UN PASSO OLTRE
L’ANTI-MAFIA
Quando mi si chiede - come di recente Leandro Limoccia, docente di di Sociologia della devianza e della criminalità all’Università di Napoli - di conversare con giovani studenti
universitari per fare il punto sulla situazione del contrasto al sistema
mafioso (siciliano), ritengo necessario chiarire – preliminarmente – cosa
intendo per mafia. Infatti capita di assistere, su questa tematica, a scontri
anche duri fra protagonisti e studiosi della storia contemporanea che nascono
da visioni parziali del fenomeno. Come nella parabola orientale dei ciechi che
palpano un elefante e litigano perché uno, toccando la proboscide, sostiene che
sia come un serpente; un altro, toccando una zampa, che sia come un albero; un
altro ancora, toccando la coda, che sia come una funicella…Hanno tutti ragione
ma, nel momento in cui assolutizzano il frammento, scivolano nel torto.
Fuor di metafora: la mafia è un’associazione
di criminali, con un suo apparato militare, che mira all’acquisizione di potere
e denaro. Ma i circa cinquemila “uomini d’onore” in servizio permanente
effettivo non eserciterebbero il condizionamento che esercitano se non
potessero contare su una molto più ampia cerchia di cittadini (secondo il
collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, circa un milione di siciliani) che
spalleggiano, difendono, supportano i mafiosi o per complicità, affinità
culturali, interessi privati o per timore di rappresaglie violente in
caso di disobbedienza.
Se questa rappresentazione della mafia (che mutuo, con
qualche modifica, da Umberto Santino che non a torto parla di “paradigma della
complessità”) è, sostanzialmente, corretta, si può sintetizzare la situazione
dell’anti-mafia con l’immagine del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.
Vediamo, un po’ più in dettaglio, perché.
· In quanto organizzazione criminale la mafia è
stata incrinata da uno sforzo enorme delle autorità giudiziarie che hanno
pagato il loro impegno con la vita di numerosi magistrati, poliziotti,
testimoni di giustizia, professionisti interpellati come consulenti (senza
contare figure gigantesche come il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa che non
rientra in nessuna delle categorie evocate). Negare i successi dello Stato
democratico da questo punto di vista sarebbe falso storicamente e ingiusto
verso chi ha contribuito – per fortuna anche sopravvivendo - con intelligenza e
generosità a realizzarli.
Ovviamente nessun
trionfalismo deve indurre ad abbassare la guardia per almeno due ordini di
considerazioni. Intanto perché non sappiamo quanto perdurino le relazioni
clandestine fra settori dei Servizi segreti e gruppi criminali e, dunque, se
siano scongiurati i rischi di stragi dimostrative o di attentati a esponenti
apicali della lotta alla mafia. Comunque, a prescindere dai pericoli nascosti, ce ne sono di palesi: l’azione
repressiva delle autorità giudiziarie è messa a dura prova dalle modifiche
legislative sulle intercettazioni telefoniche, i limiti temporali per le
dichiarazioni dei ‘pentiti’, le prescrizioni…
In ogni scenario possibile,
poi, vanno continuamente implementati la preparazione professionale e i mezzi
delle Forze dell’Ordine per mantenere l’una e gli altri al passo con i
progressi tecnologici.
· Il (parziale) ottimismo per i colpi inferti alla mafia
come soggetto militare sminuisce se la si considera in quanto soggetto
politico che vuole condizionare interi territori esercitando potere sia
mediante le istituzioni statali che direttamente. Qui bisogna decostruire il
luogo comune della mafia come “anti-Stato”: sin dalle sue origini
ottocentesche, essa cerca di infiltrarsi nello Stato tanto quanto pezzi di
Stato cercano l’alleanza coi mafiosi. Più esatto dire che la mafia entra in
collisione con quegli esponenti dello Stato democratico che si frappongono al
suo perenne tentativo di farsi Stato. Da
questa angolazione non si può negare che il contrasto al dominio mafioso mostra
delle crepe vistose: personaggi condannati in tre gradi di giudizio per reati
connessi al sistema mafioso (ad esempio Dell’Utri e Cuffaro), una volta
scontate le pene, sono tornati a svolgere un ruolo pubblico, sino a dichiarare
l’appoggio a candidati al Parlamento siciliano e alla guida di città rilevanti
come Palermo.
La crescente disaffezione nei
riguardi della cosa pubblica e la conseguente diminuzione dei cittadini che
usano “l’arma della matita” nelle urne elettorali (di cui parlava Paolo
Borsellino) non possono che agevolare il monopolio degli spazi istituzionali da
parte di politici o mafiosi o sostenuti da ambienti mafiosi.
