sabato 8 febbraio 2025

LE CANZONI TRADIZIONALI E IL VERO VOLTO DI UN POPOLO

 

“Il Gattopardo”/ Edizione Sicilia

Dicembre 2024

Viaggiu dulurusu

In  Un sogno di fiori e bagliori. Giorni in Sicilia, lo scrittore polacco J. Iwaszkiewicz – innamorato dell’isola al punto da ritornarvi più volte sino alla morte nel 1980 – scrive che le canzoni popolari “sono il vero volto della vita di questo popolo”.  Se questo è vero, non si può sottovalutare il merito di chi – senza erigere muraglie identitarie – preserva la memoria di antichi canti, come la novena natalizia  Viaggiu dulurusu di Maria Santissima e lu Patriarca San Giuseppi in Betlemi di Binidittu Annuleru di Monreale. Da anni don Cosimo Scordato ha ripubblicato il testo, lo ha commentato insieme ad altri teologi, lo ha musicato in collaborazione con il maestro Vincenzo Mancuso, ha collaborato con Pasquale Scimeca per farne un film. I destinatari prioritari sono i siciliani, ma non c’è dubbio che operazioni del genere possono offrire anche ai turisti l’occasione per intravedere “il vero volto” della popolazione che li accoglie. 

Augusto Cavadi

mercoledì 5 febbraio 2025

IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE DEI TRE VOLUMI DI "TEOLOGIA POPOLARE" DI J. M. CASTILLO

Finalmente anche in lingua italiana i 3 agili volumetti in cui Castillo presenta per un pubblico 'popolare' (anche giovani che si preparano ai sacramenti dell'iniziazione cristiana) la sua "teologia popolare".

Cliccando qui sotto è possibile rivedere la registrazione-video della presentazione dei tre volumetti, editi da Il pozzo di Giacobbe (Trapani), da parte di Dario Culot e Augusto Cavadi (introduce e interviene Stefano Olcese, presidente dell'associazione "Liberare l'uomo" di Treviso che ha organizzato l'evento):

https://www.youtube.com/watch?v=WdCmdNk3gac 

sabato 1 febbraio 2025

SULLA PROPOSTA DEL MINISTRO VALDITARA RIGUARDANTE LO STUDIO DELLA BIBBIA NELLE SCUOLE

BIBBIA A SCUOLA ? DIPENDE DA COME STUDIARLA

Di certo non c’è ancora nulla, ma sono bastate delle anticipazioni per cenni su alcune proposte del ministro dell’istruzione del merito Valditara per scatenare dibattiti e polemiche. Ad esempio sulla proposta di inserire lo studio della Bibbia nei programmi curriculari obbligatori, dunque anche fuori dalle ore facoltative di “religione cattolica” dove è già previsto (anche se quasi mai attuato). La Destra (in Parlamento e nella società) plaude, la Sinistra (politica e sociale) protesta, il Centro (cattolico e non) nicchia. Ma chi si esprime in questi giorni sa di cosa parla?

Il presupposto (condiviso dalla quasi totalità degli interventi) è che studiare la Bibbia accrescerebbe il numero dei credenti praticanti delle varie Chiese cristiane (a cominciare dalla cattolica). Ma se fosse così, come si spiegherebbe che per quattro secoli (dal Concilio di Trento del Cinquecento al Concilio Vaticano II del Novecento) la Chiesa cattolica ha vietato lo studio della Bibbia, al punto da inserirla nell’elenco del “libri proibiti” accanto al marchese De Sade e a Marx ?

La risposta è semplice e se chi mette becco in queste tematiche avesse letto una sola volta la Bibbia la conoscerebbe: la Bibbia è una biblioteca scandalosa. Almeno da due punti di vista.

Come in ogni biblioteca ci sono libri di genere e di valore diversi.

