venerdì 9 maggio 2025

LE DISAVVENTURE TERRESTRI DI MR. CUPIDO

 Cupido è un angelo strano. Prima di far parte della corte celeste del Dio monoteista ha fatto a lungo parlare di sé anche come dio del pantheon latino e, con il nome originario di Eros, dell’Olimpo dei Greci. Annabella Di Vita, in un delizioso libretto fruibile dai 9 ai 99 anni (ma, se forniti di buoni occhiali, anche oltre), Cupido into the wild “ché la dritta via era smarrita” (Amazon Italia, pp. 102, euro 8), ne narra le disavventure incorsegli durante una movimentata missione sulla Terra.

Tutto inizia dopo il diploma a conclusione del “liceo degli angeli”: per non lasciarlo disoccupato, san Pietro lo spinge fuori dalla nuvola e lo lascia atterrare a Palermo, più precisamente sulla discarica di Bellolampo (dove “una montagna di sacchetti di plastica variopinti attutirono l’impatto col suolo”, pp. 10 – 11). Il primo incontro è con Virginia, una mantide religiosa affettuosamente chiamata Manty dagli amici: sarà la sua guida tra i vicoli di una città da cui spesso si allontanerà per sorvolare l’intera Sicilia (“Che isola splendida! Di quanto amore avrebbe bisogno? Ce ne vorrebbero mille, di Cupidi, per ripristinare un accettabile equilibrio”, p. 15).

Ma ad incuriosirlo è la situazione italiana in genere con le domande che suscita: ad esempio cosa sia “la politica che da noi in Paradiso non esiste” e che, probabilmente, è “un ristorante raccomandato dalla guida Michelin, perché si dice in giro che lì «ci mangiano in molti» o, forse, “una fabbrica di cuoio funzionante a pieno ritmo” dal momento che “dicono anche che lì «si fanno, continuamente, le scarpe l’uno con l’altro»” (p. 18).

A un certo punto della storia Cupido decide di aiutare l’umanità in crisi aprendo un consultorio per “astratti”. Al suo studio, in cerca di psicoterapia, passano la Morte, il Sogno, l’Idea (“una tipa interessante, alternativa e ribelle”, p. 58), gli Ideali (“un gruppetto di Cavalieri Astratti in abiti d’epoca”, p. 61), la Logica (che, per non essere licenziata, è costretta a diventare “l’Illogica aziendale”, p. 65), il Subconscio (ricettacolo di “brutti ricordi”, “traumi infantili”, “desideri ambigui”, p. 66), il Tempo (angosciato dall’impossibilità di conoscersi, dal momento che si percepisce “effimero, profugo in una fuga senza tregua, impegnato in una corsa senza traguardi”, p. 68).

Intanto anche la mantide affronta esperienze estreme come il ricovero in un ospedale per un check-up di routine: “Mentre presentavo le pratiche è arrivato un signore con la gola tagliata, perdeva fiumi di sangue. Si è presentato al pronto soccorso e gli hanno detto di sedersi e rispettare il turno. Dopo due ore di attesa, la testa gli pendeva completamente da un lato. Il medico di guardia era un ginecologo, non poteva intervenire…”(pp. 71- 72).

Inutile aggiungere che Cupido, terrorizzato dal transito mondano, chiede e ottiene da Gesù stesso di ricongiungersi con Amore e con Eros e di tornare in cielo: “Imbarcatevi tutti  e tre sul primo volo di Rainbow Universal Airlines in partenza dalla terra. Prenotate i posti in Paradise class, tanto paga papà con la master card Oro” (p. 83). Rimasta sola sul nostro mondo, Manty decide di diventare vegetariana e- probabilmente non per caso ! – fu dopo la sua saggia decisione di non divorare altri corpi  che “l’amichetto che lei amava da anni, Mantis Totuccio, si convinse che la mantide era l’unico insetto per il quale sarebbe valsa la pena di perdere la testa, e le propose di sposarla” (p. 92).