· Un bilancio altrettanto insoddisfacente si deve
ammettere se la mafia viene considerata come soggetto economico. Le sue
finanze sono floride perché ai vecchi metodi del ‘pizzo’ (di valore simbolico
irrinunziabile) si sommano nuove occasioni di profitto (contrabbando di armi,
gestione dei flussi migratori, sfruttamento della prostituzione, spaccio di
stupefacenti anche a bassissimo costo, appalti per grandi opere pubbliche per
lo più inutili). Magistrati e associazioni di cittadini come “Addiopizzo”
denunziano un fenomeno paradossale:
sempre più spesso il commerciante cerca il contatto con il boss prima
ancora che il boss cerchi il contatto
con lui. Addirittura si moltiplicano i casi di imprenditori che trovano
conveniente non limitarsi a cooperare con i boss, ma diventare essi stessi
boss. Le cronache sono puntellate da casi clamorosi di imprenditori come Helg e
Montante processati per comportamenti tecnicamente mafiosi. Perfino un settore
in cui si registrano importanti successi a spese dei beni sequestrati ai
mafiosi sono stati inquinati da magistrati come la Saguto e dai suoi protetti.
Come se ciò non bastasse, i commercianti che denunziano gli estortori vengono
sottoposti dalle stesse istituzioni statali a boicottaggi incredibili, come
racconta nel suo recentissimo libro autobiografico, E tu sai chi sono io?
Storia di una ribellione al pizzo, il testimone di giustizia Nino Miceli
(cfr. https://www.zerozeronews.it/un-miracolo-denunciare-la-mafia-e-sopravvivere-ai-boss-e-alla-falsa-antimafia/ ).
In questo ambito tematico
restano tanti nodi da sciogliere: incrementare la finanza davvero etica;
democratizzare il prestito (anche il piccolo prestito); legalizzare le droghe
leggere (come auspicava Giovanni Falcone); intervenire incisivamente nella lotta
all’evasione fiscale per una più equa della distribuzione dei beni e dei
servizi.
· Controverso, infine, il bilancio sulla mafia come soggetto
pedagogico che crea consenso alternando la seduzione corruttiva (anche
culturale) con l’intimidazione violenta. Infatti mi pare di constatare che
alcuni modelli (l’ eroico “capo dei capi”) e alcune espressioni di offesa (“Sei
uno sbirro”) siano in calo presso le nuove generazioni: dirsi “mafioso” non è
più un’autodefinizione esaltante come mezzo secolo fa.
Tuttavia ci sono elementi,
anche da questa angolazione, che non permettono nessun compiacimento
rassicurante. Infatti la campagna promozionale della Ditta-mafia non conosce
interruzione: prima che minacciare, essa preferisce offrire peloso soccorso
come liquidità ad aziende in crisi o assistenza agli indigenti in tempi di
pandemia o raccomandazioni a professionisti ambiziosi (da medici che aspirano
al primariato a avvocati che ambiscono a poltrone in consigli d’amministrazione
di enti pubblici). Al di là di questi fenomeni, abbastanza in linea con la
tradizione, si assiste oggi ad una colonizzazione del “senso comune” da parte
della mentalità mafiosa: singoli, associazioni, partiti pensano e agiscono come
se lo Stato di diritto non potesse più
determinare limiti invalicabili all’arbitrio soggettivo. Anzi,
addirittura, sono i governi di Stati grandi e piccoli che calpestano
platealmente qualsiasi norma di diritto internazionale: diventa sempre più
difficile distinguere i modi di vari leader politici dallo stile dei capimafia.
Se le visioni-del-mondo più
diffuse sul pianeta si vanno
‘mafiosizzando’ è necessario un salto di qualità dalle vecchie (e
lodevoli) iniziative di educazione anti-mafia ad una rivoluzione culturale in
direzione di orizzonti inediti. Forse non basta più opporsi ai codici culturali
mafiosi sempre meno differenti dai codici culturali condivisi dalla maggioranza
degli abitanti della Terra (a cui il capitalismo occidentale insegna il primato assoluto del potere e del
denaro su ogni altra dimensione della vita), ma sforzarsi di andare oltre
le contrapposizioni secondarie verso una “spiritualità laica” – potenzialmente
universale – che attesti la convenienza di alcune “buone pratiche” ai fini
della felicità possibile sulla Terra: l’esercizio del senso critico, il piacere
della conoscenza, la gioia della contemplazione della bellezza naturale e
artistica, la compassione verso tutti gli esseri viventi, la postura
nonviolenta e così via. La cultura anti-mafia ha svolto un ruolo prezioso, ma
come ogni “anti” rischia la dipendenza da ciò a cui si oppone: probabilmente è
arrivato il momento di lavorare, teoricamente e praticamente, per una cultura talmente innovativa da strappare le radici stesse della
filosofia mafiosa.
Augusto Cavadi
(www.augustocavadi.com)
* Per la versione originaria con corredo iconografico cliccare qui:
https://www.zerozeronews.it/un-passo-oltre-lanti-mafia/