venerdì 8 agosto 2025

QUANDO LA FILOSOFIA CI INTERPELLA INESORABILMENTE : SOCRATE L'ANTIPATICO

 Se per tredici anni abbiamo frequentato la scuola (dalla primaria all’esame di Stato) e non abbiamo mai incontrato una docente o un compagno o un personaggio storico che ci abbiano messo in crisi, costringendoci a vedere come in uno specchio la banalità del nostro modo di condurre l’esistenza e inducendoci a mutamenti significativi, abbiamo davvero perso anni preziosi.

A qualcuno di noi più fortunato è capitato di essere sconvolto da più di un incontro del genere, sia con persone fisiche che con personaggi storici. Tra questi senz’altro Socrate. Ed è con pizzico di commozione che ho ritrovato espressa un’esperienza simile nella recente edizione dell’ Apologia di Socrate platonica curata da S. Sigismondi e F. Battistin per l’Agenzia Libraria Editrice (Milano – Monfalcone 2025). Scrive a un certo punto Battistin di essere tra coloro cui è  “capitato di sperimentare come un mutamento nelle nostre vite abbia avuto origine dall’incontro con un uomo o una donna che con la sua amorevole sapienza ci ha costretto a riconoscere quante deformità e brutture si celassero nella nostra anima. L’incontro con quella persona è stato per noi l’incontro con un vero filosofo, perché filosofo non è chi ha letto tremila libri, chi conosce a menadito la storia della filosofia, chi è al corrente dell’ultima novità apparsa sul mercato del sapere, ma chi, anche se non sa né leggere né scrivere, è in grado di governare sé stesso e di agire in modo buono e giusto per sé e per gli altri” (p. 136). A suo parere, Socrate è stato per molti della sua e delle successive generazioni un “filosofo” di questa pasta: e ciò lo ha reso e lo rende affascinante e ripugnante. Infatti, se non se ne anestetizza la valenza provocatoria seppellendolo sotto migliaia di interpretazioni accademiche (p. XII), egli continua a interrogarci spietatamente per costringerci a rispondere alle uniche domande davvero ineludibili: “Sei sicuro che la tua prospettiva di felicità sia la migliore? Sei sicuro di vivere la vita migliore? Sei sicuro di vivere in modo buono e giusto?” (p. 135).

Se si fosse limitato a prediche moralistiche o comizi demagogici, Socrate sarebbe digeribile, metabolizzabile. Ma, alla Gandhi, ha voluto essere in se stesso il cambiamento che proponeva al mondo e, come Gesù di Nazareth, ha pagato in prima persona la profonda convinzione che – sino a quando la violenza fisica sarà praticata come inevitabile da un’umanità ancora primordiale – subirla è meno peggio che agirla.

E’ comprensibile che uno scocciatore del genere sia finito assassinato dopo un processo farsa in cui lo si accusò dell’esatto contrario delle sue azioni. Ed è comprensibile che, anche oggi, le rare personalità che ne riproducono, almeno parzialmente, la missione civica vengano o perseguitate o, più efficacemente, ignorate da chi è abbarbicato alla triplice certezza che ci si realizzi moltiplicando il denaro, il potere e i piaceri corporei: “Non è forse più rassicurante e gratificante asserire ben congegnate teorie e denunciare i mali del mondo e della società, assicurandosi così gli applausi della folla che nulla di meglio chiede se non sfuggire alle proprie personali responsabilità, scaricando i propri fallimenti sui capri espiatori di volta in volta in voga?” (pp. 137 – 138).

Se il quadro complessivo è questo; se ognuno aspetta che siano gli altri ad inoltrarsi su sentieri inediti abbandonando consumismo, carrierismo ed edonismo compulsivo, non si può non condividere l’auspicio di Battistin per una rifondazione dell’etica, della pedagogia e della politica nell’era delle ingiustizie sistemiche mondiali: “l’Apologia dovrebbe essere un’opera presente in ogni casa, e dovrebbe essere come un amico fedele che ci accompagna nel corso della nostra vita” (p. XII).

