“Repubblica – Palermo”
6.9.2013
SE LA TOP MODEL SVELA LA VERITA’
Non sapevo che la top model Eva
Riccobono – madrina del Festival di Venezia - fosse palermitana. L’ho appreso
(rammaricandomi di non averla mai incontrata nei suoi diciannove anni di vita
isolana) dai giornali che hanno riportato una sua dichiarazione a “Vanity
fair”: “Vado una volta al mese a Palermo per ricaricarmi, ma
alcune cose dei palermitani non mi piacciono come la mentalità mafiosa. Detesto
quelli che si lamentano sempre e che vogliono la raccomandazione e soprattutto
il familismo e i soprusi”.
Sapevo, invece, che una
dichiarazione così sincera e veritiera
- eco della più celebre e autorevole dichiarazione di Paolo Borsellino
su Palermo “città bellissima e disgraziata” – avrebbe suscitato immediate
reazioni da parte di politici di specchiate virtù civiche, che nella loro
carriera non hanno mai né chiesto né fatto raccomandazioni di nessun genere. La
strategia comunicativa per avere il nome in cronaca è ormai straconosciuta.
Primo passo:
amplificare l’estensione della dichiarazione e fare dire alla Riccobono che
“tutti” i palermitani hanno mentalità mafiosa. In modo da tentare di portare dalla propria parte oves et boves: cittadini mafiosi
(per “fatto personale”), cittadini antimafiosi (per “lesa maestà”) e
cittadini amafiosi (che non vogliono
passare per nessuna delle due categorie, per altro minoritarie, precedenti). Che
grazie all’azione dei magistrati (non di rado senza il sostegno dei politici) e
dei segmenti migliori della società (come “Addiopizzo” e
“Professionistiliberi”) si siano fatti enormi passi in avanti nella lotta al
dominio mafioso non significa che questo sia scomparso dalle stanze
dell’amministrazione regionale;
dai quartieri ricchi e meno ricchi in cui gli imprenditori continuano a
sottostare ai soprusi del racket;
dalle strade dove un’accurata regia distribuisce, con ammirevole precisione
toponomastica, le zone ai posteggiatori abusivi (che non hanno neppure il
lontano sospetto del ridicolo quando organizzano la manifestazione di protesta
contro le forze dell’ordine che accennano a liberare gli automobilisti
dall’intimidazione incessante e onnipresente)…
Secondo passo:
negare l’evidenza. Per esempio che la stragrande maggioranza dei palermitani
sia specializzata nelle “lamentele” (contro il governo, contro il sindaco,
contro i vigili urbani, contro gli autisti dell’Amat, contro i posteggiatori
abusivi, contro gli altri concittadini che non si lamentano abbastanza…), ma
non voglia spendere neppure un’ora la settimana per organizzare la protesta,
farla diventare proposta politica, supportarla con adeguate azioni mirate
nell’ambito della legalità democratica.
Terzo passo:
inventarsi qualche “rivoluzione in atto” che ridurrebbe a mero “luogo comune”,
valido se mai per il passato, la constatazione che nella nostra città si è
alla “costante ricerca della
raccomandazione'”. E’ dalla “Primavera di Palermo” di un quarto di secolo fa
che i giovani si sarebbero ribellati alla mafia, avrebbero ripudiato il
clientelismo, sarebbero strenui difensori della meritocrazia. Ma sfugge un
piccolo particolare: i giovani di venticinque anni fa sono gli adulti di oggi
e - fatte le debite eccezioni –
continuano a gestire le leve del potere (politico, amministrativo, culturale…)
con le stesse insopportabili modalità dei padri e dei nonni. Sostenere, come si
è fatto in queste ore da scranni istituzionali di tutto rilievo, che le
raccomandazioni sono dappertutto in Italia, significa non voler vedere la
differenza fra la patologia, che a Torino o a Perugia viene bollata come tale,
e la stessa patologia che a Palermo o a Reggio Calabria viene scambiata per
fisiologia. Come ha scritto il sociologo Antonio La Spina qualche anno fa, da
Napoli in giù siamo ben al di qua dell’alternativa legalità o illegalità:
sguazziamo nell’alegalità. Non
prendiamo neppure in considerazione le norme che, disinvoltamente e
abitudinariamente, violiamo.
Comunque è superfluo
addizionare argomenti razionali ad argomenti: alla pancia - e alla demagogia – non si comanda.
Ogni volta che esce un film, un libro, un’indagine giornalistica sulla mafia si
ripete noiosamente il medesimo copione: la colpa è di chi osa denunziare i
mali, non di chi li provoca e più o meno colpevolmente li perpetua.
Augusto Cavadi
5 commenti:
Ho avuto la stessa reazione io (come ho anche commentato su facebook) e neanch'io sapevo che Eva Riccobono fosse nostra concittadina.
Il paradosso più grande è che noi siciliani (non "tutti", non vorrei suscitare la reazione di qualche sottosegretario) siamo veri professionisti nell'arte della "lamentela", combinando argute analisi a sterile qualunquismo generalizzato (non riuscendo così poi a generare una sintesi propositiva, come denunci bene tu) e però, quando qualcun altro, forestiero o isolano non importa, magari dalle colonne di qualche giornale, fa la stessa cosa pur senza generalizzare, allora emerge il campanilismo più sfegatato, proprio negli stessi che avevano fatto della critica generalizzata il proprio raffinato metodo di analisi. Guai a parlare male della nostra terra madre, sapere che si prostituisce per le vie del malcostume clientelare non ci importa purché non diventi di pubblico dominio. Come sempre il male è il termometro e non la febbre!
Condivido al 100%. E rilancio nel mio blog.
Inappuntabile caro prof...
Condivido pienamente.
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