Alcuni sono o noiosi (elencano precetti e divieti su come lavarsi, vestirsi, cibarsi, pregare…che vengono ritenuti ormai impraticabili) o francamente diseducativi (presentano come atti meritori fecondare la schiava al posto della moglie sterile, sacrificare mediante sgozzamento il figlio unico,  sterminare sino al più piccolo neonato le popolazioni vinte in guerra…). Quanti studenti si avvicinerebbero alle Chiese cristiane perché attratti dalla concezione di Dio, dell’essere umano, della storia veicolata da queste pagine terribili?

Ma nella Bibbia ci sono anche libri bellissimi, soprattutto nel Secondo Testamento, in cui la religione viene presentata non come militanza obbediente in un’organizzazione burocratica verticistica, bensì come avventura comunitaria condivisa da  fratelli e sorelle che s’impegnano pariteticamente per una società più creativa, solidale, compassionevole. Ebbene, anche questi testi sarebbero motivo di scandalo per tanti  studenti che constaterebbero la distanza inaccettabile fra  il messaggio dei profeti (e di Gesù in particolare) e il catechismo insegnato nelle parrocchie.

Insomma, in considerazione di ciò che la Bibbia afferma di molto sbagliato e di molto affascinante, quanti sedicenti cattolici resterebbero tali se veramente la leggessero con l’attrezzatura scientifica (storico-letteraria) con cui si legge l’Iliade o la Divina Commedia? Non è certo un caso che tra i grandi esponenti degli studi biblici moderni (da Spinoza a Bultmann, passando per i Modernisti francesi, inglesi e italiani della prima metà del XX secolo) i condannati per eresia siano stati più numerosi dei riconosciuti come benemeriti.

La vera questione è dunque con quale prospettiva e con quali metodologie insegnare la Bibbia nelle scuole. Se la si vuole usare come una clava per colpire alunni provenienti da famiglie o ‘laicamente’ agnostiche o di altre religioni (a cominciare dagli islamici) per incrementare le fila dei bravi praticanti cristiani, si sperimenterà un tragicomico effetto boomerang. Se invece si vorrà studiare la Bibbia con l’attrezzatura esegetica oggi disponibile – e fare altrettanto almeno con il Corano – si renderà un servizio prezioso per la formazione spirituale delle nuove generazioni (a prescindere dalle opzioni di fede confessionale di ciascun giovane) e per la convivenza democratica di etnie e comunità di matrici teologico-culturali differenti. Ovviamente questo insegnamento dovrebbe essere affidato a docenti qualificati dipendenti dallo Stato, non da questa o quell’altra organizzazione ecclesiale. Solo così la scuola repubblicana contribuirebbe a sradicare le radici insidiose del fondamentalismo, del tradizionalismo, del conformismo.

 

Augusto Cavadi

Centro di ricerca esperienziale di teologia laica

(Palermo)


“Adista/ Segni nuovi”, 5, 8 . 2. 2025 

giovedì 30 gennaio 2025

INTELLETTUALI RADICAL CHIC: LA FESTA E' FINITA !


LE LISTE DI PROSCRIZIONE DEGLI INTELLETTUALI CHIC

Come è noto la fantascienza non è solo anticipazione del futuro, ma anche disvelamento di trame celate nel presente. Ad esempio Il censimento dei radical chic di Giacomo Papi (che la Feltrinelli ha pubblicato in prima edizione nel 2019, ma che ho avuto fra le mani solo in questi giorni) è un agevole romanzo di fantastoria in cui, col pretesto letterario di narrare vicende di tempi a venire, si mette a nudo un aspetto rilevante della condizione sociale attuale: la divaricazione fra un numero sempre più esiguo di “intellettuali” e una massa sempre più imponente di persone orgogliose della propria ignoranza.

Se il registro comunicativo prescelto fosse morale, o addirittura moralistico, il libro resterebbe utile, ma si sommerebbe a una lunga serie di pamphlet che negli ultimi anni denunciano il fenomeno. Invece l’autore - adottato un codice umoristico, a tratti ironico – integra le critiche agli incolti con almeno due elementi originali: le frecciatine agli “intellettuali” stessi (che così non risultano del tutto esenti da ogni colpa) e le accuse a quei politici che incentivano la tendenza popolare per strumentalizzarla intenzionalmente.

