lunedì 10 marzo 2025

DUE QUESTIONI SOLLEVATE DALLA PROPOSTA DI M. SERRA DI MANIFESTARE A ROMA iL 15 MARZO


In questi giorni la proposta di Michele Serra di convocare una grande manifestazione di piazza a Roma, per urlare la necessità che l’Europa abbia un sussulto di dignità e si ponga come soggetto autonomo rispetto alle grandi potenze mondiali, sta dividendo l’Italia trasversalmente all’interno degli schieramenti partitici, delle organizzazioni sindacali, dei movimenti pacifisti.

Se non vedo male, sono in gioco due questioni distinte che vanno affrontate separatamente.

La prima nasce da una (suppongo intenzionale, data l’abilità comunicativa di Serra) ambiguità del suo appello: scendere in piazza per questa Europa (dalla fondazione dell’Unione Europea a oggi) o per un’Europa radicalmente rifondata secondo i suoi primi ideatori a Ventotene (dunque sui princìpi dell’Ottantanove – libertà, uguaglianza, fraternità - , sulla partecipazione democratica, sul perseguimento della giustizia sociale, sul ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti etc. etc.) ? La moltiplicazione delle esegesi del testo mi pare inutile: nessuno può stabilire a quale delle due Europe si riferisca Serra perché egli per primo si è voluto rivolgere indistintamente ai sostenitori di entrambe. Infatti, se avesse voluto dirimere l’equivoco, avrebbe potuto spendere una parola o di approvazione esplicita o di critica esplicita alla strategia adottata dalla Commissione europea in questi anni di guerra in Ucraina, di stragi a Gaza, di conflitti armati nel mondo. Ha preferito parlare a tutti in modo da convincere la maggior parte: e in effetti stanno aderendo realtà di ogni colore ideologico e di ogni schieramento politico.

Una seconda questione, ben distinta dalla prima, riguarda le ragioni degli uni (pro questa Europa) e degli altri (pro un’Europa altra) cittadini: ed è la questione decisiva che resterà aperta anche dopo il 15 marzo, data in cui la manifestazione romana (quali che siano le idee diversificate o addirittura opposte dei partecipanti) non modificherà (a mio avviso) di tanto né la politica del nostro Governo né ancor meno della Commissione europea.

Da una parte c’è la grande maggioranza dei partiti, della stampa, degli intellettuali: Putin è il nuovo Hitler; va fermato in Ucraina se non gli si vuole permettere di arrivare in Portogallo a Occidente e ai confini della Cina in Oriente; questo fine nobile, anzi sacro, giustifica ogni mezzo (perfino la deterrenza nucleare) e legittima ogni costo (fossero pure altre centinaia di migliaia di morti in aggiunta ai caduti degli eserciti russo e ucraino). E’ ingeneroso definire guerrafondai i sostenitori di questa tesi: non vogliono certo la guerra per la guerra ma, come ha ribadito in un intervento del 7 marzo 2025 Paolo Flores D’Arcais, si tratta di riscoprire la saggezza antica del “Se vuoi la pace, prepara la guerra”.

Dall’altra parte c’è una piccola minoranza di politici, di opinion leader, di studiosi che ritengono mistificante la narrazione della maggioranza per almeno due motivi principali: Putin si è comportato come Hitler con la Polonia (dunque in maniera criminale), ma  - a differenza di Hitler - dopo essere stato per anni provocato dalla progressiva estensione della NATO che ha circondato la Russia di Paesi ostili. Inoltre, ammesso e non concesso che Putin sia il nuovo Hitler e voglia invertire la storia degli ultimi tre secoli (in cui sono stati Paesi europei a tentare di invadere la Russia, mai il contrario), innescare un’escalation bellica (sino a non escludere il ricorso a ordigni atomici) è il modo peggiore (perché autolesionistico, suicida) di bloccarlo. Prima dell’occhio per occhio, dente per dente (che, secondo l’osservazione di Gandhi, rende il mondo cieco), ci sono mille strategie diplomatiche, economiche, tecnologiche per opporsi a Putin.

