martedì 29 aprile 2025

La mafia è mafia anche quando non spara

 In chi visita la Sicilia suscita non poco stupore l’affluenza popolare alle celebrazioni religiose anche in quartieri e in paesi tristemente noti per la persistenza di fenomeni mafiosi. L’enorme problematica (bisognerebbe partire dagli studi di Girard sul nesso genetico fra sacro e violenza) è stata recentemente ripresa nel volume, a firma  di don Francesco Conigliaro, Sed contra. Ruffini dice che la mafia esiste…nel quale il teologo palermitano contesta l’opinione (dominante anche fra gli storici di orientamento cattolico) secondo la quale il cardinale  - deceduto nel 1967 -   avrebbe negato l’esistenza della mafia. A sostegno della sua tesi controcorrente, l’autore cita vari passaggi in cui l’arcivescovo di Palermo stigmatizza la mafia come piaga della società siciliana. Analizzando tali brani si evince che, effettivamente, Ruffini condannava i delitti dei mafiosi, ma non anche i rapporti da loro intrattenuti  sistematicamente con politici e imprenditori.  Sembra sfuggire oggi a don Conigliaro ciò che sfuggiva allora al suo arcivescovo: che senza la dimensione politico-affaristica (che la differenzia da ogni altra forma di delinquenza ‘comune’) la mafia non è mafia.

Augusto Cavadi

“Gattopardo” (edizione siciliana)

Febbraio 2025

sabato 26 aprile 2025

OLTRE L'ANTIMAFIA? A CHE PUNTO SIAMO NEL CONTRASTO AL DOMINIO MAFIOSO


UN PASSO OLTRE L’ANTI-MAFIA

Quando mi si chiede  - come di recente Leandro Limoccia, docente di di Sociologia della devianza e della criminalità all’Università di Napoli - di conversare con giovani studenti universitari per fare il punto sulla situazione del contrasto al sistema mafioso (siciliano), ritengo necessario chiarire – preliminarmente – cosa intendo per mafia. Infatti capita di assistere, su questa tematica, a scontri anche duri fra protagonisti e studiosi della storia contemporanea che nascono da visioni parziali del fenomeno. Come nella parabola orientale dei ciechi che palpano un elefante e litigano perché uno, toccando la proboscide, sostiene che sia come un serpente; un altro, toccando una zampa, che sia come un albero; un altro ancora, toccando la coda, che sia come una funicella…Hanno tutti ragione ma, nel momento in cui assolutizzano il frammento, scivolano nel torto.

Fuor di metafora: la mafia è un’associazione di criminali, con un suo apparato militare, che mira all’acquisizione di potere e denaro. Ma i circa cinquemila “uomini d’onore” in servizio permanente effettivo non eserciterebbero il condizionamento che esercitano se non potessero contare su una molto più ampia cerchia di cittadini (secondo il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, circa un milione di siciliani) che spalleggiano, difendono, supportano i mafiosi o per complicità, affinità culturali, interessi privati o per timore di rappresaglie violente in caso di disobbedienza.

Se questa  rappresentazione della mafia (che mutuo, con qualche modifica, da Umberto Santino che non a torto parla di “paradigma della complessità”) è, sostanzialmente, corretta, si può sintetizzare la situazione dell’anti-mafia con l’immagine del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Vediamo, un po’ più in dettaglio, perché.

 

·      In quanto organizzazione criminale la mafia è stata incrinata da uno sforzo enorme delle autorità giudiziarie che hanno pagato il loro impegno con la vita di numerosi magistrati, poliziotti, testimoni di giustizia, professionisti interpellati come consulenti (senza contare figure gigantesche come il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa che non rientra in nessuna delle categorie evocate). Negare i successi dello Stato democratico da questo punto di vista sarebbe falso storicamente e ingiusto verso chi ha contribuito – per fortuna anche sopravvivendo - con intelligenza e generosità a realizzarli.

