“Repubblica – Palermo”
31.10.2017
IL PARTITO DEL PORTAFOGLI E’ INVINCIBILE
SE SI RINUNCIA A CULTURA E CONFRONTO
Quando le questioni sono complesse, le risposte non
possono essere semplici. Quanti hanno sinora raccolto la domanda di Enrico del
Mercato sulla crisi della sinistra in Sicilia hanno dunque apportato punti di
vista preziosi per avere un quadro meno imperfetto possibile della situazione. Solo
a titolo di parziale integrazione, dunque, vorrei aggiungere due o tre
considerazioni che non ho sinora letto.
La prima: che la Sicilia non è un mondo a sé e che
sarebbe strano se la Sinistra (qualsiasi cosa si designi con questo nome, ma
già questa semantizzazione meriterebbe un discorso a parte), in crisi nel mondo
occidentale, sprizzasse salute da tutti i pori. In particolare sarebbe strano
se – in una fase storica in cui, con l’alibi della crisi delle ideologie,
partiti e movimenti rinunziano a produrre e aggiornare le proprie teorie
politiche – la Sinistra mietesse consensi: ogni volta che lo ha fatto, anche di
recente con Renzi a Roma e Crocetta a Palermo, è stato grazie al combinato
disposto del disgusto verso una Destra impresentabile e della curiosità (frustrata) verso
messaggeri di supposte novità.
Una seconda considerazione riguarda l’incapacità
ampiamente dimostrata dagli esponenti del progressismo di saper gestire le
sconfitte. Nelle democrazie mature i leader che perdono una tornata elettorale
s’impegnano per i cinque anni successivi a organizzare l’opposizione, a
vigilare sulle mosse della maggioranza, a criticarne gli errori e a migliorarne
con le proprie proposte le decisioni sagge. Da noi non è stato mai così. In
tempi più remoti il PCI ha annacquato la sua funzione con il “consociativismo”
più o meno palese; in tempi più recenti Leoluca Orlando e Anna Finocchiaro
(quando sono stati sconfitti, rispettivamente, da Cuffaro e da Lombardo) sono
letteralmente spariti dalla scena regionale lasciando le truppe senza nessun
comandante in campo.
Ancora più
decisiva, però, mi sembra una terza considerazione. I partiti di Destra si
appellano alle ragioni – molto convincenti – dell’interesse privato,
dell’individualismo possessivo, della difesa dei confini della Patria da ogni
forma (reale o presunta) di destabilizzazione degli equilibri socio-economici
dominanti…Una Sinistra fedele al proprio DNA dovrebbe dimostrare che una
politica lungimirante coniuga gli interessi individuali con il bene comune,
anzi più in generale gli interessi materiali (individuali e collettivi) con i
valori etici (gli unici che assicurano un’anima e un futuro alle civiltà). Ma
come fare quest’opera di convincimento senza una rete diffusa di centri di
formazione culturale? Prima ancora senza una strategia di formazione civica
nelle scuole, nei sindacati, nell’associazionismo, negli stessi partiti
progressisti? Alle ragioni del portafogli possono opporsi (senza nessuna
certezza di successo) le ragioni dell’informazione, della riflessione
razionale, dello studio, del confronto libero e leale fra cittadini dello
stesso orientamento ideale: ma la Sinistra, tanto al governo quando
all’opposizione, non si distingue in nulla dall’anti-intellettualismo
dominante. Dimentica – quando non deride – l’avvertenza di Antonio Gramsci
secondo cui l’intellettuale non è un tipo particolare di uomo, ma ogni uomo (e
ogni donna) è un tipo particolare di intellettuale. Con questa clamorosa
svalutazione della memoria storica e dell’intelligenza progettante non sarà
possibile nessuna “riforma intellettuale e morale”, pre-condizione
ineliminabile per sperare di governare in maniera alternativa agli schieramenti
conservatori e/o reazionari.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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