Augusto Cavadi

* Cliccare qui per la versione originaria illustrata:

https://www.zerozeronews.it/quanto-dobbiamo-al-conosci-te-stesso-di-socrate/

mercoledì 30 luglio 2025

PENSARE IL MEDITERRANEO, CULLA E TOMBA DI TROPPI ESSERI UMANI

 “Promuovere una teologia che, dall’alto della croce e in ginocchio davanti al prossimo, usi parole umili, sobrie e radicali, per aiutare tutti ad affacciarsi alla compassione; e parole che ci insegnino a fare reti di salvezza e di amore, per generare una storia nuova, radicata nella storia del popolo”: con queste parole si chiude il Messaggio del Santo Padre Francesco alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni evangelista” nel 43° anniversario dell’inizio delle attività accademiche, videotrasmesso il 16 ottobre 2024 presso l’Aula Magna della Facoltà palermitana, e si apre la raccolta di saggi, a cura di V. Impellizzeri e S. Rindone, Paradigma mediterraneo. Per una filosofia e una teologia contestuali (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2025, pp. 269, euro 25,00).

Come spiega, sin dalla Presentazione,  Impellizzeri, il “paradigma Mediterraneo” nasce come tentativo di rispondere al “bisogno di dare forma a uno stile di pensiero e di linguaggio le cui categorie sono formulate a partire dalla storia degli uomini e dalle comunità di frontiera che vivono questo tempo con fatica e altrettanta speranza” (p. 6). Le tappe che hanno segnato la costituzione di questo paradigma sono raccontate nella relazione di G. De Simone Cambio di paradigma per un pensiero mediterraneo: da Napoli 2019 a Marsiglia 2023 (pp. 13 – 20) che rievoca “l’insistenza di papa Francesco sul valore delle culture e sul significato del Mediterraneo” (p. 17), da cui sono nate sia la “Rete Teologica Mediterranea” che il Manifesto per una teologia del Mediterraneo (p. 20).

Impossibile dar conto dei contributi in cui si prova a declinare tale paradigma secondo le diverse tradizioni sapienziali e i diversi punti di vista disciplinari: dagli studi biblici (Il paradigma rabbinico dell’accoglienza dell’altro di C. Raspa, pp. 21 – 36; Landless citizenship. Reflections on the margins of biblical Israel di D. Tonelli, pp. 37 – 58) alle ricerche storiche (Una incipiente politica del Mediterraneo? Il De Regno ad regem Cypri di Tommaso d’Aquino di V. Serpe e D. Citro, pp. 59 – 82; Religioni, teologia, dialogo. Il Dipartimento di teologia delle religioni e la “Rete Teologica Mediterranea” di M. Di Tora, pp. 183 - 226); dalla filosofia (Una talassologia per una teologia del Mediterraneo? di G. Basile, pp. 83 – 90) all’etica (L’etica delle religioni nel contesto del Mediterraneo di S. Rindone, pp. 91 – 119; A Theology of scars in the Mediterranean context di A. Petrache); dalla storia della letteratura (La teologia letteraria come esercizio contestuale e narrativo: l’antropologia mediterranea secondo Leonardo Scaiscia, Pier Paolo Pasolini e don Lorenzo Milani di L. Crapanzano, pp. 135 – 155; “Thinking otherwise”: Philosophical Legacy of Six Memos for the Next Millennium by Italo Calvino di M. A. Spinosa, pp. 157 – 163;  Uno <<studente (è da supporre di teologia)>> e il suo Viaggio. Primi appunti su Mario Luzi poeta mediterraneus di L. Battistel, pp. 165 – 182) alla sociologia (Il Mediterraneo ci convoca: città plurali e ibride di A. Staropoli, pp. 227 – 248; The semantics of risk in the Mediterranean basin. A reading by Ulrich Beck di A. Sapuppo, pp. 249 - 265).