Una minoranza della minoranza pensa che se gli Stati istituissero, in parallelo se non ancora in sostituzione delle Forze armate, delle Forze di difesa popolare nonviolenta, le strategie di difesa nei confronti di possibili invasori sarebbero molto più numerose: scioperi, non-collaborazione, boicottaggi…(il mio amico Andrea Cozzo ne illustra diverse nel suo recente libretto La nonviolenza oltre i pregiudizi. Cose da  sapere prima di condividerla o rifiutarla). La storia, dai Greci alla Danimarca contro Hitler, è zeppa di episodi di opposizione dura, efficace, vincente, ma senza armi, a eserciti invasori: ma i manuali scolastici o li ignorano o (come nel caso di Gandhi contro la Gran Bretagna) li liquidano con poche righe.

Chi, come me, è arrivato – dopo un lungo e tortuoso percorso di ricerca – alle posizioni di questa minoranza (di nonviolenti) della minoranza (pacifista), dev’essere disposto ad accettare l’epiteto di “utopista”. Infatti non si tratta di frequentare i ‘luoghi’ (topoi) abituali, ma di lavorare affinché l’umanità compia un salto evolutivo verso un ‘luogo’ (topos) ancora inesistente in cui uccidere – sia pure per motivi che si ritengono sacri – sia considerato un tabù (come l’umanità odierna ritiene impensabile il cannibalismo o l’incesto). Come ho letto da qualche parte, le persone di buon senso si comportano come ci si è comportato per lo più sino alla loro epoca; ma, se ogni tanto non ci fossero degli spostati (come Socrate, Buddha, Gesù, Francesco d’Assisi, Giordano Bruno, Martin Luther King…), la storia non segnerebbe nessun passo in avanti.

Augusto Cavadi

* Per la versione originaria corredata da foto cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/pacifismo-e-non-violenza-secondo-augusto-cavadi/

domenica 9 marzo 2025

IL SESSANTOTTO RACCONTATO A GIOVANI DI OGGI

Gli inviti, da parte di classi di studenti a incontrare qualche reduce del Sessantotto, si fanno più frequenti via via che restiamo sempre in meno a sopravvivere,. Quando tocca a me, mi riesce difficile proporre una narrazione sintetica e soprattutto imparziale. In questi giorni ho provato a partire dall’equazione Sessantotto = contestazione globale: globale in senso geografico (ha toccato quasi tutto il pianeta) e in senso intensivo (ha riguardato quasi tutti gli aspetti della vita personale e collettiva).

Ma chi sono stati i soggetti principali di questo movimento contestatario che si proponeva, attraverso lotte settoriali, di cambiare l’intero “sistema”?

Innanzitutto gli studenti che hanno contestato contenuti e metodi pedagogici delle agenzie educative più diffuse (scuole/università e chiese); la morale sessuale dominante (ossessionata dal rischio delle gravidanze indesiderate) e le politiche militariste (la cui espressione parossistica era costituita dalla guerra del Vietnam).

In contemporanea con le rivolte studentesche – e non di rado ad esse intrecciato – si è registrato il movimento di liberazione delle donne:  il femminismo, da teoria e pratica di piccoli gruppi pionieristici, è diventato un fenomeno sociale molto più ampio e ramificato.

Anche gli operai si sono mobilitati per il miglioramento decisivo delle condizioni di lavoro e, più radicalmente, per introdurre nella fabbrica spazi e tempi di partecipazione democratica.

A più di mezzo secolo da quegli anni il bilancio è ambiguo.

Certamente è stato ottenuto il riconoscimento legislativo di molti diritti civili anche in Paesi dove sembravano impossibili (vada per tutti il caso del divorzio in Italia), ma non si può negare che le istanze progressiste hanno esasperato l’individualismo tipico della concezione antropologica borghese: il “noi” ha ceduto quasi completamente il posto all’ “io” nell’accezione più riduttiva ed egocentrica.

