In molti mi chiedete come sia andata la Quarta
edizione della Filosofia d’a-Mare a Castellammare del Golfo dal 1 al 4 giugno.
Anche se non è facile restituire per iscritto un clima psicologico, direi
un’atmosfera spirituale, ci provo lo stesso. Per chi non abbia voglia di andare
sino in fondo a questo messaggio mi limito a una frase: “E’ andata bene, anzi
benissimo. Addirittura meglio dell’anno scorso e la soddisfazione espressa da
tantissimi partecipanti mi ha reso felice”.
Dal punto di vista quantitativo
non c’è stato quel balzo in avanti che mi aspettavo: evidentemente la
scelta consapevole di non invitare star
anche mediaticamente attraenti ha comportato un contenimento del numero dei
partecipanti (attestatosi, nel giro dei quattro giorni e includendo qualche
evento aperto a un pubblico non-pagante, a poco più di un centinaio).
Ma (forse proprio per l’autoselezione degli iscritti
che si sono mossi da Torino, da Bergamo, da Bologna, da varie altre regioni
esclusivamente per motivazioni ‘filosofiche’) dal punto di vista qualitativo difficilmente si sarebbe
potuto desiderare di più.
Il “buongiorno” si è visto già al “mattino”, anzi –
per essere precisi – al tramonto: la passeggiata filosofica inaugurale delle
18,30 del primo giorno ha ancora una volta attestato il miracolo della
fioritura di tanti bei pensieri socializzati da uomini e donne che non sono del
mestiere e che spesso non sono neppure inclini a intervenire in pubblico.
Avevo, in pochi minuti, suggerito di meditare sul mare (che si stendeva, calmo
e luminoso, ai nostri piedi nella piazzetta antistante l’hotel): e ben presto
nelle due soste successive i semini gettati hanno suscitato un’abbondante
raccolta di considerazione sul tema.
Il giorno dopo si sono svolti tre laboratori di
con-filosofia.
Giorgio Gagliano ha condotto un seminario assai
suggestivo sulla teoria platonica del Bello assoluto, talmente assoluto da non
essere percepibile direttamente da noi umani ma che pure si riflette
sull’intero universo: una teoria che, a suo parere, consente di leggere in
profondità il film di Sorrentino su “La grande bellezza”. Luigi Lombardi
Vallauri ha esposto, col rigore intellettuale e la verve umoristica ben noti, le sue tesi “animalistiche”, illustrando
con efficacia le ragioni etiche per un rispetto dei nostri fratellini senzienti
minori che possa arrivare alla scelta del vegetarianesimo o, addirittura, del
veganesimo. Un interesse straordinario ha poi suscitato la riflessione di
Orlando Franceschelli sulla spiritualità, sobria ma ben solida, di un ateo o
piuttosto (come ha preferito autodefinirsi in positivo) di un “naturalista” che
ritiene di avere una interpretazione “plausibile” (se non “vera” del mondo) e
di essere disposto a dialogare con chiunque sia portatore di visioni-del-mondo
altrettanto “plausibili” (cioè non in contrasto con le certezze scientifiche e
costruite con una coerenza logica minimale).
I tre
pensatori-ospiti hanno avuto, per così dire, uno spazio di ripresa e
approfondimento delle rispettive proposte. Giorgio Gagliano già la sera stessa
di venerdì 2 con una conversazione su J. S. Bach al Teatro comunale di
Castellammare. conversazione preceduta e seguita da sue esecuzioni musicali
davvero toccanti sia con il pianoforte che con il violino. Alla fine il mio
giovanissimo amico era davvero stremato, ma raggiante, per gli applausi sinceri e insistenti.
Luigi
Lombardi ha allargato lo sguardo meditativo dal regno animale al paesaggio
marino nel corso della meditazione prevista il mattino dopo; una meditazione in
contemporanea con la meditazione di Orlando Franceschelli (a partire da “La
ginestra” di Giacomo Leopardi) nella quale egli ha potuto per così dire
esemplificare in una testimonianza storico-esistenziale ciò che può essere la
spiritualità di un “laico “.
Nella seconda
parte della stessa mattinata Davide Miccione ha tenuto, in plenaria, una
davvero brillante conversazione su che cosa sta succedendo (ed è bene che
continui a succedere) in molti filoni della filosofia contemporanea. A partire
dal suo denso “Ascetica da tavolo. Pensare dopo la svolta pratica” (Ipoc,
Milano), egli ha mostrato le ragioni per cui va maturando un’insofferenza
crescente non verso il modo accademico di fare filosofia (che è pur un modo
necessario e legittimo), ma verso la pretesa accademica di avere il monopolio
esclusivo del modo di fare filosofia. Molto in sintesi, Miccione ha evidenziato
il passaggio dalla filosofia (come sostantivo che segna orti privati
gelosamente circoscritti) al filosofare (come verbo, come processo, che indica
un movimento rispetto a cui tutti e tutte, indipendentemente dalla nostra
collocazione sociale e professionale, siamo titolari di diritti e di doveri).