Già da questo scarno, telegrafico, elenco di titoli si possono intuire la ricchezza e la varietà dei testi raccolti che, a loro volta, grazie ad una puntuale bibliografia nelle note in calce a ogni pagina, aprono ulteriori finestre e consentono più approfondite piste di ricerca. Una delle finalità principali che accomuna i contributi è stata ben formulata da Anna Staropoli che, nella sua biografia, coniuga lo sguardo della sociologa con l’impegno nel sociale: “Nei sistemi attuali di cittadinanza escludenti, la teologia dal Mediterraneo diventa al contrario opzione preferenziale per i poveri, per i vinti della storia, per la squadra che perde. Significa stare dalla parte di chi si lascia contaminare dalle relazioni e dalle sofferenze dei popoli, di chi ha il coraggio di una mediazione comunitaria difficile, di operare delle scelte evangelicamente dalla parte dei più fragili e non per roteare le armi contro i ricchi ma per cambiare strutture sociali, economiche e politiche ingiuste e ricercare vie nuove: la speranza va organizzata oggi” (p. 229).

Il volume vede la luce qualche giorno dopo la morte di papa Francesco che della necessità di “contestualizzare” i balbettii teologici è stato convinto e fervido promotore. Sappiamo che questa sua tensione a coniugare il vangelo di ieri e la storia di oggi, in vista di un domani meno disastroso, ha incontrato resistenze e critiche da chi vi ha visto la rinunzia al punto di vista dell’eternità. Che ne sarà adesso delle aperture profetiche del papa pescato dai confini del mondo? C’è da sperare che Leone XIV non si faccia portavoce autorevole della fronda avversa al suo predecessore in nome del neo-platonico Agostino (già tanto caro a Benedetto XVI di venerata memoria) cui si devono le fondamenta della dogmatica cattolica: un edificio nel suo insieme ammirevole, certamente suggestivo, ma radicalmente estraneo alla logica del Falegname di Nazareth e al suo messaggio di liberazione integrale “di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (Paolo VI).

Augusto Cavadi

* Per la versione originaria, corredata da foto, cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/mediterraneo-culla-e-bara-di-troppa-gente/

domenica 27 luglio 2025

APPELLO A MELONI E TAJANI PER I VOLONTARI SEQUESTRATI DA ISRAELE IN ACQUE INTERNAZIONALI

Alla cortese attenzione del

Presidente del Consiglio dei Ministri,

del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale,

sono un cittadino italiano e mi rivolgo a Voi con urgenza in merito alla gravissima vicenda della nave Handala della Freedom Flotilla, intercettata da forze israeliane mentre trasportava aiuti umanitari (cibo, latte in polvere, pannolini, orsacchiotti) destinati alla popolazione palestinese di Gaza, stremata da mesi di assedio e crisi umanitaria senza precedenti nel corso del genocidio in atto..

I soldati israeliani sono saliti a bordo della nave e da quel momento non si hanno più notizie dell’equipaggio, tra cui anche due cittadini italiani: Antonio Mazzeo e Antonio La Piccirella.

Chiedo con forza: informazioni immediate e ufficiali sullo stato di salute e la posizione dei nostri connazionali; un intervento diplomatico tempestivo per ottenere il rilascio dell’equipaggio e la restituzione della nave; una dichiarazione pubblica e chiara del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri a tutela della missione umanitaria e dei diritti dei cittadini italiani coinvolti; una presa di posizione critica e chiara da parte del Governo italiano nei confronti di quanto accaduto.

Vi chiedo di non rimanere in silenzio di fronte a un atto di forza contro una missione di pace e solidarietà. Ogni minuto di silenzio è un minuto in più di incertezza per i nostri connazionali e per tutti coloro che hanno rischiato la vita per consegnare aiuti umanitari.

Ritengo indecoroso e inaccettabile il silenzio diplomatico e istituzionale su una vicenda che riguarda volontari impegnati in una missione di assistenza umanitaria. Voglio essere certo che lo Stato italiano stia adottando ogni iniziativa possibile per tutelare Antonio Mazzeo e Antonio La Piccirella.