Il racconto si snoda su questo registro umoristico, talora ironico, ma ciò non deve ingannare. Per molti versi, infatti, un po’ come Il piccolo principe di Saint-Exupery, si presta a differenti livelli di lettura: se nell’immediato suscita sorrisi intelligenti, ad una rilettura rivela acute critiche sociali e persino intuizioni filosofiche.

Augusto Cavadi

Per la versione originale illustrata:

https://www.zerozeronews.it/la-leggenda-di-cupido-e-gli-eterni-misteri-dellamore/

giovedì 8 maggio 2025

VACANZE FILOSOFICHE PER NON...FILOSOFI: ALTO MOLISE, 19 - 25 AGOSTO 2025

 

Il gruppo editoriale Il pozzo di Giacobbe-          Di Girolamo di Trapani organizza la

dal 19 al 25 agosto 2025, ad Agnone in provincia di Isernia.

Il tema di quest’anno è “Il riso filosofico, almeno in parte silenzioso“.

Per maggiori informazioni cliccare qui:

https://vacanze.filosofiche.it/2025/04/30/edizione-2025-agnone/


mercoledì 7 maggio 2025

QUANDO AD AFFOGARE TRA LE ONDE ERAVAMO GLI ITALIANI

“Sono fortemente contrario alla politica detta delle porte aperte. E’ arrivato il momento in cui chiunque abbia a cuore il futuro della nazione deve preoccuparsi di questa poderosa ondata d’immigrati. A meno di qualche seria iniziativa l’ondata avvelenerà le sorgenti stesse della nostra vita e del nostro progresso. Ospitiamo nelle nostre città più grandi un numero enorme di stranieri tra i quali proliferano il crimine e le malattie”. Quando, dove e da chi sono state scritte queste parole?

L’anno è il 1905. Il luogo sono gli Stati Uniti d’America. L’autore è Frank P. Sargent, Commissario del Governo federale all’Immigrazione. A chi si riferiva? Agli italiani che, tra mille peripezie, spesso perdendo la vita prima di raggiungere i porti di partenza o durante le traversate per le condizioni sanitarie intollerabili, sbarcavano a New York. Ma l’alto funzionario statunitense non faceva di ogni erba un unico fascio: sapeva distinguere, infatti, tra “siciliani e calabresi” (che, a suo parere, “sono i più pericolosi perché sono furbi”) e i veneti, “meno pericolosi perché un po’ stupidotti”.

Quattordici anni prima un piroscafo zeppo di questi delinquenti ammorbanti, e dal nome beneaugurante di “Utopia” (per i viaggiatori meno istruiti “Tobia”), era salpato da Palermo alla volta dell’America ma proprio allo Stretto di Gibilterra aveva fatto naufragio, involontariamente speronata da una nave da guerra britannica contro cui si era scontrata a causa di avverse condizioni atmosferiche: dei circa 870  tra passeggeri e membri dell’equipaggio solo circa 150 sopravvissero e poterono scegliere se tornare a casa o raggiungere la Terra Promessa. Non era certo il primo naufragio in quella rotta né sarebbe stato l’ultimo, ma - poiché erano coinvolte a vario titolo autorità italiane, spagnole e britanniche – i giornali dell’epoca ne parlarono a lungo, seguendo sia i processi giudiziari che i dibattiti parlamentari. Insomma, nonostante  i 700 e più naufraghi periti fossero poveri disgraziati, l’incidente ottenne più attenzione nell’opinione pubblica di quanto ne ricevano oggi vicende simili riguardanti emigranti africani o medio-orientali. Ma “la tragedia dell’Utopia”, proprio perché ha interessato esponenti delle  “classi subalterne” e non dei “ceti dirigenti”, “non è entrata nella memoria collettiva della nazione” (p.135). 