Un’altra
assemblea plenaria, questa volta nel pomeriggio (e nella splendida cornice del
castello normanno che dà il nome alla città che ci ha ospitato), è stata
convocata per sperimentare un’altra ‘pratica’ filosofica: la “disputa a due”,
il confronto dialettico. Tema del “contendere”: cosa rende simili, e cosa
irriducibilmente dissimili, il mestiere dello psicoterapeuta dal mestiere del
consulente filosofico. Marta Mancini (attuale presidente nazionale di
“Phronesis”) è stata molto brava nel marcare il territorio della consulenza
filosofica diradando ogni equivoco su presunti intenti terapeutici: il filosofo
non fa diagnosi e tanto meno prescrive cure, ma si offre come specchio per chi
voglia dialogare con qualcuno che lo aiuti a riflettere da altri punti di vista
sui grovigli esistenziali che sta (eventualmente) attraversando. Ma Pippo La
Face non è stato meno bravo nel de-costruire l’immagine diffusa (e non
sempre a torto) dello psicologo come “a
metà fra lo sciamano e l’ortopedico”, rivendicando per la sua professione uno
sguardo olistico che non trascuri il contesto socio-culturale nel quale in
paziente si trova a vivere e a soffrire. La sua conclusione – più o meno
esplicita – è stata (o è sembrata ad alcuni di noi) che lo psicoterapeuta può
fare ciò che fa un consulente filosofico e, in più, ha a cuore il vissuto
psichico ed emotivo del paziente: una conclusione che ha entusiasmato psicologi
e clienti (attuali o potenziali) presenti, lasciando nella loro “filosofica”
perplessità i consulenti filosofici presenti. In successive (auspicate)
occasioni sarà dunque consigliabile esplicitare in quale accezione semantica la
“terapia” viene esclusa dal consulente filosofico e in quale altra viene,
invece, inclusa: perché evitare di “curare” in senso medico non significa, tout court, rinunziare all’esercizio
filosofico come “terapia della mente” (quale l’intendevano Platone, Seneca o
Wittgenstein). Sullo sfondo resta, poi, la differenza fra chi sta male
‘sentimentalmente’ e chi ha le idee confuse ‘razionalmente’: il primo se ne
accorge e chiede aiuto, il secondo – se è davvero confuso – è convinto di
vedere bene e di non aver bisogno di nessuno. Solo una buona consulenza
filosofica lo potrebbe convincere dell’opportunità di chiedere una…consulenza
filosofica.
La sera di
sabato 3, dopo cena, si sarebbero dovuti
svolgere quattro caffè filosofici in quattro bar della città ma il programma è
stato sconvolto dall’irruzione della finalissima di Coppa Europa fra Juventus e
Real Madrid. Si è provato a ripiegare su un’alternativa: anziché quattro caffè
filosofici, un unico incontro presso l’hotel Al Madarig. Ma i partecipanti,
all’inizio in numero contenuto, sono andati aumentando man mano che la Juventus
subiva palloni in rete: e non mi è sembrato che l’ottimo David Miccione sia
stato in grado di gestire la strana emergenza. Tra l’altro ho avuto la pessima
idea di proporre che il neo-gruppo si accordasse su un tema a piacere al posto
di uno dei quattro previsti nel caso ci si fosse riuniti separatamente: e ciò
ha comportato lo spreco di almeno mezz’ora nel mettersi d’accordo su di esso. Che
ci siano situazioni in cui l’adeguamento democratico alle opinioni dei molti
risulti dannoso proprio al bene comune? Insomma l’esperimento dei quattro caffè
in un’unica sessione mi è sembrato (per molti versi) fallito. A riprova di
quanto fra filosofi-in-pratica ci ripetiamo da tempo: che la filosoficità di un
evento (la quale dipende dalla professionalità del conduttore ma almeno
altrettanto dal buon senso dei partecipanti) non è mai garantita a priori, può essere solo misurata a posteriori.