Certamente sono stati ottenuti per i lavoratori e i cittadini meno abbienti notevoli progressi salariali e, più in generale, legislativi. Ma proprio queste conquiste in direzione dello Stato assistenziale prefigurato nella Costituzione repubblicana hanno scatenato nelle minoranze imprenditoriali, militari e politiche di stampo reazionario una vera e propria strategia terroristica (sia attraverso Servizi segreti statali sia manovrando, in forme non ancora del tutto chiarite, gruppi estremisti di destra e di sinistra nonché associazioni criminali mafiose). Perciò, se la mobilitazione partitica e sindacale ha prodotto risultati tangibili e motivanti, la degenerazione terroristica ha smorzato gli entusiasmi dei cittadini inducendoli a ripiegare, per paura e/o delusione, nel disimpegno politico dalla fine degli anni Ottanta a oggi.

Sul piano internazionale il vento del Sessantotto ha soffiato anche all’interno dei grandi Partiti Comunisti Occidentali ed è penetrato al di là della “cortina di ferro”, contribuendo non poco al progressivo indebolimento, ideologico e istituzionale,  dell’Unione Sovietica: di uno dei due antagonisti della Guerra “fredda” che aveva mantenuto il mondo sotto la spada di Damocle di un conflitto nucleare definitivamente devastante. Ma con l’implosione dell’URSS il bi-polarismo planetario ha lasciato campo libero ad uno solo dei due imperialismi in conflitto: gli Stati Uniti d’America e i Paesi occidentali alleati (NATO). Una supremazia che sembra indiscussa dal punto di vista culturale (l’anglo-americano come lingua universale e il capitalismo come teoria economica unica, adottata da regimi politici di segno diverso), ma che  lo è sempre meno dal punto di vista politico-militare dal momento che Cina, Russia, India, Brasile e altri Paesi emergenti non intendono rinunziare ad arginare lo strapotere statunitense sulla scena internazionale.

Il quadro è (per fortuna) in continuo cambiamento e molto di ciò che è mutato dal 1968 al 2025 – soprattutto con l’avvento del Web e dei suoi padroni sovranazionali - muterà certamente nei prossimi anni, anzi nei prossimi mesi. Come dal Sessantotto (e,  in parte,  grazie ad esso) in poi, saranno cambiamenti in meglio e in peggio: la storia sembra preferire lo zig-zag alla linea dritta. Individui e gruppi possono condizionarne il corso? Mezzo secolo fa sembrava che si fosse un po’ tutti convinti di sì. Oggi siamo in pochi a perseverare in quella generosa, ma ingenua, convinzione di poter “lasciare il mondo un po’ migliore di come lo si è trovato” (Robert Baden Powell). Cerchiamo nuove motivazioni ideali, nuovi miti propulsivi; ma nessuna improbabile rinascita di passioni sopite avrà effetti storici incisivi se non sostenuta dalla fatica condivisa dell’indagine razionale, della riflessione critica, della progettazione meditata. Cuore e ragione, si potrebbe sintetizzare con uno slogan. Ma già Hegel aveva coniato il modello antropologico affascinante del “cuore pensante”.

Augusto Cavadi

* Per la versione originaria, corredata da foto, cliccare qui:

https://www.zerozeronews.it/dall-8-marzo-alla-coscienza-civile-quel-che-resta-dei-sogni-del-68/


domenica 2 marzo 2025

PREGARE PER LA SALUTE DI PAPA FRANCESCO?

 PREGARE PER LA SALUTE DI PAPA FRANCESCO ?

Anche se ho in mente le troppe decisioni che papa Francesco non ha preso – non ha voluto o non ha potuto prendere – per la sua Chiesa, mi è umanamente simpatico. Sono dunque sinceramente dispiaciuto per le sue traversie sanitarie e spero che si rimetta in forma il più presto possibile. Non può dunque che colpirmi favorevolmente la notizia che piccole folle di fedeli si radunino ora sotto l’ospedale ora in piazza san Pietro ora in altri luoghi del pianeta per pregare per lui.