Ovviamente nessun trionfalismo deve indurre ad abbassare la guardia per almeno due ordini di considerazioni. Intanto perché non sappiamo quanto perdurino le relazioni clandestine fra settori dei Servizi segreti e gruppi criminali e, dunque, se siano scongiurati i rischi di stragi dimostrative o di attentati a esponenti apicali della lotta alla mafia. Comunque, a prescindere dai pericoli  nascosti, ce ne sono di palesi: l’azione repressiva delle autorità giudiziarie è messa a dura prova dalle modifiche legislative sulle intercettazioni telefoniche, i limiti temporali per le dichiarazioni dei ‘pentiti’, le prescrizioni…

In ogni scenario possibile, poi, vanno continuamente implementati la preparazione professionale e i mezzi delle Forze dell’Ordine per mantenere l’una e gli altri al passo con i progressi tecnologici.

 

·      Il (parziale) ottimismo per i colpi inferti alla mafia come soggetto militare sminuisce se la si considera in quanto soggetto politico che vuole condizionare interi territori esercitando potere sia mediante le istituzioni statali che direttamente. Qui bisogna decostruire il luogo comune della mafia come “anti-Stato”: sin dalle sue origini ottocentesche, essa cerca di infiltrarsi nello Stato tanto quanto pezzi di Stato cercano l’alleanza coi mafiosi. Più esatto dire che la mafia entra in collisione con quegli esponenti dello Stato democratico che si frappongono al suo perenne tentativo di farsi Stato.  Da questa angolazione non si può negare che il contrasto al dominio mafioso mostra delle crepe vistose: personaggi condannati in tre gradi di giudizio per reati connessi al sistema mafioso (ad esempio Dell’Utri e Cuffaro), una volta scontate le pene, sono tornati a svolgere un ruolo pubblico, sino a dichiarare l’appoggio a candidati al Parlamento siciliano e alla guida di città rilevanti come Palermo.

La crescente disaffezione nei riguardi della cosa pubblica e la conseguente diminuzione dei cittadini che usano “l’arma della matita” nelle urne elettorali (di cui parlava Paolo Borsellino) non possono che agevolare il monopolio degli spazi istituzionali da parte di politici o mafiosi o sostenuti da ambienti mafiosi.

 

·      Un bilancio altrettanto insoddisfacente si deve ammettere se la mafia viene considerata come soggetto economico. Le sue finanze sono floride perché ai vecchi metodi del ‘pizzo’ (di valore simbolico irrinunziabile) si sommano nuove occasioni di profitto (contrabbando di armi, gestione dei flussi migratori, sfruttamento della prostituzione, spaccio di stupefacenti anche a bassissimo costo, appalti per grandi opere pubbliche per lo più inutili). Magistrati e associazioni di cittadini come “Addiopizzo” denunziano un fenomeno paradossale:  sempre più spesso il commerciante cerca il contatto con il boss prima ancora  che il boss cerchi il contatto con lui. Addirittura si moltiplicano i casi di imprenditori che trovano conveniente non limitarsi a cooperare con i boss, ma diventare essi stessi boss. Le cronache sono puntellate da casi clamorosi di imprenditori come Helg e Montante processati per comportamenti tecnicamente mafiosi. Perfino un settore in cui si registrano importanti successi a spese dei beni sequestrati ai mafiosi sono stati inquinati da magistrati come la Saguto e dai suoi protetti. Come se ciò non bastasse, i commercianti che denunziano gli estortori vengono sottoposti dalle stesse istituzioni statali a boicottaggi incredibili, come racconta nel suo recentissimo libro autobiografico, E tu sai chi sono io? Storia di una ribellione al pizzo, il testimone di giustizia Nino Miceli (cfr. https://www.zerozeronews.it/un-miracolo-denunciare-la-mafia-e-sopravvivere-ai-boss-e-alla-falsa-antimafia/ ).

In questo ambito tematico restano tanti nodi da sciogliere: incrementare la finanza davvero etica; democratizzare il prestito (anche il piccolo prestito); legalizzare le droghe leggere (come auspicava Giovanni Falcone); intervenire incisivamente nella lotta all’evasione fiscale per una più equa della distribuzione dei beni e dei servizi.