L’onestà intellettuale e la sensibilità morale di Roberto Lopes l’hanno dunque indotto a ripescare dall’oblio questa tragica pagina di storia nel suo intrigante volume  1891. Il naufragio del piroscafo Utopia (Istituto Poligrafico Europeo, Palermo 2023), impreziosito dalla meditata prefazione di Vincenzo Guarrasi. L’autore ha inserito l’episodio nel quadro complessivo delle ondate migratorie dalla Penisola (soprattutto dalle regioni meridionali e dalla Sicilia) formate da gente che non abbandonava beni e affetti in cerca di facili guadagni, ma perché costretta da condizioni di sfruttamento disumane nel silenzio complice di governi nazionali legati a doppio filo  agli industriali del Nord e ai latifondisti del Sud.

Le pagine che, sulla base dei report dell’epoca, descrivono la strage di uomini, donne, bambini sono davvero toccanti: in frangenti del genere noi umani diamo prova di generosità impensabile (“Vari naufraghi che si erano salvati, non vedendo i loro congiunti si gettarono nuovamente in mare, per salvarli, ma rimasero preda delle onde”, p. 52) e di altrettanto impensabile egoismo (“Le donne restarono abbandonate alla loro sorte perché gli uomini badavano solamente alla propria salvezza, in poche riuscirono a salvare la vita”, p. 50). Non mancano le osservazioni sulla illegalità sistemiche che resero il bilancio delle perdite più alto di quanto sarebbe stato se si fossero rispettate le normative: solo per citarne una, “a bordo dell’Utopia c’erano solo 160 salvagenti” e pertanto “erano violate le regole del Consiglio del Commercio, che richiedeva la presenza di un numero di salvagenti pari alle persone imbarcate” (p. 50). Come nella migliore tradizione italiana ai superstiti – cui per la verità non era mancata una generosa solidarietà della popolazione civile di Gibilterra e dintorni – toccarono le disavventure supplementari causate dalla burocrazia statale che prolungò a lungo l’effettiva consegna delle somme determinate in sede giudiziaria a titolo di risarcimento per i lutti e i danni subiti.

La lettura del libro, oltre a colmare una lacuna del passato, impone riflessioni anche sul “presente rimosso” (secondo la formula coniata da Guarrasi) in cui “l’Utopia di un mondo migliore” sembra affondata “nell’egoismo e nella indifferenza” (p. 137). Riflessioni non soltanto, direi ovviamente, riguardanti i flussi migratori verso l’Italia, ma anche – meno scontatamente – il fenomeno dei tanti giovani istruiti che emigrano dall’Italia verso nazioni in cui, pur tra mille difetti della popolazione e asperità del clima, c’è ancora la possibilità di veder riconosciute le proprie qualità professionali ed umane. In cui, a differenza che da noi, professori universitari o primari ospedalieri si diventa non per corredo genetico o per elasticità della schiena o per fantasiosità erotica , ma per meriti oggettivi. Anche per gli emigranti italiani di oggi ogni partenza è una spartenza (= una separazione) che cellulari e internet rendono meno dolorosa, ma non per questo meno irreversibile.  Unica (magra) consolazione: i nostri figli e i nostri alunni non rischiano di annegare fra i flutti, come quel ragazzino africano che pochi anni fa ha portato con sé nel regno dei morti la pagellina scolastica, a perenne vergogna di chi si ritrova un cuore talmente inaridito da non avvertire il bisogno di piangere quando gliene affiora il ricordo.