Della maggioranza allergica alla lettura, alla riflessione, alla dialettica fra idee si smaschera una dimensione abitualmente nascosta: la violenza. Chi non ha armi intellettuali ricorre, spontaneamente, all’offesa verbale (specie anonima, ad esempio sui social: “Miserabili intellettuali, mi fate schifo! @ Lindackty”, p. 11) ) e, se non basta, alle armi fisiche (“Il primo lo ammazzarono a bastonate perché aveva citato Spinoza durante un talk show”, p. 9). C’è un legame, sotterraneo ma forte, tra ripudio diffuso dell’istruzione, della memoria storica, della curiosità antropologica verso altri popoli e accettazione della “guerra” come possibilità lecita, anzi inevitabile, per gestire i conflitti. Per rendere più accessibile il linguaggio si vanno elidendo le parole più difficili, ma “a forza di semplificare la guerra è diventata l’unica soluzione” (p. 139).

Quanto agli intellettuali, Papi rileva che appaiono “radical chic” agli occhi degli ignoranti, ma ammette che tale rappresentazione caricaturale abbia in essi – nel loro stile di vita, nel loro linguaggio, nel loro disimpegno –  dei fondamenti oggettivi.  Tra di loro ci sono studiosi seri e riservati, ma incapaci di coalizzarsi e di organizzare una qualche forma di resistenza alla marea montante delle persecuzioni; senza contare le signore chiacchierone (come le cugine Clelia e Anna) o i giovani (come Cosma) che, inseguendo il sogno di una rivoluzione sempre più improbabile, finiscono con l’esercitare una violenza uguale e contraria rispetto agli avversari.

E’ comunque ai politici di professione che l’autore riserva gli strali più acuminati: alcuni sono davvero ignoranti, ma altri fingono di esserlo per poter accrescere i consensi elettorali. Come il “Primo ministro dell’Interno”, sono convinti che “il popolo non si deve elevare al livello delle élite, sono le élite che devono abbassarsi al livello del popolo”(p. 87). Se non proprio ad abbassarsi davvero, a fare finta:  “bisogna che gli intelligenti imparino a dire le cose in modo che gli stupidi credano di averle pensate da soli” (ivi).

Cosa c’entra, in questo contesto, “il censimento dei radicali chic” che dà il titolo al romanzo? E’ una delle tante liste di proscrizione che periodicamente si riproducono nella storia dell’umanità. Solo che, nell’epoca post-moderna (o iper-moderna), le dittature evitano il cattivo gusto di presentarsi come tali: preferiscono apparire come apparati di soccorso e di protezione agli occhi delle stesse vittime designate. Da qui l’idea geniale del governo di invitare chiunque si interpreti come “intellettuale” a iscriversi spontaneamente a un elenco di nominativi di cittadini da far sorvegliare giorno e notte: ufficialmente per difenderli dagli ignoranti scalmanati, in realtà per tenerli strettamente sotto controllo.  Con questa strategia si evita di creare nuovi martiri e, dunque, il rischio di una indignata sollevazione popolare. Certo, qualcuno potrebbe subodorare l’imbroglio istituzionale ma, ormai, non c’è ingiustizia (specie se sistemica) abbastanza eclatante da suscitare rivolte.

Augusto Cavadi

* Per la versione illustrata cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/le-liste-di-proscrizione-di-intellettuali-e-radical-chic/


martedì 28 gennaio 2025

IL CUORE COME CENTRO VITALE, NON COME ORGANO ISOLABILE

 Il volume della cardiologa Silvia Di Luzio, Il cuore è una porta. Dalla scienza, un’ipotesi di evoluzione (Amrita, Torino 2019), non può non evocare la celebre, fulminante,  asserzione di Blaise Pascal: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”. Ella infatti sostiene che il nostro cervello non è l’unico organo dotato di neuroni e che proprio il muscolo cardiaco ne contiene di moltissimi e attivissimi. Quando dunque asseriamo, in certe circostanze, di aver seguito la voce del nostro cuore, non ci stiamo esprimendo in un senso solo poetico, metaforico, ma letterale, anatomico. Potremmo dire lo stesso per il “terzo cervello” di cui siamo dotati: la pancia. 

