mercoledì 24 aprile 2024

Pace nel Mediterraneo: un ruolo anche per le Chiese cristiane?

 Negli ultimi tre millenni almeno il Mediterraneo si è presentato ambivalentemente come crocevia di sapienze, ma anche di conflitti. Le cronache incredibilmente dolorose di questi giorni lo confermano. Cosa possono fare le Chiese cristiane in generale e la Chiesa cattolica in particolare?

Con Edgar Morin direi, innanzitutto, che ogni riforma seria parte da una revisione del pensiero. Ho curato nel 2019 l’edizione italiana di un suo breve, ma intenso testo (Pensare il mediterraneo, mediterraneizzare il pensiero),  di cui non saprei restituire i finissimi ricami  intellettuali. In sintesi un po’ brutale si potrebbe dire che occorre da una parte conoscere il Mediterraneo, la storia delle sue civiltà antiche, delle sue religioni tuttora perduranti, delle sue tensioni politiche e socio-economiche attuali; ma, dall’altra, lasciare modificare dal Mediterraneo la propria mente,  la propria postura intellettuale. Che, tra molto altro, significa consentire alla pluralità dei punti di vista di impedire l’irrigidimento dei fondamentalismi esclusivisti ed escludenti; di imparare che “relatività” non è “relativismo” perché, se ritengo inaccettabile ogni assolutizzazione, non posso assolutizzare neppure il principio di relatività. Ma – la domanda s’impone –  nelle scuole cattoliche, nelle facoltà cattoliche, nelle associazioni cattoliche, nelle parrocchie vi è questa conoscenza elementare del contesto geo-culturale in cui ci è capitato di nascere? Che sappiamo della sapienza greca, dell’ebraismo, dell’islamismo (ammesso che sappiamo qualcosa del cristianesimo)?  E, soprattutto, vi è la consapevolezza  che essere cristiani non significa possedere in maniera totale la verità sull’uomo, sulla storia, sull’universo? Se non vogliamo trastullarci con giochi di prestigio non possiamo negare che la fede monoteista, che si ritiene che rivelata in Scritture sacre, costituisce un grave rischio: chi è convinto di avere il monopolio del Divino difficilmente tollera concorrenti e, ancora meno, si pone in ascolto per ricevere da altri correzioni e integrazioni.

L’autocritica intellettuale in ambito cattolico può considerarsi a buon punto solo quando si perviene alla conclusione che la ricerca della verità teoretica è irrinunciabile nell’esperienza antropologica, ma che in questa ricerca il vangelo non ci può essere di particolare soccorso. Esso, infatti, racconta la vicenda straordinaria di un predicatore nomade palestinese che non era un intellettuale, bensì un testimone. Un maestro di vita, di azione, di atteggiamento rispetto all’umanità e alla natura: la sua filosofia, più che amore per la sapienza (in senso greco), era sapienza dell’amore (in senso ebraico). Il tentativo rivoluzionario di papa Francesco – che gli attira non per caso gli strali più feroci da parte di preti e fedeli sedicenti conservatori – è proprio questa conversione di registro: ricordare che il cristianesimo non è nato come ortodossia di una scuola, ma come ortoprassi di un movimento religioso e sociale. Qualcuno ha detto acutamente che la prima vera enciclica di papa Bergoglio non è stata la Lumen fidei del 2013 che Benedetto XVI aveva redatto in gran parte e aveva lasciato per così dire in eredità da firmare, bensì il suo viaggio a Lampedusa. Se questa torsione dal primato della teoria al primato della pratica fosse evangelicamente fondata, si imporrebbe un’altra domanda: cosa stanno facendo i credenti per dare un proprio contributo ai terremoti costituiti dai flussi migratori in corso? Periodici giornalistici di chiaro orientamento partitico, ignari di fare buona pubblicità,  hanno accusato alcuni vescovi di finanziare delle ONG dedite al salvataggio di migranti in mare e, da varie fonti ufficiali, si sa dei canali “umanitari” di immigrazione legale attivati in sinergia da associazioni cattoliche come Sant’Egidio e alcune Chiese riformate: ma le centinaia, anzi migliaia, di parrocchie, conventi ormai in disuso o trasformati in alberghi, seminari vescovili  occupati da giovani in numero decrescente…perché non accolgono stabilmente degli immigrati, anche impiegandoli in dignitose attività remunerate? Sarebbe una strategia efficace materialmente e, almeno altrettanto, simbolicamente.