Augusto Cavadi

·       Il libro sarà presentato mercoledì 7 maggio alle 18.30 presso la “Casa dell’equità e della bellezza” di Palermo (v. N. Garzilli 43/a)

Qui la versione originale corredata da illustrazioni:

https://www.zerozeronews.it/quando-ad-affogare-fra-le-onde-erano-gli-italiani/

martedì 6 maggio 2025

QUALE CRISTIANESIMO MERITA DI ESSERE 'SALVATO'? UNA RISPOSTA A VINCENZO OLITA

 

Sul n. 563 (10 gennaio 2025) di “Società Libera online” ho letto, con consueto interesse e inconsueto disaccordo, l’articolo, a firma del Direttore Vincenzo Olita, Cultura Woke e Chiesa Anglicana, Futuro e Chiesa Cattolica. In esso vengono fedelmente rappresentate, sulla base di dati statistici, le attuali condizioni di crisi in cui versano le Chiese cristiane e, in particolare, l’Anglicana e la Cattolica: la prima “si avvia verso l’estinzione” (“Negli ultimi anni ancor più di 400 chiese hanno chiuso, in molte città esistono più moschee che chiese e i fedeli sono in netta diminuzione”); la seconda, la Chiesa di Roma, vive – “ all’infuori del clero sul continente africano” – un calo continuo di praticanti e di candidati al ministero presbiterale.

A quali cause bisogna risalire per spiegare questi sintomi di decadenza?

Olita non ha dubbi: la radice è “l’abbandono della tradizione cristiana in nome del politicamente corretto e dell’osanna per la cultura politica woke” (ad esempio la revisione dei testi liturgici e delle preghiere in generale in cui si trasmette una visione esclusivamente maschile di Dio) nonché  l’abbandono di una concezione sacrale del cristianesimo a favore di un impegno sociale in “strutture di beneficenza o enti come Amnesty International”.

Tra le righe di questa diagnosi s’intravede la terapia suggerita dall’autore: invertire la direzione di marcia degli attuali vertici delle Chiese Anglicana e Cattolica, avviati “sullo stesso cammino fallimentare di larghi strati del protestantesimo” tedesco, e rilanciare quel “patrimonio dottrinale” che “sbiadisce, giorno dopo giorno”.

Le questioni da approfondire sono almeno due.

La prima concerne l’interpretazione della crisi attraversata dalle Chiese cristiane: essa è dovuta a un aggiornamento eccessivo del patrimonio dottrinario, liturgico, morale tradizionale o a un ritardo del medesimo aggiornamento? La gente non va più a messa o non si sposa più in chiesa perché il linguaggio dei preti e dei teologi è mutato troppo negli ultimi cento anni (risultando spiazzante) o perché è mutato troppo poco (risultando obsoleto, scarsamente comprensibile, inconciliabile con la cultura del cittadino medio)? Personalmente non ho dubbi: il mezzo secolo di studi teologici che coltivo intrecciandoli agli studi filosofici mi hanno convinto sempre di più che non possiamo mutare la nostra concezione dell’uomo, della storia, della natura, del cosmo in tutti i campi del sapere e restare fermi a duemila anni fa quando parliamo con Dio (trattandolo come Imperatore dispotico) o quando parliamo tra noi di Bibbia o di dialogo fra le grandi religioni del mondo.

Ma, per comodità espositiva, ammettiamo che la risposta per cui propendo (ovviamente non da solo, bensì preceduto da giganti del pensiero teologico come Panikkar, Kueng, Drewermann, Sartori, Barbaglio, Molari, Ortensio da Spinetoli…) sia errata. Ammettiamo che una Chiesa ferma ai dogmi, ai precetti, ai divieti, alle formule di preghiera personale e comunitaria…di settanta o di ottanta anni fa (Olita evoca nostalgicamente addirittura la “essenza controriformista” di mezzo millennio fa!) fosse più appetibile, più seducente, più popolare di una Chiesa in autocritica, talora in vera e propria rifondazione: con che criterio dovremmo procedere? Dovremmo optare per una Chiesa in grado di raccogliere consensi o per una Chiesa che, spogliatasi di superfetazioni teologiche e istituzionali, prova a recuperare il vangelo originario, a sintonizzarsi con il progetto di Gesù e dei primi discepoli? Dovremmo, insomma, privilegiare la ricerca del successo o la fedeltà alla verità?

