CENTONOVE
7.7.06
VACANZE FILOSOFICHE
Anche quest’anno, per chi cerca modi alternativi di trascorrere l’estate, c’è la possibilità (come da più di venti anni) delle “vacanze filosofiche per…non filosofi”. Appuntamento sulle Alpi piemontesi, a Macugnaga (1400 metri), dal 21 al 28 agosto per riflettere sul posto dell’uomo nell’universo e sul suo ruolo nella storia (per i dettagli tecnici e il modulo d’iscrizione vedi “news” in web.neomedia.it/augustocavadi).
Un’esperienza quindicinale
“Ma tra un’estate e l’altra restiamo a bocca asciutta?” - mi ha chiesto Pietro, qualche anno fa, al termine delle vacanze filosofiche in Umbria – “Chi di noi si occupa d’altro professionalmente, in dodici mesi rischia di arrugginirsi dal punto di vista filosofico”. Da qui l’idea di incontrarsi, ogni tanto, per un week-end in un agriturismo e là focalizzare l’attenzione su qualche tema di rilevanza esistenziale come la felicità o la morte. Ma ad alcuni, proprio come Pietro, non sembrava sufficiente neppure questo. Così ha deciso di mettere a disposizione, ogni quindici giorni, il suo studio di avvocato per sperimentare le “cenette filosofiche”. Di che si tratta?
Dal Simposio platonico in poi, la mensa è stata culla e metafora dello scambio filosofico: luogo in cui si conviene da parti diverse, ci si alimenta per fortificarsi, si passano di mano in mano pietanze che ciascuno è libero (ma sempre con sorriso di gratitudine) di accettare o rifiutare. Anche Lutero, all’alba della modernità europea, mette per iscritto -a un certo punto – i suoi Discorsi a tavola.
Se, nel nostro caso, lo spirito è lo stesso delle “vacanze” estive, le modalità metodologiche sono diverse: non si parte dall’input che un ‘facilitatore’ propone all’inizio sul tema prescelto, ma dal testo ‘classico’ adottato di ciclo in ciclo. La volta precedente si concordano i capitoli che ognuno si impegna a leggere (è l’unico requisito per essere ammesso alle ‘cenette’, frugali e di bassissimo costo) e, quando ci si rivede, si dà per scontato che siano stati letti per davvero.
La parola è subito ai non-filosofi presenti che, se lo desiderano, possono chiedere a qualche filosofo di mestiere dei chiarimenti esegetici sulle pagine in esame o, se preferiscono, possono senz’altro proporre le proprie considerazioni personali. L’intento è chiaro: si interviene non per mettere in mostra la propria erudizione né per chiacchierare un po’ a ruota libera, ma per aiutarsi reciprocamente a far luce sui problemi della vita individuale e sociale.
Breve bilancio
A conclusione del terzo ciclo annuale consecutivo, si può provare a riflettere sui risultati positivi e sulle note dolenti.
Per quanto l’assetto sia stato molto informale - senza nessun’altra regola che evitare di monopolizzare l’attenzione del gruppo intervenendo a mitraglia su ogni possibile intervento altrui – si è riusciti ad evitare il clima ‘salottiero’ che si crea in altri contesti ‘intellettuali’. E’ stata, per così dire, tangibile l’autenticità esistenziale di persone che s’incontrano – dopo una giornata di duro lavoro - non per riempire spazi vuoti ma per sostenersi a vicenda in una riflessione filosofica. Dunque: ragionata e meditata.
