REPUBBLICA – PALERMO
30.3.06
Giustizia, pace e salvaguardia del creato
Con il vocabolo - non proprio usuale - ‘ecumenismo’ si designa quel movimento teorico e pratico tendente alla riunificazione di tutte le chiese cristiane (cattolica, anglicana, ortodosse, protestanti…). Due tappe importanti sono state l’assemblea europea a Basilea, in Svizzera, nel 1989 e la successiva, a livello mondiale, a Seul, in Corea, nel 1990. Entrambe dedicate alla focalizzazione di ciò che i cristiani delle varie confessioni possono fare insieme nel triplice campo della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Ma se, storicamente, l’ecumenismo nasce come una faccenda interna alla cristianità, via via esso ha finito col coinvolgere anche il rapporto fra la cristianità e le altre grandi religioni dell’umanità (a partire dalle altre due religioni monoteistiche: l’ebraica e l’islamica). Oggi, perciò, il vocabolo ecumenismo ha acquistato l’accezione, più ampia dell’originaria, di processo dialogico e sinergico fra il cristianesimo e le diverse tradizioni religiose del mondo. Per importare anche dalle nostre parti queste prospettive rigeneratrici, la sezione palermitana del MIR (Movimento internazionale per la riconciliazione) ha programmato meritoriamente tre incontri pubblici (presso il Centro culturale valdese di via Spezio, alle ore 21): sulla giustizia (questa sera ne discuteranno il pastore Giuseppe Ficara e il teologo cattolico Rosario Giué), sulla pace e la nonviolenza (martedì 4 aprile la professoressa Maria Antonietta Malleo e il pastore valdese Ciccio Sciotto), sulla salvaguardia dell’ambiente (la sera del 16 maggio l’ingegnere Nino Lo Bello e la pastora Elisabetta Ribet).
Il fatto che le grandi religioni dell’umanità stiano imparando a dialogare fra loro è una buona notizia: ma non priva di ambiguità. Elle Kappa lo ha espresso con una delle sue vignette fulminanti su “Repubblica” del 23 febbraio. Il primo personaggio legge su un giornale: “In Nigeria i cristiani rispondono massacrando diciannove musulmani” e il secondo commenta: “Meno male, è ripreso il dialogo fra religioni”. Il filosofo Luigi Lombardi Vallauri lo esprime in maniera più articolata: se a coalizzarsi saranno gli esponenti più ‘ortodossi’ ed intransigenti di ebrei, cristiani e islamici, si formerà un blocco monolitico per tre volte più pericoloso…
Cosa ci sta dietro queste preoccupazioni? Una domanda inquietante: la religione in sé stessa, quale che sia la sua configurazione storica, non è comunque fattore di chiusura e di regresso? . E’ ovvio che i pensatori atei, da Voltaire e Feuerbach in poi, siano per la risposta affermativa. Meno ovvio che – sulla scia di una lunga concatenazione di autori da Soren Kierkegaard a Karl Barth – lo vadano ripetendo ai nostri giorni anche cattolici come il biblista p. Alberto Maggi. A parere di questi teologi, il vangelo è un annunzio di fede, non la fondazione dell’ennesima religione.
Forse, però, la questione non è così semplice. La fede ha molti pregi rispetto alla religione (è interiore, non si fissa su formule dogmatiche precise, non dipende da riti esclusivi…), ma ha almeno un difetto: non ha parole per comunicare, per confrontarsi. Un dialogo fra fedi diverse si strutturerebbe, a rigore, come silenzioso assembramento di mistici. Appena la fede vuole esprimersi, diventa teologia (a livello concettuale e verbale), liturgia (a livello gestuale), morale (a livello comportamentale)…dunque diventa religione (o, per lo meno, qualcosa che le assomiglia molto). Ecco perché, probabilmente, la religione non va assolutizzata ma neppure demonizzata: va relativizzata, vissuta per quello che è, ossia uno ‘strumento per’ legare gli uomini fra loro e, possibilmente, all’Eterno. L’essenziale è la fede come apertura ‘laica’ dell’animo al mistero della vita e del cosmo: il resto – le configurazioni ‘religiose’ in cui la fede si espone, si socializza e si istituzionalizza – è accessorio e strumentale.
Uomini, donne, gruppi - in quanto vivono la dimensione intima della fede – non hanno necessità di parlarsi: e forse neppure la possibilità. Ma in quanto creano, e mantengono in vita nella storia, dei movimenti religiosi possono – e devono – confrontarsi per non farsi male reciprocamente e, se ci riescono, per fare addirittura bene all’umanità e al pianeta che la ospita.
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