In
questi giorni la proposta di Michele Serra di convocare una grande
manifestazione di piazza a Roma, per urlare la necessità che l’Europa abbia un
sussulto di dignità e si ponga come soggetto autonomo rispetto alle grandi
potenze mondiali, sta dividendo l’Italia trasversalmente all’interno degli
schieramenti partitici, delle organizzazioni sindacali, dei movimenti
pacifisti.
Se
non vedo male, sono in gioco due questioni distinte che vanno affrontate
separatamente.
La
prima nasce da una (suppongo intenzionale, data l’abilità comunicativa di
Serra) ambiguità del suo appello: scendere in piazza per questa Europa
(dalla fondazione dell’Unione Europea a oggi) o per un’Europa radicalmente
rifondata secondo i suoi primi ideatori a Ventotene (dunque sui princìpi
dell’Ottantanove – libertà, uguaglianza, fraternità - , sulla partecipazione
democratica, sul perseguimento della giustizia sociale, sul ripudio della
guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti etc. etc.) ? La moltiplicazione
delle esegesi del testo mi pare inutile: nessuno può stabilire a quale delle
due Europe si riferisca Serra perché egli per primo si è voluto rivolgere
indistintamente ai sostenitori di entrambe. Infatti, se avesse voluto dirimere
l’equivoco, avrebbe potuto spendere una parola o di approvazione esplicita o di
critica esplicita alla strategia adottata dalla Commissione europea in questi
anni di guerra in Ucraina, di stragi a Gaza, di conflitti armati nel mondo. Ha
preferito parlare a tutti in modo da convincere la maggior parte: e in effetti
stanno aderendo realtà di ogni colore ideologico e di ogni schieramento
politico.
Una
seconda questione, ben distinta dalla prima, riguarda le ragioni degli uni (pro
questa Europa) e degli altri (pro un’Europa altra) cittadini: ed
è la questione decisiva che resterà aperta anche dopo il 15 marzo, data in cui
la manifestazione romana (quali che siano le idee diversificate o addirittura
opposte dei partecipanti) non modificherà (a mio avviso) di tanto né la
politica del nostro Governo né ancor meno della Commissione europea.
Da
una parte c’è la grande maggioranza dei partiti, della stampa, degli
intellettuali: Putin è il nuovo Hitler; va fermato in Ucraina se non gli si
vuole permettere di arrivare in Portogallo a Occidente e ai confini della Cina
in Oriente; questo fine nobile, anzi sacro, giustifica ogni mezzo (perfino la
deterrenza nucleare) e legittima ogni costo (fossero pure altre centinaia di
migliaia di morti in aggiunta ai caduti degli eserciti russo e ucraino). E’
ingeneroso definire guerrafondai i sostenitori di questa tesi: non vogliono
certo la guerra per la guerra ma, come ha ribadito in un intervento del 7 marzo
2025 Paolo Flores D’Arcais, si tratta di riscoprire la saggezza antica del “Se
vuoi la pace, prepara la guerra”.
Dall’altra
parte c’è una piccola minoranza di politici, di opinion leader, di
studiosi che ritengono mistificante la narrazione della maggioranza per almeno
due motivi principali: Putin si è comportato come Hitler con la Polonia (dunque
in maniera criminale), ma - a differenza
di Hitler - dopo essere stato per anni provocato dalla progressiva estensione
della NATO che ha circondato la Russia di Paesi ostili. Inoltre, ammesso e non
concesso che Putin sia il nuovo Hitler e voglia invertire la storia degli ultimi
tre secoli (in cui sono stati Paesi europei a tentare di invadere la Russia,
mai il contrario), innescare un’escalation bellica (sino a non escludere il
ricorso a ordigni atomici) è il modo peggiore (perché autolesionistico,
suicida) di bloccarlo. Prima dell’occhio per occhio, dente per dente (che,
secondo l’osservazione di Gandhi, rende il mondo cieco), ci sono mille
strategie diplomatiche, economiche, tecnologiche per opporsi a Putin.
Una
minoranza della minoranza pensa che se gli Stati istituissero, in
parallelo se non ancora in sostituzione delle Forze armate, delle Forze di
difesa popolare nonviolenta, le strategie di difesa nei confronti di possibili
invasori sarebbero molto più numerose: scioperi, non-collaborazione,
boicottaggi…(il mio amico Andrea Cozzo ne illustra diverse nel suo recente
libretto La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da sapere prima di condividerla o rifiutarla).
La storia, dai Greci alla Danimarca contro Hitler, è zeppa di episodi di
opposizione dura, efficace, vincente, ma senza armi, a eserciti invasori: ma i
manuali scolastici o li ignorano o (come nel caso di Gandhi contro la Gran
Bretagna) li liquidano con poche righe.
Chi, come me, è arrivato – dopo un lungo e tortuoso percorso di ricerca – alle posizioni di questa minoranza (di nonviolenti) della minoranza (pacifista), dev’essere disposto ad accettare l’epiteto di “utopista”. Infatti non si tratta di frequentare i ‘luoghi’ (topoi) abituali, ma di lavorare affinché l’umanità compia un salto evolutivo verso un ‘luogo’ (topos) ancora inesistente in cui uccidere – sia pure per motivi che si ritengono sacri – sia considerato un tabù (come l’umanità odierna ritiene impensabile il cannibalismo o l’incesto). Come ho letto da qualche parte, le persone di buon senso si comportano come ci si è comportato per lo più sino alla loro epoca; ma, se ogni tanto non ci fossero degli spostati (come Socrate, Buddha, Gesù, Francesco d’Assisi, Giordano Bruno, Martin Luther King…), la storia non segnerebbe nessun passo in avanti.
Augusto
Cavadi
* Per la versione originaria corredata da foto cliccare qui:
https://www.zerozeronews.it/pacifismo-e-non-violenza-secondo-augusto-cavadi/