Anche su questa seconda questione non ho dubbi: se scopro che la mia Chiesa ha accumulato potere e denaro falsificando l’insegnamento dei profeti, del Maestro e dei suoi apostoli; seminando promesse illusorie e minacce infondate; imponendo in nome di Dio, sulle spalle della povera gente, dei pesi inventati da uomini…ho il dovere morale, prima ancora che il diritto intellettuale, di denunziare l’imbroglio secolare. Anche a costo che le Chiese storiche, con miliardi di fedeli più confusi che persuasi, chiudano i battenti e lascino terreno a piccole Chiese costituite da uomini e donne in sincera, continua, ricerca di ciò che veramente ha proposto (insieme a tante cose inaccettabili o comunque datate) il filone del profetismo ebraico-cristiano.

Se il criterio è condivisibile, allora il compito della teologia libera e liberante sarà di risalire, per quanto possibile alle scienze bibliche ma con serietà scientifica e spirituale, al messaggio cristiano dei primi secoli: prima che l’infausta alleanza con l’imperatore Costantino trasformasse in ideologia sociologicamente conveniente una rivoluzionaria proposta di vita più sobria, fraterna, solidale, compassionevole. Verso questo cristianesimo i privilegiati della Terra non potranno nutrire simpatia e, legittimamente, appoggeranno altre versioni ‘sacrali’, ottime come “oppio dei popoli”; ma perché stentano a riconoscerne la fondatezza storica e la valenza salvifica anche persone impegnate con dedizione nella costruzione di una “società libera”?

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

* Poiché, in maniera non esattamente 'liberale', il Direttore di "Società libera online" ha preferito non ospitare sulla Sua rivista questa mia 'replica', essa è stata pubblicata da Gianfranco D'Anna su:

https://www.zerozeronews.it/chiesa-senza-futuro-non-hanno-un-domani-solo-quanti-non-credono-nella-sua-valenza-salvifica/

sabato 3 maggio 2025

IL PAPA CHE VERRA': DUE IPOTESI PLAUSIBILI, ANZI TRE

 

Ad ogni morte di papa il mondo occidentale si sveglia teologo. E mentre chi teologo lo è davvero tende a tacere, perché sa – come ha scritto in questi giorni don Paolo Scquizzato - che “il Silenzio è l’ultimo nome che ci rimane per Dio”, altri intellettuali (la cui formazione in queste tematiche si è fermata al catechismo  della Prima Comunione) moltiplicano dotti pareri e irrichiesti consigli. Talora misti a cavolate imbarazzanti come la tesi che il rimpianto Benedetto XVI sia stato l’ultimo papa legittimo (tesi che, se veritiera, farebbe dell’intero collegio cardinalizio un gregge di incompetenti in diritto canonico e dell’eruditissimo  Joseph Ratzinger un povero rimbambito incapace persino di dimettersi come si deve).

In questa bailamme non mi sembra corretto sottrarmi alla richiesta di qualche amica che – avendo letto un mio intervento sul difficile bilancio del pontificato appena conclusosi (https://www.adista.it/articolo/73728) – mi sollecita alcune parole sul pontificato che ci attende.

Da filosofo, e in quanto tale curioso anche delle cose di religione, mi pare di poter osservare che le attese (talora speranzose, talaltra timorose) del popolo cattolico si assestino su due ipotesi di massima.

 