·      Controverso, infine, il bilancio sulla mafia come soggetto pedagogico che crea consenso alternando la seduzione corruttiva (anche culturale) con l’intimidazione violenta. Infatti mi pare di constatare che alcuni modelli (l’ eroico “capo dei capi”) e alcune espressioni di offesa (“Sei uno sbirro”) siano in calo presso le nuove generazioni: dirsi “mafioso” non è più un’autodefinizione esaltante come mezzo secolo fa.

Tuttavia ci sono elementi, anche da questa angolazione, che non permettono nessun compiacimento rassicurante. Infatti la campagna promozionale della Ditta-mafia non conosce interruzione: prima che minacciare, essa preferisce offrire peloso soccorso come liquidità ad aziende in crisi o assistenza agli indigenti in tempi di pandemia o raccomandazioni a professionisti ambiziosi (da medici che aspirano al primariato a avvocati che ambiscono a poltrone in consigli d’amministrazione di enti pubblici). Al di là di questi fenomeni, abbastanza in linea con la tradizione, si assiste oggi ad una colonizzazione del “senso comune” da parte della mentalità mafiosa: singoli, associazioni, partiti pensano e agiscono come se lo Stato di diritto non potesse più  determinare limiti invalicabili all’arbitrio soggettivo. Anzi, addirittura, sono i governi di Stati grandi e piccoli che calpestano platealmente qualsiasi norma di diritto internazionale: diventa sempre più difficile distinguere i modi di vari leader politici dallo stile dei capimafia.

Se le visioni-del-mondo più diffuse sul pianeta si vanno  ‘mafiosizzando’ è necessario un salto di qualità dalle vecchie (e lodevoli) iniziative di educazione anti-mafia ad una rivoluzione culturale in direzione di orizzonti inediti. Forse non basta più opporsi ai codici culturali mafiosi sempre meno differenti dai codici culturali condivisi dalla maggioranza degli abitanti della Terra (a cui il capitalismo occidentale  insegna il primato assoluto del potere e del denaro su ogni altra dimensione della vita), ma sforzarsi di andare oltre le contrapposizioni secondarie verso una “spiritualità laica” – potenzialmente universale – che attesti la convenienza di alcune “buone pratiche” ai fini della felicità possibile sulla Terra: l’esercizio del senso critico, il piacere della conoscenza, la gioia della contemplazione della bellezza naturale e artistica, la compassione verso tutti gli esseri viventi, la postura nonviolenta e così via. La cultura anti-mafia ha svolto un ruolo prezioso, ma come ogni “anti” rischia la dipendenza da ciò a cui si oppone: probabilmente è arrivato il momento di lavorare, teoricamente e praticamente, per una cultura talmente innovativa da strappare le radici stesse della filosofia mafiosa.

                                             Augusto Cavadi

                                    (www.augustocavadi.com)

* Per la versione originaria con corredo iconografico cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/un-passo-oltre-lanti-mafia/


 

martedì 22 aprile 2025

PONTIFICATO DI BERGOGLIO: UN DIFFICILE BILANCIO

 PAPA FRANCESCO: UN DIFFICILE BILANCIO

Ci vorranno anni per redigere un bilancio attendibile del pontificato di Bergoglio (2013 – 2025), al di là delle etichette coniate in vita per esaltarlo (“papa rivoluzionario”) o per denigrarlo (“papa eretico”). 

Di certo è che la sua persona, il suo magistero, il suo stile di governo sono stati contrassegnati da una notevole e persistente ambivalenza (per i più malevoli,  ambiguità). Da una parte, infatti, è stato un papa di grandi aperture innovative (come nei confronti delle problematiche socio-economiche ed ecologiche); ma, per altri versi, non ha nascosto né una devozione religiosa tradizionalista né alcuni pesanti giudizi su questioni eticamente sensibili (dalla fluidità della nozione di “genere” alla liceità dell’aborto procurato).

Cosa resterà della sua azione nella storia della Chiesa cattolica?

L’elezione del nuovo pontefice potrà offrire qualche elemento di risposta, ma direi che – almeno  nell’immediato - non si registrerà nessun mutamento di rilievo. Egli infatti ha interpretato in maniera originale il ruolo, ma lasciando intatto il copione: fuor di metafora, è stato un papa che non è riuscito a (o non è stato capace di) trasformare il papato come istituzione.