Domenica 4 la
maggior parte degli iscritti si è concessa una gita molto bella (ma anche molto
stancante) alla Riserva naturale dello Zingaro. Con ammirevole coraggio, dopo
sette ore di sole e di mare, i nostri eroi hanno avuto la forza di partecipare
alla tavola rotonda che ha concluso – potremmo dire a meraviglia – questo
festival. Come ha ben spiegato
nell’introduzione Francesco Seminara, leader del “Gruppo noi uomini a Palermo
contro la violenza sulle donne”, ci si proponeva di analizzare la violenza
sulle donne da angolazioni disciplinari differenti per averne un quadro
descrittivo e interpretativo quanto meno incompleto possibile. E il risultato
non ha in nulla deluso le attese. Ha iniziato Stefano Ciccone, fondatore del
movimento nazionale “Maschile plurale”, che – riprendendo in parte i temi da lui
esposti magistralmente nella conferenza tenuta nel Castello al secondo giorno
del Festival sulla possibilità di essere
maschi senza essere maschilisti – ha mostrato con grande efficacia la necessità
di risalire dagli episodi di cronaca quotidiana ai “modelli culturali”
(condivisi da tutti e da tutte, non solo dagli uomini maltrattanti) secondo i
quali il maschio è tale in quanto protegge, e per ciò stesso controlla e
domina, la donna. Con la lectio
magistralis di venerdì che nella tavola rotonda di domenica Stefano ha
avuto la possibilità di offrire non solo una splendida testimonianza di vita ma
anche una sintesi fluida e fruibile del suo importante (anche se per molti
lettori troppo impegnativo) volume “Essere maschi tra potere e libertà”. Ma
quali sono le radici filosofiche del maschilismo rilevato fenomenologicamente
dalla sociologia e dall’antropologia culturale (cioè dall’angolazione prescelta
da Stefano)? La risposta è venuta dalla nitida e profonda relazione di Chiara
Zanella sulla “filosofia della differenza” con particolare riferimento al
contributo di tre esponenti decisive del pensiero femminile e femminista:
Simone de Beavoir (compagna di J. P. Sartre), Luce Irigeray e Adriana Cavarero.
Dopo il punto di vista della sociologia e della filosofia ho inserito il punto
di vista della teologia (laica) ricordando, sulla scia del mio libretto
“Tenerezza. Hanna Wolff e la rivoluzione (incompresa) di Gesù di Nazareth”, che
la condizione di sudditanza della donna nel mondo ebraico-cristiano è stata
anche effetto di un’immagine di Dio come maschio-padre-padrone: l’immagine di
un Patriarca proiettata in cielo che legittima, e conferma, efficacemente il
patriarcato in terra.
Aurora Mineo,
psicoterapeuta di vasta esperienza proprio in questo ambito problematico, ha
sottolineato la complicità “oggettiva” di molte donne che, anche secondo la
letteratura specialistica, stentano a rompere il “circolo vizioso” che le lega al maschio maltrattante nell’illusoria
convinzione di avere le armi psicologiche per convertire il partner a modalità di comportamento
accettabili. L’esposizione teorica di Aurora è stata corroborata dal racconto
efficace di un caso clinico di donna maltrattata, da lei stessa accompagnata
alla separazione definitiva dal marito violento. La tavola rotonda si è conclusa con
l’intervento del pedagogista Giuseppe Burgio che, con ammirata competenza e
notevole efficacia comunicativa, ha spiegato la necessità di rivedere
radicalmente i processi formativi affinché la “maschilità” (in tutte la gamma
delle sue possibili versioni, dal giovane gay all’anziano saggio in carrozzella)
sostituisca il modello unico della “virilità” (maschio bianco, giovane, sano,
bello, aggressivo, dominatore, vincente…che “non deve chiedere mai”).
Come altre
volte, mi è capitato ancora una volta di sentirmi chiedere come riesca a radunare - da ogni
parte d’Italia nello stesso luogo- tanta
bella gente. Non posso negare, per falsa modestia, di riconoscermi il merito di
saper alimentare (non senza un impegno quotidiano talora gratificante, talaltra
faticoso) le relazioni umane quando
incontro persone valide, significative, autentiche. Ma se spesso questi
appuntamenti riescono così bene è, soprattutto, perché le persone più
interessanti sono di solito le più interessate a occasioni di riflessione
critica e di confronto dialogico (insomma vivono con curiosità più che con
fastidio il rapporto con l’alterità nella fase attuale di difficile ricerca di
riferimenti valoriali). E' la filosofia-in-pratica, al di là delle
qualità soggettive positive e negative, ad attrarre le persone belle che si
auto-selezionano: la filosofia-in-pratica come nuova, antichissima,
spiritualità laica.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Oggi nel ruminare l'incontro con il valoroso Orlando Franceschelli ho scritto:
E il profumo del suo fiore nell’irrompere ridimensiona la gloria dell’inorganico. Da dove sarà mai arrivata ‘sta ginestra? Chi l’avrà attivata? Forse un qualche pensiero? Una qualche intenzione ne è la causa prima? E di chi?
Non lo so ma non mi preoccupo, in fin dei conti dettagli secondari, il dato portante è la realtà del suo accadere.
Posta un commento