La prospettiva del cristianesimo consolatorio

In una prima prospettiva, che approssimativamente ma non del tutto propriamente viene definita “conservatrice”, ci si attende un papa che allo smarrimento di senso dell’umanità contemporanea risponda con l’annunzio, chiaro e forte, delle certezze dottrinarie elaborate in quasi venti secoli di storia (più esattamente dal Concilio di Nicea del IV secolo al Concilio Vaticano II del XX secolo): Dio c’è e ne conosciamo gli attributi principali; si è incarnato pienamente ed esclusivamente nell’uomo Gesù di Nazareth; il quale ha fondato una Chiesa, destinata a perdurare sino alla fine della storia, che, illuminata in maniera infallibile dallo Spirito Santo (cioè da Dio stesso nella sua terza manifestazione, dopo il Padre e il Figlio), ha insegnato tutte le verità assolute necessarie alla nostra serenità terrena (con la morte ognuno di noi sopravviverà, almeno in forma di anima immateriale, nella sua individualità e sarà giudicato meritevole di paradiso, purgatorio o inferno; a questo giudizio individuale farà poi seguito, alla fine del mondo, il giudizio universale che ristabilirà definitivamente la giustizia ricompensando in maniera sovrabbondante chi sulla Terra ha subito senza proprie colpe sfruttamento, violenze, soprusi, guerre, inganni, frodi etc.).

Chi può negare che questo plesso dottrinario eserciti un fortissimo fascino per la sua coerenza logica interna e ancor più per il conforto che offre davanti allo spettacolo della storia che, come già notava Shakespeare, sembra il racconto senza capo né coda di un ubriaco? Chi può negare, come ripetono in questi giorni di pre-conclave dei cardinali scontenti dell’era bergogliana, che un papa simile a Pio XII, a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI potrebbe attrarre persone scoraggiate e desiderose di un manto protettore?

 

La prospettiva del cristianesimo inquietante

Perché allora, fra alti prelati, presbiteri, suore istruite, laiche e laici cattoliche/ici con titoli accademici teologici, molte persone si riconoscono in una seconda prospettiva che, altrettanto sommariamente e giornalisticamente, viene definita “progressista”? Perché non è scontato che il successore di Francesco sia un restauratore? La risposta telegrafica (che esigerebbe una biblioteca per essere argomentata) sarebbe: perché la costellazione dei dogmi cattolici, indubbiamente consolante, ha il difetto di non essere “vera”. Essa infatti ha trovato consenso per secoli o per le minacce di sanzioni terrene e ultraterrene o per le promesse rassicuranti. Tramontata l’era dell’Inquisizione e dei roghi, dall’Illuminismo in poi,  a chi cercava una luce nel buio dell’orizzonte si presentava come sovra-razionale, ma non come ir-razionale. Certo anche in passato per molta gente non è stato rilevante che un annunzio fosse ‘realistico’, cioè compatibile con ciò che sappiamo sulla realtà con sufficiente chiarezza: le bastava che fosse confortante. Ma per altre persone la proposta cattolica non era soltanto affascinante, era anche convincente: anzi, era affascinante perché convincente. La Chiesa, da parte sua, non ha ceduto su questo punto decisivo: essa ha inteso esercitare un Magistero rassicurante perché ‘vero’, in quanto garantito dalla Verità stessa. Gli esponenti più autorevoli da Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino a Jacques Maritain e Paolo VI hanno ribadito che il cristianesimo merita di essere adottato solo se, pur andando oltre,  non va contro le regole della logica, i dati delle scienze naturali, le scoperte delle scienze storico-antropologiche,  le acquisizioni della filologia e così via.

Da un secolo a oggi, però, è proprio questo statuto epistemico veritativo che si è incrinato: molte intelligenze cattoliche – studiando con impegno e sincera disposizione alla ricerca – sono pervenute alla conclusione che la corona dei dogmi cattolici risulta insostenibile al vaglio delle analisi filosofiche e scientifiche, anzi quasi sempre addirittura in contraddizione con la stessa Bibbia.

Da qui un bivio: alcune persone, proprio per onestà intellettuale, con sofferenza ma con convinzione, passano dall’ovile dei “persuasi” all’ampia prateria dei dubbiosi. L’esodo dei perseguitati per Modernismo continua anche dopo il tramonto dell’etichetta teologica della prima metà del Novecento.

