Centonove 17.9.04
Augusto Cavadi
Il dialogo possibile anche col leader mask
L’idea e’ partita da un padre gesuita - che adesso dirige il Centro studi “Pedro Arrupe” di Palermo - e da un gruppo di suoi amici dell’associazione culturale “Anastasis” di Roma. Nel 1999, incontrando l’ambasciatore iraniano per proporgli alcune occasioni di presentare la cultura islamica nella capitale del cattolicesimo, gli hanno chiesto per quale ragione il suo governo non desse mai un’occasione analoga a rappresentanti della chiesa. Sul momento la risposta è stata un sornione sorriso orientale, ma tre anni dopo è arrivata, del tutto inaspettata, la proposta: la Santa Sede avrebbe potuto restaurare un’antica chiesa nella favolosa città di Isfahan e, nei locali annessi, aprire sia un centro sociale per la promozione del territorio sia un centro culturale per gli scambi interconfessionali.
Così in questi giorni una delegazione, guidata dai responsabili dell’associazione culturale romana e comprendente anche tre palermitani, è tornata in Iran per tentare di mettere nero su bianco e dare concreto avviamento all’affascinante progetto interculturale. Non è stato facile far convergere su un piano di lavoro preciso i diversi interlocutori coinvolti, ma alla fine questo insolito esperimento di diplomazia dal basso ha dato i suoi frutti: le autorità governative della Repubblica islamica ed il Nunzio apostolico a Teheran si sono riconosciuti in un testo d’intesa che costituisce il primo accordo ufficiale, dal 1979 (anno di caduta dello Scià di Persia) ad oggi, fra Iran e Vaticano.
Per me, siciliano, si è trattato di un’occasione preziosa: imparare il confronto significa certamente esercitare l’ospitalità - come da decenni avviene nelle università isolane nei confronti degli studenti iraniani - ma anche visitare le terre di provenienza dell’immigrazione e cercare di capire al di là degli stereotipi.
Sin dalle prime ore, i murales giganteschi inneggianti a Khomeini e agli eroi della rivoluzione islamica, ma soprattutto stigmatizzanti gli Usa ed Israele (terribili quelli che riproducevano le fotografie delle torture subite in Iraq da prigionieri di guerra che pure, sino a qualche anno fa, sono stati nemici degli iraniani) mi avevano fatto temere un atteggiamento aggressivo - o per lo meno diffidente - verso noi occidentali. Ma si trattava di un timore pregiudiziale infondato. Neppure una volta , alla domanda frequentissima di persone incontrate per strada circa il nostro Paese di provenienza, è seguito il benché minimo accenno di disapprovazione: “Italia? Very good. Del Piero, Baggio, Totti” (musica e sport, soprattutto dove non esistono molte altre alternative di aggregazione e di divertimento, sono linguaggi davvero universali, ma i nostri campioni di foot-ball sospettano la rilevanza pedagogica dei modelli di vita che incarnano?). Solo qualche rara volta un accenno a Berlusconi, ma per osservare - con un divertimento soverchiante il risentimento - che si tratta del “leader mask“, il capo di governo famoso nel mondo per il lifting al volto. Insomma: dappertutto curiosità e cordialità. La gente comune sa distinguere, con molta saggezza, le responsabilità morali dei governanti rispetto ai sentimenti effettivi dei cittadini.
Nessun problema, allora? Purtroppo non è così. La reciprocità del dialogo esigerebbe la condivisione di alcuni princìpi basilari: ma siamo ancora lontani. Ho esemplificato, in una corrispondenza precedente, la drammaticità della condizione femminile. Potrei aggiungere che, in una recente cena, un signore giunto dopo la nostra comitiva si è molto cortesemente avvicinato a salutare con una stretta di mano uno per uno i maschi, ignorando totalmente (intendo dire: non rispondendo al loro saluto, non raccogliendo la mano tesa e non guardando neppure) le donne europee.
Né il quadro si configura più entusiasmante dal punto di vista dei diritti umani e della trasparenza dell’informazione. La sera della stessa cena - attraverso la televisione satellitare- Rai 3 dava notizia del fatto che il militare iraniano accusato di aver ucciso con percosse, l’anno precedente, una giornalista iraniano-canadese, era stato quel giorno assolto dal tribunale e che il governo si era offerto di risarcire la famiglia della vittima con una cifra simbolica pari alla metà di quanto previsto per la vita di un maschio. Ebbene, di tutto questo l’opinione pubblica iraniana - almeno secondo i nostri sondaggi immediati - non era stata informata dai canali ufficiali locali. Forse altre due o tre anni di regime berlusconiano azzereranno le differenze attuali: ma, oggi, permangono. Persino in Italia, la lezione illuministica ci preserva dalla duplice gabbia della teocrazia in religione e del totalitarismo in politica.
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