Mercoledì 19 maggio 2004
“Repubblica- Palermo”
Augusto Cavadi
Gli immigrati visti da Agrigento
Nonostante la miopia con cui la politica – e l’opinione pubblica – l’affrontano, il fenomeno delle migrazioni da un continente all’altro non è né nuovo né destinato ad estinguersi in tempi brevi. La storia insegna che imperi secolari sono stati scompaginati dal rimescolamento etnico dovuto talora a invasioni traumatiche, tal altra a infiltrazioni graduali difficilmente percepibili. Illudersi di bloccare sommovimenti epocali di queste dimensioni con provvedimenti di polizia significa difettare di buon senso, prima che di solidarietà umana.
Nessuna decisione strategica può, in ogni caso, fare a meno di una conoscenza oggettiva, aggiornata e completa di che cosa accada effettivamente, al di là del clamore effimero che si crea – occasionalmente – davanti a questo o a quel naufragio di carrette sgangherate e sovraccaricate.
Ma chi assicura questo monitoraggio del fenomeno? In mancanza di iniziative istituzionali, sono stati alcuni cittadini che – a titolo di volontariato del tutto gratuito – hanno attivato nel 2002 un “Osservatorio permanente sull’immigrazione” (osservatorioimmigrazione@yahoo.it) . Lo hanno fatto in Sicilia, più precisamente ad Agrigento, perché convinti – come si legge in un dossier presentato in questi giorni all’attenzione della stampa - che il suo ruolo non è più quello “di una sonnolenta cittadina di provincia, un po’ deprimente ed un po’periferica”, ma anche “di una città che è situata al centro del Mediterraneo”.Non è facile sintetizzare in poche battute i contenuti del dossier né, tanto meno, discuterli criticamente. Ma è impossibile trarre, dalla “Introduzione” di Giovanni Di Benedetto, alcune considerazioni che mi sembrano davvero rilevanti.La prima è che spesso confondiamo, nella nostra valutazione, gli effetti con le cause: “per intenderci, non sono le orde di clandestini a richiedere l’adozione di leggi proibizioniste, sono le leggi repressive come la Bossi-Fini a creare clandestinità, finalizzata per esempio allo sfruttamento dei migranti considerati solo come forza lavoro e manodopera, mai come esseri umani con il diritto alla libertà di movimento e di riscatto”. Una seconda osservazione concerne i contraccolpi ‘interni’ al nostro sistema sociale di disagi che, superficialmente, riteniamo riguardare solo gli ‘stranieri’: “pensiamo all’impiego di lavoro sommerso che permette agli imprenditori di aumentare a livello esponenziale i profitti lucrando sul regolare versamento degli oneri contributivi e di ricattare la manodopera costringendola ad un lavoro servile privo di salari dignitosi, caratterizzato da flessibilità e precarietà e vessato da pesanti condizioni in termini di carichi, orari, sicurezza e nocività. Senza dire che, per giunta, una tale strategia costituisce un efficace strumento di pressione nei confronti degli stessi lavoratori regolari determinando un peggioramento delle loro stesse condizioni quanto a norme, contratti e sindacalizzazione”. Una terza, più concreta, osservazione riguarda la necessità di far luce sulle condizioni effettive di vita degli immigrati nei CPT (“Centri di permanenza temporanea”) presenti nella nostra regione e in altre regioni di confine: “il paradosso di questi luoghi di accoglienza è che, a differenza delle carceri, all’interno dei CPT non vi sono regole certe, è possibile che non vengano date informazioni adeguate agli immigrati sui loro diritti e sui loro doveri e, a causa della continua mobilità dei trattenuti tra le diverse strutture, sembra siano fortemente limitati l’esercizio del diritto di difesa e di visita”.Il compito che l’Osservatorio si è assegnato non è solo quello dell’analisi e della denunzia, ma anche della proposta costruttiva. Una propositività che, a voler schematizzare brutalmente, si articola su due livelli. Innanzitutto come complesso di iniziative finalizzate ad “alleviare i disagi per una condizione dettata dalla precarietà e dall’insicurezza” (“gli sportelli di informazione legale, le scuole di italiano, i tentativi di risolvere i problemi legati al lavoro, alla ricerca di una casa, alla tutela della salute”). Ma queste iniziative, dettate dall’emergenza, sono viste come “presupposti di un agire politico che vada al di là della vertenzialità episodica permettendo il radicamento e il lavoro di prospettiva”: in altre parole, come occasioni per superare “il deficit culturale e progettuale notevole” con cui “ci accostiamo all’immigrato”. Per fare, insomma, della Sicilia – e, in prospettiva, dell’intera Penisola – “un luogo da attraversare, e non una fortezza”. Un passo avanti in questa direzione l’ha certamente realizzato la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Palermo attivando – con una lezione inaugurale prevista proprio per oggi alle 15,30 a Plazzo Steri – il Master di I livello “Immigrazione, asilo e cittadinanza”.
Nessun commento:
Posta un commento