Se per tredici anni abbiamo frequentato la scuola (dalla primaria all’esame di Stato) e non abbiamo mai incontrato una docente o un compagno o un personaggio storico che ci abbiano messo in crisi, costringendoci a vedere come in uno specchio la banalità del nostro modo di condurre l’esistenza e inducendoci a mutamenti significativi, abbiamo davvero perso anni preziosi.
A qualcuno di noi più fortunato è capitato
di essere sconvolto da più di un incontro del genere, sia con persone fisiche
che con personaggi storici. Tra questi senz’altro Socrate. Ed è con pizzico di
commozione che ho ritrovato espressa un’esperienza simile nella recente
edizione dell’ Apologia di Socrate platonica curata da S. Sigismondi e
F. Battistin per l’Agenzia Libraria Editrice (Milano – Monfalcone 2025). Scrive
a un certo punto Battistin di essere tra coloro cui è “capitato di sperimentare come un mutamento
nelle nostre vite abbia avuto origine dall’incontro con un uomo o una donna che
con la sua amorevole sapienza ci ha costretto a riconoscere quante deformità e
brutture si celassero nella nostra anima. L’incontro con quella persona è stato
per noi l’incontro con un vero filosofo, perché filosofo non è chi ha letto
tremila libri, chi conosce a menadito la storia della filosofia, chi è al
corrente dell’ultima novità apparsa sul mercato del sapere, ma chi, anche se
non sa né leggere né scrivere, è in grado di governare sé stesso e di agire in
modo buono e giusto per sé e per gli altri” (p. 136). A suo parere, Socrate è
stato per molti della sua e delle successive generazioni un “filosofo” di
questa pasta: e ciò lo ha reso e lo rende affascinante e ripugnante. Infatti, se
non se ne anestetizza la valenza provocatoria seppellendolo sotto migliaia di
interpretazioni accademiche (p. XII), egli continua a interrogarci spietatamente
per costringerci a rispondere alle uniche domande davvero ineludibili: “Sei sicuro
che la tua prospettiva di felicità sia la migliore? Sei sicuro di vivere la
vita migliore? Sei sicuro di vivere in modo buono e giusto?” (p. 135).
Se si fosse limitato a prediche
moralistiche o comizi demagogici, Socrate sarebbe digeribile, metabolizzabile.
Ma, alla Gandhi, ha voluto essere in se stesso il cambiamento che proponeva al
mondo e, come Gesù di Nazareth, ha pagato in prima persona la profonda
convinzione che – sino a quando la violenza fisica sarà praticata come
inevitabile da un’umanità ancora primordiale – subirla è meno peggio che
agirla.
E’ comprensibile che uno scocciatore del
genere sia finito assassinato dopo un processo farsa in cui lo si accusò
dell’esatto contrario delle sue azioni. Ed è comprensibile che, anche oggi, le
rare personalità che ne riproducono, almeno parzialmente, la missione civica
vengano o perseguitate o, più efficacemente, ignorate da chi è abbarbicato alla
triplice certezza che ci si realizzi moltiplicando il denaro, il potere e i
piaceri corporei: “Non è forse più rassicurante e gratificante asserire ben
congegnate teorie e denunciare i mali del mondo e della società, assicurandosi
così gli applausi della folla che nulla di meglio chiede se non sfuggire alle
proprie personali responsabilità, scaricando i propri fallimenti sui capri
espiatori di volta in volta in voga?” (pp. 137 – 138).
Se il quadro complessivo è questo; se ognuno aspetta che siano gli altri ad inoltrarsi su sentieri inediti abbandonando consumismo, carrierismo ed edonismo compulsivo, non si può non condividere l’auspicio di Battistin per una rifondazione dell’etica, della pedagogia e della politica nell’era delle ingiustizie sistemiche mondiali: “l’Apologia dovrebbe essere un’opera presente in ogni casa, e dovrebbe essere come un amico fedele che ci accompagna nel corso della nostra vita” (p. XII).
Augusto Cavadi
* Cliccare qui per la versione originaria illustrata:
https://www.zerozeronews.it/quanto-dobbiamo-al-conosci-te-stesso-di-socrate/