Ad
ogni morte di papa il mondo occidentale si sveglia teologo. E mentre chi
teologo lo è davvero tende a tacere, perché sa – come ha scritto in questi
giorni don Paolo Scquizzato - che “il Silenzio è l’ultimo nome che ci rimane
per Dio”, altri intellettuali (la cui formazione in queste tematiche si è
fermata al catechismo della Prima
Comunione) moltiplicano dotti pareri e irrichiesti consigli. Talora misti a
cavolate imbarazzanti come la tesi che il rimpianto Benedetto XVI sia stato
l’ultimo papa legittimo (tesi che, se veritiera, farebbe dell’intero collegio
cardinalizio un gregge di incompetenti in diritto canonico e
dell’eruditissimo Joseph Ratzinger un
povero rimbambito incapace persino di dimettersi come si deve).
In
questa bailamme non mi sembra corretto sottrarmi alla richiesta di qualche
amica che – avendo letto un mio intervento sul difficile bilancio del
pontificato appena conclusosi (https://www.adista.it/articolo/73728) – mi
sollecita alcune parole sul pontificato che ci attende.
Da
filosofo, e in quanto tale curioso anche delle cose di religione, mi pare di
poter osservare che le attese (talora speranzose, talaltra timorose) del popolo
cattolico si assestino su due ipotesi di massima.
La
prospettiva del cristianesimo consolatorio
In
una prima prospettiva, che approssimativamente ma non del tutto propriamente
viene definita “conservatrice”, ci si attende un papa che allo smarrimento di
senso dell’umanità contemporanea risponda con l’annunzio, chiaro e forte, delle
certezze dottrinarie elaborate in quasi venti secoli di storia (più esattamente
dal Concilio di Nicea del IV secolo al Concilio Vaticano II del XX secolo): Dio
c’è e ne conosciamo gli attributi principali; si è incarnato pienamente ed
esclusivamente nell’uomo Gesù di Nazareth; il quale ha fondato una Chiesa,
destinata a perdurare sino alla fine della storia, che, illuminata in maniera
infallibile dallo Spirito Santo (cioè da Dio stesso nella sua terza
manifestazione, dopo il Padre e il Figlio), ha insegnato tutte le verità
assolute necessarie alla nostra serenità terrena (con la morte ognuno di noi
sopravviverà, almeno in forma di anima immateriale, nella sua individualità e
sarà giudicato meritevole di paradiso, purgatorio o inferno; a questo giudizio
individuale farà poi seguito, alla fine del mondo, il giudizio universale che
ristabilirà definitivamente la giustizia ricompensando in maniera sovrabbondante
chi sulla Terra ha subito senza proprie colpe sfruttamento, violenze, soprusi,
guerre, inganni, frodi etc.).
Chi
può negare che questo plesso dottrinario eserciti un fortissimo fascino per la
sua coerenza logica interna e ancor più per il conforto che offre davanti allo
spettacolo della storia che, come già notava Shakespeare, sembra il racconto
senza capo né coda di un ubriaco? Chi può negare, come ripetono in questi
giorni di pre-conclave dei cardinali scontenti dell’era bergogliana, che un
papa simile a Pio XII, a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI potrebbe attrarre
persone scoraggiate e desiderose di un manto protettore?
La
prospettiva del cristianesimo inquietante
Perché
allora, fra alti prelati, presbiteri, suore istruite, laiche e laici
cattoliche/ici con titoli accademici teologici, molte persone si riconoscono in
una seconda prospettiva che, altrettanto sommariamente e giornalisticamente,
viene definita “progressista”? Perché non è scontato che il successore di
Francesco sia un restauratore? La risposta telegrafica (che esigerebbe una
biblioteca per essere argomentata) sarebbe: perché la costellazione dei dogmi
cattolici, indubbiamente consolante, ha il difetto di non essere “vera”. Essa
infatti ha trovato consenso per secoli o per le minacce di sanzioni terrene e
ultraterrene o per le promesse rassicuranti. Tramontata l’era dell’Inquisizione
e dei roghi, dall’Illuminismo in poi, a chi
cercava una luce nel buio dell’orizzonte si presentava come sovra-razionale,
ma non come ir-razionale. Certo anche in passato per molta gente non è
stato rilevante che un annunzio fosse ‘realistico’, cioè compatibile con ciò
che sappiamo sulla realtà con sufficiente chiarezza: le bastava che fosse confortante.
Ma per altre persone la proposta cattolica non era soltanto affascinante, era
anche convincente: anzi, era affascinante perché convincente. La Chiesa,
da parte sua, non ha ceduto su questo punto decisivo: essa ha inteso esercitare
un Magistero rassicurante perché ‘vero’, in quanto garantito dalla Verità
stessa. Gli esponenti più autorevoli da Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino a Jacques
Maritain e Paolo VI hanno ribadito che il cristianesimo merita di essere
adottato solo se, pur andando oltre, non va contro le regole della logica, i
dati delle scienze naturali, le scoperte delle scienze
storico-antropologiche, le acquisizioni della
filologia e così via.
