Repubblica – Palermo 5.11.04
Augusto Cavadi
QUEGLI ALTOPARLANTI AL CIMITERO
Alle pendici di monte Pellegrino, fra le borgate marinare dell’Arenella e di Vergine Maria, si adagia il suggestivo cimitero dei Rotoli. E’ uno dei due più vasti camposanti della città e, come è uso fra noi siciliani, in questi giorni riceve la visita di migliaia di pellegrini. La pietas verso i defunti s’intreccia, sottilmente, con la necrofilia: l’osservatore stenta a decidersi fra il compiacimento e il rammarico. Ci si aspetterebbe che, almeno in questo segmento di tempo, il frastuono abituale (più di un ospite me lo ha fatto notare: Palermo non conosce le pause di silenzio delle altre città europee) cessasse. E con esso gli alterchi: effettivi, recitati, circoscritti, amplificati…Ma non è così. Ogni domenica il traffico enorme di automobili e di mezzi pubblici non è regolato dall’ombra di un vigile urbano. Se non fosse per i posteggiatori abusivi - qui un po’ meno arroganti e un po’ più efficienti perché giovani immigrati di colore nero – che gestiscono a modo loro il viavai, il caos sarebbe totale. In questi giorni eccezionali, qualche casco bianco lo si intravede: ma si tratta di presenze del tutto insufficienti rispetto alle necessità. Nessuno di loro, poi, osa obiettare qualcosa ai numerosissimi clienti che decidono di acquistare i fiori, di farsi prestare gli annaffiatoi, di restituire gli annaffiatoi ricevuti in prestito, senza mollare per un solo momento il volante dell’automobile. Anche a costo di creare ingorghi terrificanti e attese snervanti.
Superate le barriere dei metalli semoventi e dei loro gas asfissianti, una volta guadagnati i viali interni ti aspetteresti finalmente un po’ di pace. Temporanea, in attesa di quella definitiva. Ma anche questa aspettativa è condannata a rimanere delusa. Per ben tre o quattro volte, infatti, degli altoparlanti attivati al massimo della loro potenza diffondono - in maniera tale che nessun angolo del cimitero, anzi nessun angolo delle borgate limitrofe possa sfuggirvi - le voci osannanti dei fedeli e quelle roboanti dei predicatori di turno. Sei un credente cattolico e hai già partecipato altrove ad una liturgia? Sei credente ma non cattolico e intendi partecipare, in un altro momento, alla liturgia della tua chiesa? Non sei né cattolico né credente e non desideri partecipare a nessuna liturgia ma, solo, meditare in raccoglimento sulla tomba dei tuoi cari? Nessuna di queste ipotesi è contemplata. O, se prevista, sovranamente snobbata. Una volta che varchi la soglia del camposanto, devi – volente o nolente – essere coinvolto nella preghiera di quella sparuta minoranza di fedeli che, per ragioni rispettabilissime, hanno scelto quel luogo e quell’ora per onorare il loro Dio (senza preoccuparsi, altrettanto, di rispettare il loro prossimo).
Tutto questo sarebbe normale se quello spazio fosse – come, almeno sulla carta, non è – lo spazio privato di una determinata comunità religiosa. Ma si dà il caso che sia - o sarebbe – del Comune di Palermo: dunque pubblico, laico, aconfessionale. Non so se in tutti i Paesi a maggioranza musulmana (per esempio anche in Turchia) avvenga ciò che mi ha impressionato in Iran: che all’ora della preghiera, gli altoparlanti delle moschee debbano invadere gli ambiti civili della piazza, del mercato, degli uffici per ricordare – imperiosamente – i doveri religiosi. So solo che ormai da mille anni la Sicilia non è più una regione a maggioranza islamica. Normanni e svevi, angioini e aragonesi, borboni e garibaldini non dovrebbero esser passati invano: almeno dall’illuminismo in poi, e soprattutto dall’entrata in vigore della costituzione repubblicana, dovrebbe essere chiara la demarcazione fra pubblico e privato. L’amministrazione municipale, specie se in mano a rappresentanti del pensiero liberale moderno, anzi post-moderno, dovrebbe garantire a ciascun cittadino il diritto di praticare la propria religione come quello di non praticarne alcuna. Dovrebbe incarnare l’ideale cavouriano di una libera Chiesa in un libero Stato. Dovrebbe rendere attuabile per ogni cittadino il desiderio di esprimere la propria fede, a patto di non intralciare l’analogo desiderio di ogni altro. Almeno una volta l’anno. Almeno di fronte a quel mistero della morte che – per riprendere la delicata poesia di Totò de Curtis – come una “livella” sfronda gli umani dalle differenze secondarie e dagli ingiusti privilegi.
Nessun commento:
Posta un commento