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venerdì 12 aprile 2024

COME CAMBIARE IL MONDO DOPO IL TRAMONTO DELLA POLITICA

 Chi sin dagli anni Sessanta del secolo scorso ha investito il meglio di se stesso per curare la polis, trovandosi ai nostri giorni nel mezzo di una Terza guerra mondiale “a  pezzi” (papa Francesco) e nella previsione scientifica di un disastro ambientale planetario irreversibile,  è tentato o di ripiegarsi nella disperazione o di concentrarsi nell’accaparramento di tutto l’utile egocentrico ancora disponibile. Qualcuno, testardamente, cerca strade nuove per perseguire ideali antichi. E’ il caso di Annibale C. Raineri che in Ancora. Cambiare il mondo nel tramonto della politica (Navarra, Palermo 2022) racconta, in una sorta di zibaldone in cui intreccia vari generi letterari, la sua storia e soprattutto la sua ricerca attuale.

Non so che effetto possa avere in un giovane, ma per coetanei dell’autore – come me – si tratta di una lettura davvero interessante, a tratti avvincente. La nostra generazione di ultrasettantenni è orfana di qualcuna delle “grandi narrazioni” tramontate (nel caso di Raineri del marxismo-leninismo) ed è segno di maturità riconoscere il valore di ciò che si è perduto senza nasconderne i limiti oggettivi. Poiché non ci si impegnava solo intellettualmente, si è rimasti orfani anche di organizzazioni collettive alle quali si affidava la propria intera esistenza nella certezza che esse, in cambio, avrebbero realizzato i mutamenti colossali impossibili agli individui isolati (nel caso di Raineri la CGIL prima, Rifondazione Comunista dopo) (pp. 120 – 135). E adesso – nel tempo in cui, secondo la fulminante battuta di Altan, l’utopia non è al governo ma neppure all’opposizione – che resta?

Nel diluvio generale, non resta che costruirsi un’arca che, nel caso dell’autore, è l’ Arca di Lanza del Vasto, un movimento d’ispirazione gandhiana fondato in Francia nel 1948 e presente in vari continenti. Raineri, scoperta questa proposta di paradigma interpretativo e operativo, vi ha aderito con la moglie Cecilia sino a diventare responsabile della comunità siciliana delle “Tre finestre” a Belpasso, nelle pendici dell’Etna: si è trattato – come spiega egli stesso - di intraprendere una via di “rivolgimento” del “lungo processo di occidentalizzazione/modernizzazione del mondo” che può apparire “propriamente reazionaria (anzi cattolico-reazionaria, cosa che ad una persona come me , che si professa atea e con una lunga militanza non rinnegata nella estrema sinistra, ha creato non poche difficoltà di approccio). Ma rivoluzionare ha un vincolo essenziale con ‘rivoltare’, ed io credo che oggi, se accettiamo il rischio di porci all’altezza del tempo che viviamo, siamo obbligati dalla cosa stessa a tentare un pensiero rivoluzionario nel senso del rivoltamento ” (p. 176).

La trama di questo progetto di “sottrarsi alla logica che produce il diluvio, sottrazione come atto positivo di assunzione di un altro punto di vista e di un altro modo-d’essere” (p. 204) rispetto alla triade guerra/capitale/patriarcato, viene esposta in dialogo con giganti del passato (da Sofocle a Marx e Weber) ed anche con Simone Weil, Christa Wolf, Hannah Arendt, Walter Benjamin e molte altre figure dell’ultimo secolo e mezzo: una trama impossibile da riprendere, almeno in questa sede, senza banalizzarla eccessivamente. 

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martedì 9 aprile 2024