“Repubblica – Palermo” 26.6.05
Augusto Cavadi
LA FARSA PALERMITANA DEL DIFENSORE CIVICO
Domanda: è vero che nella lotta contro il sistema di potere mafioso e per la legalità democratica non si deve fare differenza fra forze di centro-destra e forze di centro-sinistra? Risposta: dipende. Dipende dal punto di vista, dal livello della discussione. Sul piano teorico, dei princìpi, ovviamente è affermativa: la mafia è mafia e chi non intende tubare con i criminali che la costituiscono dev’essere riconosciuto, sostenuto, collaborato. Anche se si tratta di un esponente politico conservatore. Questa asserzione di principio va però verificata di caso in caso: non chi dice che la mafia va combattuta può, per questa sola dichiarazione, passare per antimafioso. E ciò vale, evidentemente, per qualsiasi esponente politico: anche riformista, anche rivoluzionario, anche estremista di sinistra.
Se applichiamo questi criteri di giudizio all’amministrazione comunale, scopriamo - o riscopriamo – delle cosette interessanti.
Come molti ricorderanno, il sindaco Cammarata spiazzò non poco l’opinione pubblica (addirittura nazionale!) istituendo sin dal suo insediamento un Assessorato alla Trasparenza. Per la verità, la decisione si prestava a qualche osservazione ironica: lasciava sospettare, o temere, che gli altri Assessorati avessero l’intenzione programmatica di non essere…’trasparenti’. In che stato d’animo entrerebbero i pazienti di un Policlinico se sapessero che è stato necessario aprire – accanto ai vari Istituti di medicina esistenti – anche un Reparto per la buona cura e la pronta guarigione dei malati? Ma ogni germe di ironia fu spazzato via dalla sorpresa, ancor più stupefacente, del nome dell’Assessore: ad una poltrona che, se rettamente interpretata, avrebbe dovuto controllare l’operato di tutta la giunta municipale veniva chiamato Michele Costa, avvocato, figlio di un Procuratore della Repubblica assassinato dalla mafia e di una indomita parlamentare del PCI. Una foglia di fico prestigiosa per coprire operazioni molto meno eccellenti? Le interpretazioni possono essere molteplici ma il dato di fatto oggettivo è che Costa, a un certo punto, ha gettato la spugna. E da allora, molti mesi fa, Palermo non ha più un Assessore alla Trasparenza. Inevitabile la curiosità: se era necessario allora, perché non lo è più adesso? E se adesso risulterebbe un ornamento superfluo, perché presentarlo allora come una cosa seria?
Non vanno meglio le cose se si osserva l’URP (Ufficio per le relazioni con il pubblico): ridotto a funzionare al minimo, senza neppure una di quelle iniziative (sondaggi di opinione fra i cittadini, ispezioni per verificare l’efficienza di strutture sociali comunali come gli asili…) che caratterizzano gli uffici omologhi di altre metropoli e che, sulla carta, apparterrebbero ai compiti istituzionali anche dell’ufficio palermitano.
Che dire del sito Web del Comune? Delibere ed atti ufficiali del sindaco e della giunta sono soltanto elencati per titoli. Forse ho cercato male, ma non ho trovato neppure un testo integrale di contratto, di convenzione, di finanziamento. Siamo alla parodia della trasparenza amministrativa.
Un altro picco di spregio dell’intelligenza media dei cittadini è stato toccato dalla vicenda – su cui è tornato altre volte nella sua rubrica in questo foglio Lino Buscemi – del difensore civico. Palermo è rimasta una delle poche città italiane, anzi addirittura siciliane, a non averne nominato ancora uno. Adesso l’Assessorato regionale agli Enti Locali ha lanciato una sorta di ultimatum, imponendo a tutto il Consiglio comunale di rompere gli estenuanti indugi. Una richiesta sacrosanta, bisogna riconoscerlo: un organo di garanzia indipendente costituirebbe un contributo concreto, effettivo, a colmare il deficit di legalità e a ridurre i margini di discrezionalità di politici e burocrati. Ma riusciranno i nostri eroi a non disertare questo ennesimo appuntamento? Persone ben informate ci hanno confidato le loro forti perplessità. In quasi tutti i consiglieri comunali, forse addirittura in tutti, manca una chiara ottica da cui affrontare la questione. Dal Palazzo delle Aquile partono telefonate in cerca di consulenza legale: il difensore civico deve essere vicino alla maggioranza o all’opposizione? Dev’essere necessariamente uno, o possono essere anche due o tre, in modo da rappresentare un po’ tutte le formazioni partitiche? Girano anche i primi nomi. In qualche caso nomi discutibili, in altri al di sopra di ogni sospetto. In nessun caso di persone professionalmente qualificate, tecnicamente competenti, eticamente motivate, ma equidistanti da ogni schieramento politico. Con questo metodo, però, non si andrà lontano. Palermo ha bisogno di un difensore civico che abbia un solo committente – la cittadinanza in quanto tale – ed un solo obiettivo: stroncare il clientelismo di ogni colore, polmone d’acciaio che solo può tenere in vita il sistema di dominio mafioso.
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