   Dunque affrontiamo la vita – le sue relazioni, le sue sfide, i suoi imprevisti – con l’interezza del nostro essere: non averne consapevolezza, e limitarci ad approcci settoriali, ci condanna a una sorta di mutilazione. Chesterton ha una volta osservato, a proposito di Hegel, che esiste un genere particolare di follia consistente nel perdere tutto tranne la ragione. Quando ci mettiamo in gioco con la testa, lo facciamo anche sempre con il cuore e con la pancia.

   Se le cose stanno così – e la Di Luzio, che ha studiato anche negli Stati Uniti d’America la questione, lo argomenta con varie considerazioni empiricamente confermate – possiamo esaminare criticamente delle espressioni diffuse nei discorsi quotidiani.

   E’ vero – per prendere in prestito il titolo del più fortunato romanzo di Susanna Tamaro – che in alcuni bivi della vita dobbiamo andare “dove ci porta il cuore” (Baldini & Castoldi, Milano 1994)?

    Se per “cuore” intendiamo il potenziale emotivo, il sentimento, o addirittura la nostra sfera inconscia e pre-conscia, confesso – contro molte ortodossie oggi maggioritarie di impronta new age– che il cuore non ha ragioni e deve lasciarsi orientare dalla ragione. Dissento fermamente dalla contrapposizione – tutta giocata a favore del ‘cuore’ – fra cuore e ‘mente’. No: con buona pace della Tamaro non  voglio andare dove mi porta il cuore perché non voglio andare a sbattere il muso contro i muri della illusione e della delusione. Se inteso in questo significato – qualcosa come la “parte” passionale dell’anima che Platone paragonava a uno scalpitante  cavallo bianco che un bravo auriga deve saper controllare saldamente con le redini in mano – a mio parere vale per il cuore ciò che Gibran ha sostenuto per il complesso di passioni di cui siamo capaci: “La vostra ragione e la vostra passione sono/ il timone e le vele della vostra anima navigante./ Se si spezzano le vele, o si spezza il timone,/ o andrete, sbandati, alla deriva,/ oppure resterete a ristagnare in mezzo al mare./ Infatti la ragione, quando domina da sola,/ è una forza imprigionante;/ e la passione, quando non è custodita, è una fiamma che brucia a propria distruzione./ (…) Vorrei consideraste il vostro giudizio ed il vostro impulso/ sempre come fareste con due ospiti amati in casa vostra./ Sicuramente non onorereste un ospite più che l’altro:/ poiché chi ha più attenzione verso uno solo/ perde l’affetto e la fiducia di entrambi” (G. Kahlil Gibran, Il profeta, Guanda, Milano 1983, traduzione da me leggermente modificata). 

   Ma c’è una seconda accezione del termine “cuore” che rende perfettamente accettabile l’invito a seguirlo, non limitandosi alla ragione né conferendo ad essa il primato. In questa accezione di origine biblica, ma anche omerica, “<<cuore>> non va inteso tanto nel senso psicologico del sentimento quanto nel senso del centro profondo nel quale l'uomo si determina alla conoscenza e alla decisione>> (Cosimo Scordato). In questa prospettiva   “il cuore è l’organo che meglio rappresenta la vita umana nella sua totalità” (Enzo Bianchi) e, ne Il piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry può  scrivere: «Non si vede bene che col cuore». Andiamo pure, dunque, dove ci porta il cuore, ma solo se non lo intendiamo – riduttivamente -  come una parte dell’essere umano distinto, e tendenzialmente opposto, alla ragione; bensì, piuttosto, come il nucleo generativo   dell’essenza umana di cui la ragione è una parte, un’articolazione, una manifestazione.

Augusto Cavadi

* Per vedere l'edizione originale corredata iconograficamente:

https://www.zerozeronews.it/cuore-o-ragione-dibattito-infinito-fra-medici-filosofi-e-scrittori/