Dal punto di vista sentimentale trovo incoraggiante constatare che esistono ancora dei personaggi pubblici che attraggono stima, solidarietà, affetto dalle donne e dagli uomini di strada. Ma poiché non siamo solo una fucina di sentimenti, mi viene spontaneo chiedere che messaggio questi cattolici stiano trasmettendo al mondo (oggettivamente, senza neppure averne consapevolezza).

Le loro preghiere per la guarigione del papa implicano una serie di convinzioni che non è facile giustificare teologicamente.

La prima è che da Dio dipendano direttamente tutti i fenomeni naturali dell’universo: ma davvero, come mi si ripeteva da bambino, non cade foglia che Dio non voglia? O Egli/Ella/Esso/X va pensato come il Fondamento della totalità che (per riprendere le suggestioni di Teilhard de Chardin  e di don Carlo Molari) non “fa” ma “fa fare” a ciascun essere secondo le sue peculiarità? Non va pensato, forse,  come la Causa “prima” che rende possibile l’operatività autonoma delle cause “seconde”?

Se non adottiamo questa concezione di Dio più evoluta e restiamo alla visione medievale della “onnipotenza” divina, dovremmo ammettere che Egli/Ella/Esso/X possa guarire “miracolosamente” Bergoglio, ma non lo fa spontaneamente. Per attivarsi aspetta che un congruo numero di esseri umani glielo chieda. A quanto ammonterebbe il numero minimo legale? Cento, mille, centomila, un milione di oranti?

Ammesso – e non concesso – che Dio possa e voglia intervenire specificamente in un caso come questo (e lo facesse davvero per venire incontro alla pressione dell’opinione pubblica religiosamente accreditata), che cosa penserebbero i genitori che pregano invano per la guarigione dei loro piccoli o i piccoli che pregano invano per i loro genitori? Come si potrebbe giudicare un Dio che risparmia la morte a un vecchio ottantottenne ma rimane inerte davanti all’agonia di milioni di persone di ogni età (senza contare le inenarrabili sofferenze di animali di ogni altra specie vivente)?

Sono – o almeno tendo ad essere – un soggetto ragionevole, ma non sono un razionalista. Forse ognuno di noi è connesso con tutta l’umanità, anzi con tutto il cosmo, non solo a livello fisico, ma anche mentale e psicologico. Forse l’entanglement di cui parlano i fisici quantistici non vale solo a livello di microfisica. Dunque pregare Dio per un nostro simile può essere un modo – per così dire indiretto – di trasmettergli  energie positive, sanatrici, liberatrici. In questa ipotesi  (che per me è una speranza)  anche la preghiera collettiva per un pontefice malato può avere un senso. Purché si sappia e si dica chiaramente che la visione antropomorfica di Dio, come Arbitro indiscutibile che dà e toglie la vita secondo criteri a noi ignoti, è ormai alle spalle della teologia più evoluta.

Augusto Cavadi

* Versione originaria con apparato iconografico 8e un commento del direttore del sito) qui:

https://www.zerozeronews.it/pregare-per-la-salute-di-papa-francesco/


giovedì 27 febbraio 2025

POESIA COME VOCE DELL'IMPEGNO CIVILE: "APPUNTI DI VERSI" DI UMBERTO SANTINO


Umberto Santino ha scandito – e in qualche misura, forse, supportato – la sua instancabile attività scientifica e sociale con una riflessione più interiore. Dopo vari altri frutti di questa spiritualità laica - i suoi scritti di carattere letterario, sia narrativi che lirici – viene alla luce in questi giorni una raccolta di poesie composte dal 1964 a oggi: Appunti per un libro di versi (Di Girolamo, Trapani 2025, pp. 426, euro 20,00).

Come è facile ipotizzare, queste pagine riflettono varie stagioni della sua esistenza e varie sfaccettature della sua personalità.

