“Repubblica – Palermo” 7 – 5 - 04
Augusto Cavadi
Lutero, Gibson e i nostri Santi
Secondo alcune testimonianze storiche, nella Costantinopoli del IV secolo dopo Cristo era normale che al mercato il pescivendolo discutesse di teologia col fruttivendolo e, per una divergenza d’opinioni sulla Bibbia, la massaia si accalorasse sin quasi al litigio con il panettiere. Epoche ormai passate per sempre, probabilmente. Ma qualcosa del genere, tra The Passion di Gibson e Luther di Till, si sta riproducendo sotto i nostri occhi. La moda, o il ritorno di fiamma, fa uno strano effetto in Italia: ancor più strano dalle nostre parti.
La religiosità del cattolicesimo mediterraneo non è – come si dice in termini tecnici – ‘cristocentrica’. Invece la rivisitazione – discutibile da tanti punti di vista – della passione di Gesù di Nazareth riporta prepotentemente al centro dell’attenzione, e del dibattito, quella Figura che era stata offuscata da una folla sempre più numerosa di madonne lacrimanti, di santi miracolosi e di stigmatizzati onnipresenti. Per la signora di Ballarò (che con disarmante candore afferma: “Capisco non credere in Dio: ma come si può non credere a Padre Pio”?) è abbastanza spiazzante doversi confrontare con quella croce che già per Paolo apostolo era “scandalo per i Giudei e follia per i Greci”.Ancor più spiazzante, poi, a giudicare dai commenti del pubblico cinematografico, l’impatto con Lutero. Per motivi su cui ci sarebbe da riflettere a fondo (il nemico ‘simile’ è molto più temibile del nemico del tutto diverso), la società siciliana ha mostrato maggiore tolleranza nei confronti di Ebrei e Musulmani che verso i Protestanti. Nel recente opuscolo La chiesa valdese a Palermo. Profilo di una comunità evangelica del Sud (1861 – 2001), Renato Salvaggio – nonostante le sue benemerite intenzioni ecumeniche – non può fare a meno di ricordare che, sin dalla fondazione di quella chiesa protestante (subito dopo l’unificazione italiana del 1861), “la reazione del clero cattolico non si fece attendere e si manifestò, dapprima con una serie di attacchi polemici su bollettini parrocchiali e su fogli locali conservatori, poi con azioni intimidatorie e violente che le autorità di pubblica sicurezza non seppero o non vollero impedire” (p. 16). Né minori persecuzioni dovettero subire, in altre zone della Sicilia e in epoche più recenti, attivisti protestanti come il metodista Lucio Schirò D’Agati (fra l’altro, sindaco di Scicli nel periodo immediatamente precedente l’avvento del Fascismo) di cui in questi mesi la figlia Miriam ha curato una sintetica biografia con le Edizioni Zephyro di Milano: un attentato la sera del 18 giugno 1921 provoca nove feriti e un morto (reo soltanto di essere “simpatizzante della chiesa metodista” e di trovarsi accanto al suo pastore, bersaglio principale da colpire). Sino agli anni della mia adolescenza, d’altronde, la diocesi di Palermo era forse l’unica in Italia in cui – per decreto del cardinale Ernesto Ruffini – si era ‘automaticamente’ scomunicati se solo si metteva piede in un tempio non cattolico, fosse pure in momenti diversi dal culto liturgico e dal relativo ‘pericolo’ della predicazione. Il Concilio Vaticano II degli anni Sessanta non è passato invano e più di un effetto positivo si è potuto registrare anche da noi. Particolarmente attiva – anche se poco conosciuta, e ancor meno frequentata, in ambienti cattolici – una sezione locale del Segretariato per le Attività Ecumeniche, associazione diffusa nel territorio nazionale che da decenni si adopera – meritoriamente – per costruire occasioni di incontro, di riflessione e di preghiera fra membri delle diverse confessioni religiose. Eppure, se si esclude qualche teologo più aperto e qualche parroco più illuminato, nell’opinione del cattolico ‘medio’ siciliano il variegato mondo protestante viene considerato come una sorta di nebulosa di cui è sempre preferibile diffidare.Non è certo fra le conseguenze meno interessanti della diffusione nelle nostre sale del film su Lutero la ‘scoperta’ – che trapela dai commenti all’uscita – da parte del pubblico di essere molto più d’accordo con le posizioni della Riforma che con la dottrina cattolica tradizionale. Né si tratta solo di un pubblico ‘laico’ o, addirittura, anticlericale. Nell’intervallo fra il primo e il secondo tempo della proiezione a cui mi è capitato d’assistere, un simpatico quarantenne si è alzato in piedi e – rivolgendosi ai presenti – ha chiesto, “a titolo di sondaggio estemporaneo, extracanonico”, se ci fossero preti in sala. Contate le mani alzate, ha ringraziato concludendo: “Dunque, me compreso, siamo in cinque”. Devono dunque le gerarchie della Chiesa cattolica temere un esodo in massa di fedeli? Se la storia ci insegna qualcosa, dovrebbero restare tranquilli. Nessun movimento di conversione da una chiesa all’altra mi sembra prevedibile. Forse Sciascia esagerava nel definire noi conterranei sostanzialmente ‘atei’; certamente non siamo credenti al punto da preoccuparci di far corrispondere teoria enunciata e pratica quotidiana. Questi rigorismi moralistici li lasciamo ai popoli, schematici e senza fantasia, dell’Europa centro-settentrionale. Noi mediterranei, soprattutto noi italiani possiamo anche dubitare dell’infallibilità del papa o della verginità perpetua della Madre del Signore, ma non per questo riteniamo di dover fare eccessiva pubblicità. Possiamo certo consumare (in materia di fede e di costumi) degli scismi rispetto alle norme dell’autorità, ma – per riprendere un pamphlet fortunato, di pochi anni fa, del filosofo Pietro Prini – ‘sommersi’. Taciti. Invisibili. Ribaltabili in qualsiasi momento dovesse tornare utile rivestire la divisa e presentarsi impeccabilmente ortodossi.
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