Anche quando si sono toccati argomenti afferenti alla propria sfera intima - come gli effetti deleteri dell’educazione religiosa repressiva o i fallimenti sentimentali – si è mantenuta una distanza prudenziale rispetto ai gruppi interessati ai risvolti psicologici e psicoanalitici: non sono scattate dinamiche difficili da controllare senza la presenza di uno psicoterapeuta. Insomma: si è avuta conferma del fatto che la filosofia può essere “valida per l’individuo non solo come disciplina teorica accademica, ma come mezzo per la crescita e lo sviluppo personale” (R. Lahav, Comprendere la vita. La consulenza filosofica come ricerca della saggezza, Apogeo, Milano 2004, p. 104). Che essa non mira (né principalmente né direttamente) al “benessere psicologico dell’individuo”, per esempio alla sua “autosoddisfazione” o ad “alleviare una particolare angoscia” (anche se qualcuno del gruppo ha sperimentato – come effetti collaterali – sentimenti di alleggerimento emotivo) , ma ad “una meta molto più ambiziosa, vale a dire quella della filo-sofia: lo sviluppo della capacità dell’individuo di approfondire ed allargare il suo approccio alla vita tramite un atteggiamento più critico, più ricco e onnicomprensivo, cioè l’incremento di saggezza” (ivi, p. 103).
Queste voci in attivo sono state, però, bilanciate da alcune ‘sofferenze’.
Un dato di fatto, indiscutibile e preoccupante, è che non tutti chiedono la parola o, per lo meno, non tutti la chiedono con la stessa frequenza. E’ superfluo notare che, sino a un certo punto, si tratta di un fenomeno fisiologico: solo in nome di un artificioso, ed astratto, egualitarismo di principio ci si potrebbe opporre alla considerazione di semplice buon senso che c’è chi preferisce intervenire più spesso e chi, invece, gradisce ascoltare. Né c’è nulla di deplorevole nel fatto che un principiante impari a filosofare proprio seguendo la conversazione di due o tre soggetti - che hanno maggiore familiarità con gli studi del settore – con un certo stile ed un certo metodo. Eppure, oltre una certa misura, la sperequazione nel numero e nella durata degli interventi cessa di essere fisiologica (in dipendenza, anche, della libera determinazione di ciascuno) per configurarsi, patologicamente, come conseguenza di qualche deformazione da contrastare (senza drammatizzare, ma con fermezza).
Ci sono deformazioni attribuibili, innanzitutto, ai ‘professionisti’ – ed anche dei ‘cultori’ da lunga data – della filosofia. Ad essi non sempre è presente la differenza fra una ‘cenetta’ ed un seminario. In un seminario, per esempio universitario, è normale che qualcuno debba guidare gli altri verso una determinata teoria o, semplicemente, verso una determinata interpretazione di un testo. In una ‘cenetta’, al contrario, il ruolo dei tre o quattro filosofi di professione dovrebbe essere (nello spirito della ‘consulenza filosofica’) puramente di servizio: offrire, se richiesti, chiarimenti esegetici o ermeneutici o storici che favoriscano una comprensione corretta delle pagine lette da ciascun partecipante lungo le due settimane precedenti. E’ essenziale, perciò, non solo (come è già avvenuto) evitare che l’interlocutore ‘profano’ si senta ‘giudicato’ dai ‘maestri’ in sala ed avverta la libertà interiore di proporre a voce alta le risonanze suscitategli (anche alla luce della sua esperienza di vita) nella mente e nella sensibilità; ma anche far sì che lo stesso ‘profano’ si senta ‘accolto’ nella discussione, se necessario delicatamente ‘invitato’, senza dover faticare per trovare l’interstizio in cui inserirsi.
Altre insufficienze dell’esperienza vanno attribuite alla responsabilità dei partecipanti non-filosofi: la loro scarsa partecipazione, quando è riscontrabile, può dipendere da un’insufficiente preparazione all’incontro quindicinale. A sua volta, però, tale disattenzione va decifrata: un conto è che il singolo individuo non abbia trovato il tempo e la voglia di leggersi le pagine assegnatesi la volta precedente, un altro che a disincentivare la lettura sia stata l’ardua leggibilità dei libri adottati. Nella nostra breve storia abbiamo, infatti, constatato che i sintomi della demotivazione sono apparsi più evidenti quando ci si doveva confrontare con i Manoscritti economico-filosofici di Marx o con Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche di Löwith, mentre si sono fortemente attenuati quando ci si era auto-assegnati titoli come Il simposio di Platone o La lettera sulla tolleranza di Locke o Il concetto di Dio dopo Auschwitz di Jonas.
Nessun commento:
Posta un commento