Ad incidere nel lungo periodo potrà essere, piuttosto,  qualora venga raccolta e portata avanti dai successori, la sua prospettiva teologica. Sì, può suonare a prima vista paradossale: il papa meno ‘teologo’ della storia recente (nessun titolo accademico a differenza di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI) ha, tacitamente, testimoniato una visione teologica molto più fedele al messaggio originario dei suoi dotti predecessori; l’unica visione, tra l’altro, che potrebbe salvare la Chiesa cattolica dal precipitare nell’irrilevanza pubblica a cui sembra inesorabilmente destinata.

Egli infatti ha intuito, più per esperienze di vita che a seguito di faticosi studi in biblioteca, che la fede cristiana è un modo di essere-nel-mondo e di relazionarsi con gli esseri viventi più che l’accettazione intellettuale di una serie di “verità” catechetiche. Come è stato felicemente osservato da qualcuno, la sua prima vera enciclica non è stata  la Lumen fidei (che papa Ratzinger gli aveva lasciato quasi completata sulla scrivania), bensì il suo viaggio a Lampedusa per lanciare un segnale a favore dei migranti. In questi dodici anni il filo rosso dei suoi interventi è abbastanza riconoscibile: le questioni dottrinarie possono essere più o meno interessanti, ma ciò su cui si misura la nostra sequela del Cristo dei vangeli è la solidarietà con i disperati, gli sfruttati, gli impoveriti. Papa Francesco ha testimoniato che l’ortodossia è fondamentale, ma che consiste nella centralità dell’ortoprassi. Eretico è chi nega che l’essenza, il principio, l’anima  sia l’amore a trecentosessanta gradi, non chi ha dubbi su un dogma proclamato nel XVI secolo o nel XX o chi dissente sulla traduzione dal greco in latino di un versetto biblico. 

Se la Chiesa avrà un futuro sarà non in quanto agenzia culturale in grado di produrre sistemi teologici mirabolanti,  bensì in quanto palestra di persone, comunità, movimenti specializzati nell’amore gratuito, nel dono creativo, nell’agape trasformatrice. Dall’imminente conclave si capirà se i cardinali hanno compreso la posta in gioco o se preferiranno far finta di niente, continuando a gingillarsi sul Titanic ignari degli iceberg disseminati sulla rotta.

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

Qui il link all'originale:

Una versione più sintetica (con un titolo di cui non sono responsabile) qui:

venerdì 18 aprile 2025

LETTERA SUL PROSSIMO REFERENDUM (LUNEDI' 8 - DOMENICA 9 GIUGNO " 2025)

 

Cara, caro,

di solito ci limitiamo a vivere in una falsa democrazia dove non possiamo incidere in nulla.

L’istituto del referendum è il mezzo principale con cui anche tu, io, i nostri amici possiamo decidere senza delegare né partiti né sindacati.

Nei giorni di domenica 8 e di lunedì 9 giugno 2025 si avrà la possibilità di dire la propria opinione su 5 quesiti:

1.     Stop ai licenziamenti illegittimi

2.     Più tutele per chi lavora nelle piccole imprese

3.     Minore precarietà nei rapporti di lavoro

4.     Contrasto più deciso agli incidenti sul lavoro

5.     Cittadinanza meno ardua per gli immigrati residenti in Italia

Se vai al sito Referendum 2025, per cosa e come si vota l'8 e il 9 giugno | Wired Italia puoi avere tutte le informazioni necessarie su ciascun quesito.

Come padre adottivo di una ragazza africana tengo in particolare al quinto quesito, ma voterò “sì” a tutti e cinque.

Se questa battaglia di lotta nonviolenta ti convince, ti prego di ‘personalizzare’ questa lettera e di inviarla ad almeno 10 contatti, privilegiando quelle persone che hanno congiunti fuori sede: essi, infatti, potranno esercitare il diritto di voto anche lontano dal Comune di residenza purché entro il 4 maggio compilino questo semplice modulo nel sito del Ministero dell’Interno: REFERENDUM 2025 - Domanda voto fuori sede

Grazie dell’attenzione,

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com