Alcune rivelano l’impegno del co-fondatore (con la moglie Anna Puglisi) del “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato”: “Questo non è mio figlio./ Queste non sono le sue mani/ questo non è il suo volto./ Questi brandelli di carne/ non li ho fatti io./ Mio figlio era la voce/ che gridava nella piazza/ era il rasoio affilato/delle sue parole/era la rabbia/era l’amore/che voleva nascere/che voleva crescere./ Questo era mio figlio/quand’era vivo,/quando lottava con tutti:/mafiosi, fascisti,/uomini di panza/ che non valgono neppure un soldo/ padri senza figli/ lupi senza pietà” .

In altre pagine l’eco di tante campagne anti-militariste: “I mercanti vendono armi/e le armi sono fatte per combattere./ I più furbi erano loro/ e vincere o perdere/non aveva senso per chi cadeva/guardando per l’ultima volta/il cielo che avremmo potuto goderci/ stando seduti nelle caffetterie”.

Versi del natale 2000 non hanno perduto – purtroppo – neppure un grammo di tragica attualità: “Neppure questa notte/ci sarà tregua/ tra i ragazzi dell’Intifada/ e i soldati del popolo eletto./Qui si attende ancora/la nascita di un messia/ e si scambiano le parti/ Davide e Golia”. Come non l’hanno perduto altri “appunti” della prima decina del secolo in corso dedicati al Mediterraneo: “Non arrivano più guerrieri/spinti dalla voglia/ di conquistare il mondo/ o corsari allenati/agli stupri e ai saccheggi/ e le acque non assistono più/ alle battaglie tra romani e cartaginesi/bevendo il loro sangue./Ora sul mare si avventurano/i figli della disperazione/e li spinge la ricerca/di improbabili terre promesse./E le onde cullano i corpi/dei morti alla speranza”.

Ancora più tremenda della crudeltà fra esseri umani all’autore appare la ferocia degli umani verso gli altri animali: “Lezione di morte/ per chi rimane a vivere/io canto la tua bocca spalancata/canto il tuo sangue sparso/la tua nudità innocente/nel sudario della sera/toro senza nome/ucciso da uomini senza pietà/ nero cristo di Spagna”.

A tanti orrori Santino non può reagire più né con la fede cristiana della giovinezza né con la speranza marxista della prima maturità: come agli apostoli di Cristo e ai profeti della rivoluzione comunista, anche a noi resta solo da tornare “alle nostre case/per continuare a sognare/ un sogno che non si avvera…”.  A giudizio dell’autore l’estrema dignità è reggere, con coraggio esistenziale, la lezione che la natura impartisce ancor più della storia: “lunga o breve/ la strada è senza meta,/ e non ha senso/ né l’andata/né il ritorno”.

Se la consapevolezza delle brutture della storia conferisce alla raccolta una tonalità predominantemente malinconica, non mancano pagine in cui la bellezza della natura e soprattutto dell’arte (fruita nei numerosi viaggi in giro per l’Europa e l’Africa settentrionale) sembra aprire qualche spiraglio luminoso. Come ad esempio grazie alla contemplazione estetica di un quadro del caravaggesco Stomer ospitato nel museo di Messina: “Ci scaldiamo a questa fiamma/ che brucia la luce/e dirada l’ombra/che ci giunge/ dal buio del mondo”. Addirittura non mancano, qua e là, tracce della vena umoristica dell’autore, come quando – inspirato dall’autore di Alice nel paese delle meraviglie – si diverte a comporre un limerick: “Due turisti affamati/andarono a Limerick per essere sfamati,/ ma trovarono solo un’acciuga/che si asciugava nel bagnasciuga./Poveri turisti che rimasero affamati”.

Augusto Cavadi

* Sabato 1 marzo 2025 alle ore 18.30 il volume sarà presentato a Palermo, da Mario Valentini,  presso la "Casa dell'equità e della bellezza" (via N. Garzilli 43/a).

Per la versione originale di questa recensione, con corredo iconografico, cliccare qui: https://www.zerozeronews.it/poesia-come-voce-dellimpegno-civile/