“Repubblica – Palermo” 28.12.04
Augusto Cavadi
LA QUALITA’ DELLA VITA E LE CITTA’ DELL’ISOLA
Puntuali come l’epidemia influenzale, ancora una volta le graduatorie del “Sole-24 ore” sulla qualità della vita nelle province italiane. Dunque, ancora una volta, perplessità e polemiche sulle posizioni molto basse occupate dalle città siciliane. Ma ogni botta e risposta in proposito si rivela, ad una considerazione un po’ più attenta, inconsistente. Non ha senso per chi governa una determinata città (per esempio Palermo) strumentalizzare i dati per glorificare il proprio operato: se si passa dal 100mo al 96mo posto, infatti, può significare non che la città sia stata meglio amministrata nell’ultimo anno, ma che altre quattro siano state amministrate (magari da giunte dello stesso colore politico) ancor peggio. Non ha senso neppure per l’opposizione utilizzare i dati per attaccare chi governa: si tratta infatti del punto di arrivo di storie decennali, forse centenarie, in cui non mancano responsabilità di amministrazioni del proprio stesso schieramento. E non hanno ragione neppure i qualunquisti a ridersela beatamente osservando che, destra o sinistra, le gestioni non mutano le situazioni effettive: perché non è scritto da nessuna parte che un sindaco e i suoi assessori abbiano, nel bene e nel male, tale incidenza da azzerare le responsabilità sociali quotidiane dei burocrati, dei vigili urbani, degli automobilisti, degli spazzini, dei medici e dei bancari, insomma dei cittadini. Se Messina o Agrigento ristagnano nelle parti basse delle classifiche, ciò dipende prima di tutto ed essenzialmente da messinesi ed agrigentini.
Proviamo dunque - andando oltre le dichiarazioni più o meno brillanti e opportuniste – a chiarire qualche aspetto teorico non del tutto irrilevante.
L’idea fondamentale (suggerita in varie occasioni da esperti del settore) è che la nozione di ‘qualità della vita’ sia più diffusa che intelligibile. Non corrisponde, evidentemente, a nessun oggetto fisico o fatto storico: è dunque una nozione comoda, forse necessaria, ma costruita abbastanza arbitrariamente dagli studiosi. E’ dunque soggetta a modifiche continue secondo i punti di vista, le zone geografiche, le epoche storiche. Poiché viene formulata con abbondanza di tabelle numeriche, percentuali e medie aritmetiche, dà l’impressione di vantare una ‘scientificità’ molto più solida – e incontestabile – di quanto in effetti non le sarebbe lecito.
Se proviamo a capire meglio le ragioni di questa opinabilità – si potrebbe dire di questa problematicità intrinseca - troviamo almeno tre ragioni. La prima è legata proprio alla sua veste matematica: poiché la qualità della vita si stabilisce analizzando 36 settori (sanità, trasporti, servizi sociali…) mediante 50 indicatori per ogni settore, nessuna indagine statistica può compiere il miracolo di trasformare migliaia di dati quantitativi in un’idea qualitativa. Se faccio la somma di ciò che mi viene offerto in una crociera o in un villaggio turistico (aria condizionata, cucina raffinata, giochi di animazione…) in nessun modo posso ricavare – come risultato conclusivo – il grado di piacevolezza della vacanza in questione.
Ma poi – e siamo ad una seconda considerazione – chi stabilisce quali indicatori privilegiare? In una scuola è più importante che i certificati ti siano consegnati a vista o che gli insegnanti ti accolgano in aula con un sorriso? E’ un po’ come per il paniere dell’inflazione: uno potrebbe insistere per includervi la benzina, un altro che cammina in bicicletta - ma è appassionato di cinema - i dvd.
Come se ciò non bastasse, va considerata ancora una terza ragione per cui le misurazioni in questo ambito risultano non ‘oggettive’ ma, al massimo, ‘intersoggettive’: la qualità della vita dipende tanto dalle strutture e dai servizi, quanto dalla mia percezione soggettiva degli stessi. L’assistenza sanitaria offerta dall’Ospedale civico di Palermo non è percepita, e valutata, esattamente allo stesso modo dal turista svizzero e dall’immigrato ghanese. Vivere a venti metri dal mercato di Ballarò, dai suoi colori e dal suo vociare, è considerato da alcuni un sogno, da altri un incubo. Abitare a Bolzano in un condominio silenzioso, dove non si viene mai disturbati dal volume troppo alto di una radio o dal tono eccessivo della voce dei vicini che si scambiano il saluto, può rappresentare un privilegio come costituire un incentivo al suicidio.
Se queste rapide osservazioni hanno senso, si capisce perché le graduatorie statistiche devono essere lette con molta precauzione: soprattutto per evitare di accettare dogmaticamente che il modello di vita (occidentale, produttivista, efficentista…) adottato da un determinato staff di tecnici venga, surrettiziamente, spacciato per universalmente condiviso. Tuttavia sarebbe scorretto capovolgere la frittata, approfittare di queste riserve epistemologiche per annacquare le differenze fra Nord e Sud. Anche per la qualità della vita si potrebbe ripetere quanto asserito da qualcuno per la qualità in generale: “Non la sappiamo definire, ma quando l’incontriamo la riconosciamo”. Può darsi che - pur con minori opportunità di lavoro fuori casa, di partecipazione politica e di attività sportive - le donne dell’entroterra trapanese, direttamente interpellate, ritengano di non vivere peggio di altre concittadine toscane o umbre: ma va soppesato il rilievo di Heidegger su quella povertà che consiste nell’incapacità di percepire la mancanza come mancanza. I limiti della statistica non possono dunque diventare l’alibi del sottosviluppo. La gioia di vivere personale non è strettamente correlata all’efficienza delle amministrazioni: ma non ne è neppure del tutto indipendente. Nessuno chiede ai politici di assicurare la felicità dei cittadini, ci basterebbe che non la rovinassero con la corruzione o l’inettitudine.
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