Altre persone preferiscono, sino a quando non vengono censurate o espulse, restare all’interno della Chiesa cattolica ma rifondandone il senso e la missione. Secondo loro,   se il messaggio cristiano fosse, originariamente ed essenzialmente, una proposta dottrinaria, chi ne vedesse l’impossibilità di giustificarla con argomenti plausibili dovrebbe, per coerenza, abbandonarla all’archeologia mitologica. Ma proprio l’analisi ‘scientifica’ dei testi biblici – in particolare del Secondo Testamento – attesta che la fede secondo Gesù e i suoi primi discepoli non è accettazione cerebrale di tesi metafisiche, quanto un modo di giocarsi l’esistenza terrena per far fiorire la vita in se stessi e nelle altre creature. Non è un catalogo (che va affidato al lavoro dei filosofi e degli scienziati) di risposte agli enigmi dei mali sia naturali sia causati dagli umani, ma un invito operativo a lenire tali mali, almeno nella misura in cui ciò rientra nelle nostre possibilità.

 

Due modelli di papa

Chi ha capito i limiti del “teismo” cattolico e la preziosità dell’agape evangelica spera dunque che il successore di Francesco – pur condividendone alcuni difetti e mostrando pregi che Bergoglio non ha mostrato – resti almeno fedele alla sua intuizione di fondo: che solo la follia di una prassi nonviolentemente liberatrice degli impoveriti della Terra, e della Terra stessa ormai stremata da uno sfruttamento secolare senza freni, possa salvare l’umanità (prima di tutto) e la Chiesa (secondariamente). Un papa, insomma, che come i cristiani dei primi secoli, non abbia paura di remare controcorrente, non tema l’impopolarità e il calo dei sedicenti fedeli, ma annunzi una proposta di vita che non spenga l’inquietudine teoretica ed esiga un più intenso impegno etico.

Molto più  ‘normale’, conforme al buon senso, è indubbiamente il modello di papa auspicato da quanti si dicono ancora cattolici perché una vecchia teologia (ma non così antica come si presenta: va indietro solo sino al IV secolo!) gli promette beatitudini future: essi accusano Francesco di aver tentato di trasformare la Chiesa in un’organizzazione di volontariato sociale, aspettano un papa che torni alle “verità definite” e ai “valori non negoziabili” e che, in virtù di tali promesse accattivanti, attiri nuovi adepti, soprattutto fra i giovani incerti e smarriti. Un papa che “voli alto”, molto in alto, al di sopra delle miserie di questa “valle di lacrime”: che proclami “misteri” trascendenti, riservati a chi è disposto a credere senza più pensare, e princìpi etici talmente generali da essere sottoscritti unanimemente; che eviti di compromettere l’autorità di portavoce dell’Eterno con analisi socio-economiche, valutazioni storico-politiche, denunzie di crimini circoscritti e individuabili. Con affermazioni, insomma, empiricamente verificabili e, per ciò stesso, anche falsificabili.

Quale dei due modelli di papa sceglieranno gli eminentissimi in conclave? Non sono in grado di sbilanciarmi in previsioni, ma non mi stupirei che puntassero su qualche nome di mediazione (salvo poi a scoprire che l’eletto è meno ‘equilibrato’ di come lo si attendeva perché o non ha saputo o non ha voluto farsi conoscere anticipatamente sino in fondo) . So solo che le statistiche attestano che il declino delle adesioni alla Chiesa cattolica abbia avuto origine già durante i pontificati di papi “duri e puri” come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma anche se ciò non fosse vero;  anche se non fossimo in una fase storica irreversibilmente “post-religionale” in cui la concezione stessa di un “papato” come monarca assoluto risulta anacronistica, che servirebbe ‘salvare’ la Chiesa cattolica dall’autodissoluzione tornando a parlare di “misteri” ignoti e a ignorare le esigenze evidenti dell’ecologia “integrale” (dunque della revisione radicale dei nostri rapporti con gli altri esseri viventi)? Se il futuro di una Chiesa ha senso è in funzione di un futuro dell’umanità. Non certo il contrario.

Augusto Cavadi

“Adista/Notizie” del 10 maggio 2025