“Repubblica – Palermo” 9.2.05
Gli studenti, il freddo e la politica
Sabato scorso Maurizio Muraglia (che non è solo un ottimo insegnante, ma il presidente della sezione palermitana di un’ottima associazione di insegnanti) ha evidenziato un dato che – da Napoli in su – si stenta persino a immaginare: quando arriva l’inverno, in molte scuole è arduo lavorare perché battono i denti. Alla sua fotografia si potrebbe aggiungere un particolare paradossale: giornali e televisioni accendono i riflettori su questo o quell’altro istituto in cui il riscaldamento viene a mancare per cause contingenti, ma gli edifici che non cessano di essere riscaldati perché strutturalmente privi di qualsiasi impianto restano nell’ombra. Oltre che nel freddo. Più che la fotografia, è interessante la problematica pedagogica che Muraglia solleva: come insegnare la legalità, il rispetto delle regole, il senso civico in un contesto di illegalità? Come suscitare il senso dello Stato in edifici statali del tutto inadeguati alle normative (igieniche, di sicurezza, di efficienza amministrativa…) stabilite dallo Stato stesso? Gli alunni non sono stupidi: “chi”, “dove” e “come” emette un messaggio è per loro almeno altrettanto significativo del messaggio stesso.
Le analisi risultano convincenti, un po’ meno – mi pare – le considerazioni ‘operative’ finali: “Pronti a occupare le scuole, con impeto sessantottesco, verso tutti i nemici possibili, vicini e lontani, i nostri adolescenti stanno seduti con i berretti di lana nel mese di gennaio quando si avvicina la fine del quadrimestre e non è il caso di perdere giorni di scuola. Pur di arraffare un sei in matematica, mi becco il freddo e faccio finta di niente oppure protesto per un po’ senza graffiare più di tanto. Lo Stato odioso e insopportabile nel mese di dicembre me lo tengo caro per tutto l’inverno perché comunque un pezzo di carta me lo darà e non è il caso di farlo arrabbiare troppo”. Se Muraglia vuole invitare ad una coerenza interna gli studenti, ha ragione da vendere: non si può occupare la scuola prima delle vacanze natalizie e – pur senza risultati concreti - tornare a fare i bravi ragazzi dalla befana a pasqua. Ma è sufficiente questa forma di sollecitazione ad essere coerenti con sé stessi o non si dovrebbe avere il coraggio – educativo e politico – di fare un passo oltre e aggiungere che, comunque, si tratta di una logica complessivamente sballata? Detto altrimenti: all’alunna che batte i denti per il freddo devo rivolgere, in forma più o meno criptica, l’invito a rioccupare la scuola o non piuttosto spiegarle che ci sono modalità ben più efficaci di protesta? Personalmente non ho dubbi: alla scorciatoia della dimostrazione occasionale in piazza (che, nel migliore dei casi, può fare arrivare il metano in quella scuola e per quel mese) preferisco la via lunga della formazione civica. Dobbiamo ricordarcelo noi adulti, dobbiamo insegnarlo ai più giovani: ogni società ha la scuola che si merita. Tu non puoi votare quattro volte (alle comunali, alle provinciali, alle regionali e alle politiche nazionali) per uno schieramento liberista, affaristico, clientelare, serrato nella difesa di interessi privati scandalosi e… stupirti che i tuoi rappresentanti nelle istituzioni se ne freghino della mancanza di riscaldamento nei locali scolastici. E’ già tanto che la ministra, memore della battuta di Maria Antonietta di Francia, non abbia ancora dichiarato ai giornalisti: “Se sentono freddo nelle scuole statali, perché non si iscrivono alle scuole private dove avrebbero l’aria condizionata anche in primavera?”. Scandaloso, per me, non è che la ragazza batta i denti e non occupi (sapendo benissimo che ormai l’occupazione incide sulla politica di un governo quanto il solletico di una piuma su un bisonte inferocito): piuttosto che, dopo aver battuto i denti per tredici anni, alle prime elezioni voti per chi difende quello status quo. Oppure non vada neppure a votare.
Lo so: per evitare questo scandalo la strada è lunga, laboriosa e dagli esiti incerti. Si tratta di far rientrare nelle aule scolastiche la cultura politica che ne è stata cacciata fuori insieme agli scontri fisici fra fazioni di opposti fanatismi. Si tratta di usare in classe – insieme ai manuali – quotidiani, settimanali, mensili: tutto ciò che possa costituire un’alternativa all’imperialismo monocratico televisivo. Si tratta di spiegare agli alunni che votare per uno schieramento piuttosto che per un altro significa non soltanto scegliere fra due volti sorridenti di leader più o meno fotogenici, ma soprattutto fra due progetti di civiltà: dunque, anche di scuola. Si tratta di risuscitare l’educazione civica, la Bella Addormentata delle scuole di ogni ordine e grado. Si tratta, ancor di più, di evidenziare la dimensione civica di ogni disciplina curriculare: dalla letteratura italiana alla fisica, dalla storia alla biologia, dal greco all’informatica. Si studia il passato per capire il presente: e si vuole capire il presente per immaginare un futuro diverso.
Che i professori di orientamento ‘moderato’ e conservatore non avvertano l’urgenza di tutto questo, lo si può – almeno sino a un certo punto – comprendere. Che non la avvertano i professori progressisti (li si distingue subito: quando scatta l’autogestione immaginaria sono i primi, con ingenua disponibilità, a discutere con i ragazzi di guerra, di droga e di tutti quei problemi di cui dovrebbe essere intessuta la quotidianità della comunicazione in classe), lo si comprende con più difficoltà. Almeno loro dovrebbero ricordare il monito di uno dei guru del Sessantotto: “la banalità, di qualsiasi colore sia, è sempre controrivoluzionaria”.
Augusto Cavadi
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