Tutto questo è avvenuto sotto gli occhi di oltre 20.000 persone che stavano seguendo in diretta le comunicazioni della nave: la società civile ha visto tutto.

Confido in una risposta celere, concreta e pubblica.

Distinti saluti,

Prof. Augusto Cavadi

Casa dell’equità e della bellezza (Palermo)

 

PS: Se qualcuno volesse inviare questa lettera, meglio se personalizzata, può spedirla ai seguenti indirizzi:

unita.crisi@esteri.it

ufficio_stampa@governo.it

tajani_a@camera.it

segreteria.ministro@esteri.it.

ministero.affariesteri@cert.esteri.it

segreteria.ministro@cert.esteri.it

giovedì 24 luglio 2025

L'UNICA SALVEZZA PER GAZA (MA NON SOLO)

Le notizie da Gaza ci straziano il cuore. Dopo decenni di aver condannato lo sterminio nazista degli ebrei non avrei immaginato che un governo israeliano sarebbe diventato il più efficace seminatore di odio anti-semita della storia: talmente efficace da togliere dalle mani di noi difensori del popolo ebraico ogni strumento.

Ho firmato decine di appelli, ho partecipato a decine di cortei, ma ormai non posso mettere a tacere una domanda insinuante che proviene dalla mia stessa coscienza: davvero sono convinto che con questi segni di protesta raggiunga altro obiettivo che addormentare – provvisoriamente – il mio senso d’impotenza?

Come mi capita nei momenti più bui della vita, provo a farmi consulente filosofico di me stesso: a guardare il problema in sé, a cercarne eventuali soluzioni, senza lasciarmi coinvolgere del tutto dagli inevitabili blocchi emotivi.

L’obiettivo principale, e più urgente, è la cessazione di questo genocidio in Medio Oriente.

Chi ha il potere d’intervenire a tale scopo?

In probabile ordine: il governo di Netanyahu; i dirigenti di Hamas; Trump; l’Unione Europea; il governo italiano (nella modesta misura in cui può condizionare le istituzioni elencate).

Moltiplicare le iniziative di protesta, di condanna, di sdegno verso una o alcune o tutte queste istituzioni ci avvicina o ci allontana dall’obiettivo principale? Se scendiamo in piazza in 10 cittadini/e o in un milione di essi/e, con slogan o senza slogan, bruciando questa o quella bandiera, ci avviciniamo di un centimetro alla méta?

La storia delle idee e delle pratiche nonviolente mi suggerisce altro.

Se vedo due energumeni che se le danno di santa ragione, il mio primo compito è ricostruire le origini della lite (stabilendo chi  ha più torto dell’altro) o interromperla?

Se avessi la forza per farlo, bloccherei con forza i due contendenti (e, in caso di pericolo esiziale del più debole dei due, ricorrendo a qualsiasi arma).

Ma se non ho questa forza, che posso fare?

Per prima cosa – probabilmente – spegnere le tifoserie che, alle spalle dei due contendenti, si sgolano per incitare alla lotta e supportare con ogni mezzo il proprio combattente.

Approfittando del privilegio (immeritato) di non essere un congiunto di israeliani assassinati il 7 ottobre del 2023 né di palestinesi sterminati da quella data a oggi, potrei proporre (personalmente o come associazione, rivista, centro studi, sindacato, partito, chiesa etc.)  un movimento planetario e trasversale di superamento del tradizionale paradigma bellicista.

Penso a un movimento essenzialmente culturale, basato su alcuni pochi principi etici condivisibili da (quasi) tutte le ideologie religiose e politiche, imperniato sulla convinzione che ormai l’umanità sia a un bivio: o un mutamento antropologico o il suicidio.

E’ un po’ come se, dopo millenni in cui l’umanità avesse parlato in latino, dovesse transitare in un universo mentale, valoriale, linguistico inedito: l’inglese o il cinese.

Provo a spiegarmi meno rozzamente a partire dalla tragedia odierna di Gaza.

