“Repubblica – Palermo” 29.11.06
I DOCENTI INADEGUATI NELLE SCUOLE SICILIANE
Maurizio Muraglia (noto negli ambienti scolastici perché presiede la sezione palermitana del CIDI, prestigiosa associazione nazionale di docenti democratici) ha lanciato da queste pagine (vedi l’edizione di mercoledì 22) un interrogativo intrigante: perché la scuola siciliana ha due facce? Perché da una parte si registra un’ “incredibile capacità di impegno dei colleghi siciliani” nel proporre ai ragazzi una miriade di progetti formativi (“teatro, danza, musica, sport, informatica, cinema…”), ma dall’altra si deve constatare il fallimento del nostro sistema scolastico sia dal punto di vista delle “competenze forti” (di carattere “linguistico, scientifico, matematico, storico”) sia dal punto di vista della “cultura della legalità” e dello “spessore della cittadinanza”? Forse la risposta è già nella formulazione della domanda conclusiva: “Come è possibile consentire allo straordinario capitale di esperienze extrascolastiche messo in campo dalle scuole di generare teste pensanti?”.
L’aggettivo “extrascolastiche” è - suppongo per lo stesso autore dell’articolo - la spia rivelatrice della patologia di cui un po’ tutti - insegnanti, genitori, cittadini – cerchiamo la terapia. Esso infatti lascia indovinare il paradosso di una scuola che, incapace di incrementare la qualità del suo servizio specifico, prova a uscire dalla crisi puntando sull’…extrascolastico!
Ad evitare equivoci, lo dichiaro subito: visitare aziende per studiare “i processi di produzione del sale e dell’olio” o lasciare le aule per recarsi a “studiare i fiumi, i boschi, gli ecosistemi del nostro territorio” sono, certamente, iniziative legittime. Anzi: lodevoli. Esse hanno senso, però, come momenti di verifica di un percorso precedente e come stimoli acceleratori di percorsi successivi. Se questo ‘prima’ e questo ‘poi’ - ossia il tessuto ordinario della vita scolastica quotidiana – o mancano del tutto (in rari casi) o sono sfilacciati e lacunosi (in casi frequenti) non c’è più gioco. Sarebbe come stupirsi di un ospedale con altissimo tasso di mortalità dei degenti nonostante questi godano di un ottimo servizio di ristorazione, di un’attenta assistenza psicologica (e, per chi lo desideri, religiosa), di animazione musicale e teatrale ma non…di controlli medici e terapie farmacologiche.
Se ci si convince dell’analisi, bisogna però fare un passo ulteriore e chiedersi perché la scuola ‘normale’ sia tanto noiosa e improduttiva, quando non si registrano episodi scandalosi rispetto ai quali le cronache di questi giorni sono soltanto bambinate. Tra le numerose risposte necessarie a comporre una diagnosi completa, due almeno meritano priorità. La prima è di carattere pedagogico-organizzativo: le ore previste per il lavoro in aula sono eccessive. Con il moltiplicarsi delle sperimentazioni, i nostri ragazzi devono stare a scuola dalle 8 del mattino alle 13, talora alle 14 o alle 15: cinque, sei o sette ore di concentrazione mentale (con quindici minuti di intervallo ‘ufficiale’) sono eccessive per chiunque. Tanto più per adolescenti. Il sistema regge solo sull’ipocrisia generale: si fa finta di lavorare tantissimo, ma in realtà di trovano tutte le scuse per rosicchiare tempo alla fatica. Quando sono in questione l’intelligenza, il gusto estetico, la creatività tecnica non si può soffocare - con la quantità delle nozioni - l’esigenza di ritmi qualitativamente misurati. Per sei ore di seguito puoi, forse, raccogliere limoni o timbrare moduli: non certo ascoltare, intuire, riflettere, rielaborare mentalmente, provare ad esprimere…
Nessuna riduzione dell’orario di lavoro sarebbe, comunque, decisiva se restasse in vigore l’attuale sistema di selezione dei docenti. Le Sissis (scuole di specializzazione per laureati che intendono diventare insegnanti) sono state solo un piccolo, ed ambiguo, passo avanti nella direzione giusta. Eppure continuano ad arrivare in cattedra – insieme a giovani preparati e motivati sui quali graverà la responsabilità di salvare il salvabile - personaggi incredibili: instabili psichicamente, immaturi affettivamente, poco istruiti o poco capaci di comunicare ciò che sanno, frustrati esistenzialmente, apatici politicamente, discutibili eticamente. Nessuno, o quasi, si sogna di fermarli ad uno degli esami previsti. E ci aspettiamo che gli alunni si appassionino all’idea di convivere per metà della loro giornata con esemplari del genere? Certo, se invece la selezione fosse un po’ più rigorosa (almeno quanto lo è nel caso dei magistrati, dei notai e dei piloti di aereo), non ci si potrebbe permettere di pagare un maestro elementare o una professoressa di liceo la metà di uno steward o di un’hostess. Ma a quel punto - e solo a quel punto – si dovrebbe aprire la questione economica e rimettere in discussione un sistema sociale in cui i fornitori di beni immateriali sono considerati come dei parassiti appena sopportabili. Sino a quando vigerà invece il circolo vizioso di una prestazione professionale sottopagata perché inadeguata, e inadeguata perché sottopagata, resterà vero anche dalle nostre parti ciò che un personaggio di Woody Allen diceva del proprio quartiere: “Chi sapeva fare qualcosa la faceva. Chi non sapeva fare nulla, faceva l’insegnante”.