Centonove 28.1.05
Augusto Cavadi
NO, IL MCDONALD NO!
Quando ricevetti la prima telefonata dalla responsabile della pagina per gli studenti (“L’Ora-scuola”), non sapevo che Giuliana Saladino fosse una giornalista, una scrittrice e una donna di rilievo nazionale. Né che fosse la moglie di quel Marcello Cimino a cui Michele Perriera avrebbe dedicato una biografia dal sottotitolo efficacissimo: “Vita e morte di un comunista soave”. Avvertii però il tocco di straordinaria attenzione, quasi affettuosa, nei confronti di noi ospiti ‘fissi’ del mercoledì sera: ragazzini di sedici, diciassette anni, che – radunati intorno a un tavolo, con microfoni e registratori al centro – ci accaloravamo a discutere di politica, di etica sessuale, di rapporti con i genitori e, ovviamente, di scuola. L’indomani potevamo passare dalla portineria per ritirare, con fierezza emozionata, le copie del quotidiano che Giuliana preparava in grosse buste gialle per ciascuno di noi. Verificavamo i resoconti delle nostre idee, commentando divertiti le foto scattate dal reporter nel corso della tavola rotonda. Poi, di solito, l’indomani - a scuola - si riusciva a strappare a qualche insegnante più elastico una decina di minuti per discuterne.
Al mitico Sessantotto mancavano pochissimi anni e quell’ appuntamento settimanale fu la nostra palestra di cultura ‘vera’e di democrazia: di confronto su questioni avvertite, concrete, assenti dai manuali in adozione. Confronto plurale, senza bavagli. Già perché noi del “Garibaldi” avevamo dovuto pubblicare il giornalino d’istituto con spazi ostentatamente bianchi, traccia polemica dei tagli imposti dalla presidenza (più dal vicario, il terribile Mimì Geraci, che dal dirigente titolare, il remissivo Pasquale Tullio) scandalizzata per qualche parola proibita (“lsd”, “streap-tease”, “masturbazione”…). Sotto la scure della censura preventiva erano finiti articoli, poesie e fotografie di Franco La Cecla, Junia De Mauro, Annamaria Battaglia, Emilio Arcuri…Per l’anno scolastico ’67 – ’68 venne a dare manforte al gruppetto redazionale, diretto con piglio manageriale da Antonio Calabrò, uno studente del “Parini” di Milano, perché il padre – Carlo Alberto Dalla Chiesa – era stato trasferito a dirigere il Comando dei carabinieri della caserma “Carini”. Nando portava l’esperienza – nota in tutta Italia - della vivace, e censuratissima, “Zanzara”.
Poi arrivò il Sessantotto e travolse, insieme ai retaggi del passato, anche pagine come “L’Ora-scuola”, giudicate tutto sommato troppo ‘riformiste’ e poco ‘rivoluzionarie’. Quando organizzammo la prima assemblea di base, ovviamente in ore pomeridiane, la polizia politica venne a schedare i tre pericolosi sovversivi che ne avevamo la regia. Occupare o no? Ci si divise e vinse la mozione, favorevole, di Claudio Riolo e di Pompeo Macaluso. Per rispetto della democrazia, anche i contrari accettammo di occupare. Ma irremovibili sulla necessità di creare gruppi di studio, di non sprecare il tempo inutilmente. Alla fine, il gruppetto su “Filosofia e contestazione” elaborò alcune relazioni sui progetti politici di Mazzini, La Pira, Marcuse. E fu il quotidiano “L’Ora” - se non ricordo male, in particolare su proposta dell’avvocato Sorgi – a raccoglierle in un opuscolo stampato gratuitamente. Ancora una volta, il quotidiano cittadino della sera dava una mano alle generazioni scalpitanti. Ma il rapimento di De Mauro, gli attentati mafiosi, soprattutto le lacerazioni interne alla sinistra - e il declino del PCI in particolare - avrebbero lentamente seppellito i fermenti, ingenuamente generosi, di quegli anni. Dopo alcune chiusure provvisorie, sarebbe arrivata la fine definitiva. Per tanto tempo, passando da via Stabile, abbiamo gettato uno sguardo nostalgico sulla palazzina disabitata, un tempo così animata.
E’ di questi giorni la notizia che l’edificio è in vendita e che, forse, diventerà un centro commerciale. La città, e in particolare l’amministrazione comunale, consumerà questo ennesimo atto di masochismo? Cancellerà – o lascerà che altri cancellino – ogni traccia di un quotidiano che generazioni di siciliani (e non solo di siciliani) attendevano per sapere le notizie che gli altri quotidiani regionali ignoravano? Non c’è proprio modo di organizzare una sinergia fra Regione, Provincia, Comune e società civile in modo da fare della sede de “L’Ora” un archivio, uno spazio espositivo, un museo della mafia e dell’antimafia, la casa delle associazioni senza fini di lucro; qualcosa, insomma, che non sia l’ennesimo McDonald?
Augusto Cavadi