Da
un secolo a oggi, però, è proprio questo statuto epistemico veritativo che si è
incrinato: molte intelligenze cattoliche – studiando con impegno e sincera
disposizione alla ricerca – sono pervenute alla conclusione che la corona dei
dogmi cattolici risulta insostenibile al vaglio delle analisi filosofiche e
scientifiche, anzi quasi sempre addirittura in contraddizione con la stessa
Bibbia.
Da
qui un bivio: alcune persone, proprio per onestà intellettuale, con sofferenza
ma con convinzione, passano dall’ovile dei “persuasi” all’ampia prateria dei
dubbiosi. L’esodo dei perseguitati per Modernismo continua anche dopo il
tramonto dell’etichetta teologica della prima metà del Novecento.
Altre
persone preferiscono, sino a quando non vengono censurate o espulse, restare
all’interno della Chiesa cattolica ma rifondandone il senso e la missione.
Secondo loro, se il messaggio cristiano fosse,
originariamente ed essenzialmente, una proposta dottrinaria, chi ne vedesse
l’impossibilità di giustificarla con argomenti plausibili dovrebbe, per
coerenza, abbandonarla all’archeologia mitologica. Ma proprio l’analisi
‘scientifica’ dei testi biblici – in particolare del Secondo Testamento –
attesta che la fede secondo Gesù e i suoi primi discepoli non è accettazione
cerebrale di tesi metafisiche, quanto un modo di giocarsi l’esistenza terrena
per far fiorire la vita in se stessi e nelle altre creature. Non è un catalogo (che
va affidato al lavoro dei filosofi e degli scienziati) di risposte agli enigmi
dei mali sia naturali sia causati dagli umani, ma un invito operativo a lenire
tali mali, almeno nella misura in cui ciò rientra nelle nostre possibilità.
Due
modelli di papa
Chi
ha capito i limiti del “teismo” cattolico e la preziosità dell’agape evangelica
spera dunque che il successore di Francesco – pur condividendone alcuni difetti
e mostrando pregi che Bergoglio non ha mostrato – resti almeno fedele alla sua
intuizione di fondo: che solo la follia di una prassi nonviolentemente
liberatrice degli impoveriti della Terra, e della Terra stessa ormai stremata
da uno sfruttamento secolare senza freni, possa salvare l’umanità (prima di
tutto) e la Chiesa (secondariamente). Un papa, insomma, che come i cristiani
dei primi secoli, non abbia paura di remare controcorrente, non tema
l’impopolarità e il calo dei sedicenti fedeli, ma annunzi una proposta di vita
che non spenga l’inquietudine teoretica ed esiga un più intenso impegno etico.
Molto
più ‘normale’, conforme al buon senso, è
indubbiamente il modello di papa auspicato da quanti si dicono ancora cattolici
perché una vecchia teologia (ma non così antica come si presenta: va indietro
solo sino al IV secolo!) gli promette beatitudini future: essi accusano
Francesco di aver tentato di trasformare la Chiesa in un’organizzazione di
volontariato sociale, aspettano un papa che torni alle “verità definite” e ai
“valori non negoziabili” e che, in virtù di tali promesse accattivanti, attiri
nuovi adepti, soprattutto fra i giovani incerti e smarriti. Un papa che “voli
alto”, molto in alto, al di sopra delle miserie di questa “valle di lacrime”:
che proclami “misteri” trascendenti, riservati a chi è disposto a credere senza
più pensare, e princìpi etici talmente generali da essere sottoscritti unanimemente;
che eviti di compromettere l’autorità di portavoce dell’Eterno con analisi
socio-economiche, valutazioni storico-politiche, denunzie di crimini
circoscritti e individuabili. Con affermazioni, insomma, empiricamente
verificabili e, per ciò stesso, anche falsificabili.
Quale
dei due modelli di papa sceglieranno gli eminentissimi in conclave? Non sono in
grado di sbilanciarmi in previsioni, ma non mi stupirei che puntassero su
qualche nome di mediazione (salvo poi a scoprire che l’eletto è meno
‘equilibrato’ di come lo si attendeva perché o non ha saputo o non ha voluto
farsi conoscere anticipatamente sino in fondo) . So solo che le statistiche
attestano che il declino delle adesioni alla Chiesa cattolica abbia avuto
origine già durante i pontificati di papi “duri e puri” come Giovanni Paolo II
e Benedetto XVI. Ma anche se ciò non fosse vero; anche se non fossimo in una fase storica irreversibilmente
“post-religionale” in cui la concezione stessa di un “papato” come monarca
assoluto risulta anacronistica, che servirebbe ‘salvare’ la Chiesa cattolica
dall’autodissoluzione tornando a parlare di “misteri” ignoti e a ignorare le
esigenze evidenti dell’ecologia “integrale” (dunque della revisione radicale
dei nostri rapporti con gli altri esseri viventi)? Se il futuro di una Chiesa
ha senso è in funzione di un futuro dell’umanità. Non certo il contrario.
Augusto
Cavadi
“Adista/Notizie”
del 10 maggio 2025