel volume, illustrato dai disegni di Nicola Figlia,Tu ha raggiuni, ma iò tortu unn’haiu (Ispe Archimede, Palermo 2006). E’ spontaneo andare col pensiero alla Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, pubblicata da Giuseppe Pitré tra il 1871 e il 1913. Ma il taglio, e il fine, sono diversi: mentre l’etnologo palermitano era interessato ad un’analisi storico-filologica, Lopes preferisce attingere alla tradizione dei proverbi per proporre considerazioni sapienziali che orientino nel panorama contemporaneo. Lo fa, però, senza ingenue mitizzazioni nostalgiche. Mostra di essere consapevole del fatto che la cosiddetta sapienza popolare non va sopravvalutata. Essa, infatti, veicola intuizioni penetranti sulla vita e sulla morte, sulla solitudine e sulla compagnia, ma anche pregiudizi, stereotipi e banalità.
Per fortuna, la tradizione non passa intatta da una generazione alla successiva: se così avvenisse, la storia non conoscerebbe progressi. E, comunque, il patrimonio trasmesso non è in sé stesso discordante? Raccomanda di attenersi al noto, al già visto (megghiu u malu canusciuto ca’ u bono a canusciri) e, simultaneamente, a evadere dai ristretti confini del villaggio natìo (cu nesci, arrinesci); educa al mutismo ipercauto (a megghiu parola è chidda ca un si rici) e, simultaneamente, a non restarne paralizzato (cu avi lingua passa u mari)…Un po’ come nella Bibbia, a ben cercare si trova tutto e (quasi) il contrario di tutto: per ogni detto, direbbe Karl Kraus, un ‘contraddetto’. Insomma, le monete d’oro sono frammiste alle patacche e solo un acuto discernimento può scovarle e valorizzarle.
Per compiere questa cernita sono necessarie intelligenza, esperienza di vita e tenerezza: qualità di cui dà prova Roberto Lopes mostrando di amare la tradizione senza essere conservatore; la sua terra senza essere sciovinista; il suo dialetto senza essere provinciale; la sua fede cristiana senza essere bigotto. Le considerazioni suggeritegli da vari proverbi siciliani erano state pubblicate su un periodico - “L’eco della Brigna” - che è un po’ la cifra simbolica del paradossale intreccio fra radicamento nella microstoria e apertura planetaria: un giornaletto, infatti, che, senza pretese, è nato per raccontare la quotidianità di Mezzojuso (piccolo centro del palermitano di origine greco-albanese) e ha finito con gli anni, proprio inseguendo i mille rivoli dell’emigrazione, per essere letto abitualmente nei cinque continenti. In sintonia con la testata cui erano originariamente destinate, anche queste pagine sono del tutto scevre da ambizioni e vezzi: scritte, insomma, non per i colleghi dell’autore (docente di filosofia in un liceo cittadino) o i commissari delle giurie letterarie, ma proprio per le donne e gli uomini, le ragazze e i ragazzi, le vecchiette e i vecchietti che aspettano il ‘loro’ foglio come un dono che puntualmente si rinnova. La linearità, l’immediatezza talora naif, del dettato non devono però trarre in inganno: sul tapis roulant del registro discorsivo elementare scivolano contenuti per nulla scontati. Col sorriso bonario del padre di famiglia che intrattiene sulle ginocchia i bambini al termine del pranzo domenicale, Lopes dissemina ipotesi e tesi che scardinano il “senso comune” dominante. Come quando commenta con amara ironia il “Calati iuncu ca passa la china (tipico proverbio della mentalità mafiosa che, in presenza di difficoltà, aspetta tempi più propizi per rialzare la cresta)”: ” E infatti, i risultati sono sotto i nostri occhi: quanto estesa è la palude in cui prosperano i giunchi che si piegano all’arroganza delle piene stagionali del potere, e com’è lunga la litania dei morti ammazzati di mafia per avere rotto il muro di silenzio e di omertà o avere cercato di testimoniare e vivere una ‘Parola’ che si è fatta ‘carne’ ! Padre Puglisi era stato avvisato, come altri, e L’uomo avvisato è mezzo salvato ma non fu così e non per questo si deve rinunciare alla dignità o abdicare all’esercizio della ragione, della libertà, della volontà e della Parola: Testa c’ un parra si chiama cucuzza”.
O, ancora, quando prende spunto da O massaru un ci manca travagghiu, o lagnusu un ci mancanu calunii: ” la lezione è di fare in modo che i massari lavorino un po’ meno, soprattutto quando fanno opera di supplenza ai pigri e agli infingardi, e che i lagnusi facciano di più, perché il massaro non sia alla fine schiacciato dal peso delle incombenze: quelle che gli appartengono e quelle che non gli appartengono. Che altro non significa se non la più alta delle virtù etico-politiche, la giustizia”.
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