“Repubblica – Palermo”
21.2.06
ALLA SCOPERTA DELLA ‘CATENA’
Augusto Cavadi
Risale al Quattro-cinquecento e costituisce un originale esempio di rinascimento “siciliano”: è l’elegante chiesa di Santa Maria della Catena - tra la Cala, il Cassaro e piazza Marina – così denominata perché legata ad un’immagine miracolosa della Madonna o, più probabilmente, perché costruita su uno dei due terminali a cui veniva appesa la catena che chiudeva il porticciolo antistante (proteggendo la Palermo islamica dalle incursioni delle navi cristiane!). Il lettore curioso della sua origine, della sua struttura, del suo inserimento urbanistico, delle modifiche successive e dell’arredo artistico ha a disposizione un prezioso strumento a… diciotto mani pubblicato meritoriamente dalla casa editrice dei monaci benedettini di S. Martino delle Scale (ed è un peccato, per restare all’interno del vocabolario ecclesiale, che si tratti di un’iniziativa editoriale priva di distribuzione sul territorio nazionale e in internet: dunque con ridotte possibilità di traduzione in lingue estere). Il volume (AA. VV., Santa Maria della Catena, Abadir, pp. 166, euro 13,00), ricco ma agile, è suddivisibile idealmente in due parti.
Nella prima Valeria Viola (col prezioso corredo di mappe, incisioni d’arte e altri documenti iconografici) lumeggia il “contesto urbano” dell’edificio, rimarcando con comprensibile amarezza il suo isolamento progressivo dai suoi riferimenti originari: il mare da una parte, il Piano della Marina (oggi occupato dalla lussureggiante vegetazione della villa) dall’altra. Il Piano Programma del 1983 ed il successivo PPE del 1989 si erano prefissi di ripristinare lo scenario originario: ad oggi, però, nulla è cambiato.
Ma chi è stato il progettista della chiesa attuale? E in quali anni è stata effettivamente costruita? Su questi interrogativi (ai quali la critica non è riuscita a dare risposte definitive) si sofferma Daniela Leonte: a suo parere – comunque – i tre filoni estetici (normanno-svevo, tardo-gotico spagnolo e rinascimentale italiano) confluiscono in una sintesi equilibrata e felice come poche altre. In più di una parte, soprattutto nei coronamenti del fronte laterale e nelle absidi, si indovinano le mani di “maestranze con intenti decorativi diversi e forse in epoche diverse”: ma, nonostante le “apparenti incongruenze”, “l’unità che caratterizza all’interno e all’esterno la chiesa sembra creata con un sentimento solo di contenuta, altissima tensione”.
Sulle opere d’arte contenute all’interno (fra cui bassorilievi dei Gagini, quadri di ignoti e di noti pittori, affreschi di Olivio Sozzi…) si concentra l’intervento puntuale di Maria Genova. Apprendiamo, così, che il pregevole “fonte battesimale” e non pochi monumenti funebri sono stati trasferiti e sistemati (“senza alcun criterio se non quello della disponibilità dello spazio”) nell’attuale chiesa, dalla vicina parrocchia di S. Nicolò alla Kalsa, nel 1823. A conclusione del suo contributo, particolarmente utile risulta un “itinerario artistico” che può accompagnare il visitatore, dai tre portali d’ingresso e sino al coro, cappella per cappella.
Marcello Messina e Giovanni Travagliato, poi, si preoccupano di trascrivere le iscrizioni funebri e di riprodurre gli stemmi rinvenibili all’interno dell’edificio. Sono documenti interessanti per vari motivi: “innanzitutto perché costituiscono testimonianza della presenza di famiglie siciliane, di origine o di adozione (lucchesi, milanesi…); in secondo luogo, gli stemmi che sovente accompagnano l’iscrizione forniscono elementi utili allo studio della committenza artistica”.
La seconda parte del volume è a firma di due presbiteri. Il primo, Cosimo Scordato, approfondisce il significato teologico della struttura architettonica e dei suoi elementi più caratterizzanti (la facciata, il portico, il portale, le absidi…) e condivide la suggestione di Giuseppe Bellafiore che parla di una chiesa “laica”, luogo d’incontro fra il culto a Dio e i rapporti umani anche commerciali. Essa, infatti, acquista la fisionomia vicina all’attuale in un momento storico in cui “viene ripensato il sesno dell’uomo e della città, facendo emergere nuovi rapporti tra i gruppi sociali, e l’esigenza di un ripensamento della stessa dimensione religiosa che, senza compromettere l’orizzonte cristiano, deve convivere con le nuove domande, le nuove forme di pensiero e la mutata sensibilità”.
Il secondo presbitero, Carmelo Torcivia, è l’attuale rettore della chiesa ed è dunque titolato ad evidenziare le potenzialità – come le difficoltà oggettive – di una sua piena fruizione: sia come luogo di incontro, di meditazione religiosa, di celebrazione liturgica, sia come opera d’arte da ammirare ed in cui ambientare eventi musicali o iniziative culturali. Poiché essa offre, nel contempo, “il senso della centralità (per la sua collocazione in pieno centro storico) e della ‘marginalità’ (per il suo essere distante dal centro residenziale)”, può costituire “un piccolo laboratorio, in termini culturali ed ecclesiali, da cui far uscire fuori una proposta di vita per la città”. Non a caso la chiesa della Catena è diventata sede della comunità “Kairòs”, sorta nel 1994 con l’intento di radunare presbiteri e laici desiderosi di “riscoprire la bellezza e l’attualità del messaggio cristiano attraverso un serio lavoro di lectio divina” (per altre informazioni e contatti: www.digilander.iol.it/comunitakairos) . Alcuni frutti di questa ricerca comunitaria (arricchita da contributi di esperti provenienti anche da regioni lontane) vengono pubblicati nella collana omonima dell’editore “Il pozzo di Giacobbe”. Il modello di spiritualità perseguito intende “coniugare i dati offerti dalla modernità e dalla post-modernità con quelli della tradizione cristiana”.
Augusto Cavadi
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