Ci sono possibilità che i governanti attuali trovino un accordo, una tregua che non sia di poche ore ?

Pare che lo farebbero solo se temessero di essere sommersi da un’ondata di rivolta popolare. Un movimento di opinione inedito, innovativo, che coinvolgesse (la maggioranza de):

-       gli elettori del governo di Netanyahu

-       gli elettori del governo di Hamas

-       gli elettori di Trump

-       gli elettori del Parlamento europeo e (indirettamente) della Commissione  europea

-       gli elettori del governo italiano.

 

A meno di soluzioni insurrezionali violente (talmente improbabili che non è il caso di esaminarne vantaggi e svantaggi) non vedo altre vie per disarmare i contendenti in Palestina (in Russia, nelle altre decine di fronti in guerre armate disseminate sul pianeta): uno schieramento così compatto delle opinioni pubbliche nazionali e internazionale da far temere a chi detiene oggi il potere di poterlo perdere nel caso di pervicacia.

Ciò è possibile solo se, nel nome del rifiuto di ogni violenza armata, si scompongano gli attuali schieramenti (pro Questo, pro Quello…) e si ricompongano due nuovi schieramenti (formati da sostenitori dell’uno e dell’altro fronte): lo schieramento di chi ritiene che l’unica salvezza dell’umanità stia nella tabuizzazione della guerra (come per esempio dichiara l’articolo 11 della Costituzione repubblicana, l’articolo meno rispettato da tutti i vertici dello Stato italiano negli ultimi 80 anni) e lo schieramento di chi ritiene accettabile la guerra (sia pure come extrema ratio in considerazione di motivazioni ideologiche, religiose, politiche, economiche o d’altro genere). Sino a quando lo schieramento dei negazionisti della guerra non diventerà, culturalmente e poi anche elettoralmente, prevalente sullo schieramento possibilista, non credo ci sia speranza di interrompere i conflitti bellici in corso.

Tale schieramento potrebbe diventare maggioritario solo se:

·      l’opinione pubblica venisse informata adeguatamente degli orrori di ogni guerra passata e presente (compito degli storici e dei giornalisti)

·      l’opinione pubblica si educasse all’ascolto delle “ragioni” dell’una e dell’altra parte, al di là, di qualsiasi schieramento partigiano unilaterale (compito dei politici e degli opinion leaders)

·      l’opinione pubblica  si convincesse di una verità lapalissiana: quale che sia l’esito di un conflitto all’ultimo sangue in corso, alla fine risulterebbero danneggiati sia gli eventuali ‘sconfitti’ sia gli eventuali ‘vincitori’.

 

Capisco benissimo le mille motivazioni etiche, ed emotive, che spingono a cortei, sit in, manifestazioni di protesta i fautori dell’uno o dell’altro schieramento in guerra (ovviamente avvertendo più condivisione con certi schieramenti e meno – o nessuna – con altri), ma, nel sincero rispetto di ogni altra opzione, intendo dedicare tutte le poche energie disponibili a lavorare perché (nel micro, nel meso e nel macro) si diffonda – sino a diventare “senso comune” – il principio gandhiano: “occhio per occhio rende il mondo cieco”.

Augusto Cavadi

·      Per la versione originaria cliccare qui:

L’unica salvezza dell’umanità sta nel rendere la guerra un tabù


mercoledì 23 luglio 2025

UN PICCOLO SEGNO DI SOLIDARIETA' A UN GRANDE ITALIANO CHE LOTTA PER LA GIUSTIZIA E LA VERITA'


In un incontro occasionale di qualche giorno fa, presso la "Casa di Paolo", ho avuto il piacere di regalare a Salvatore Borsellino una copia del mio libro dedicato alla "inquietante eredità" di suo fratello e di Giovanni Falcone. Un piccolo segno di sincera solidarietà a uno dei tanti familiari di vittime di mafia in attesa di verità e di giustizia. (Ringrazio per la foto a mia...insaputa il carissimo Isidoro Guida).